lunedì 29 novembre 2010
Il modificante
Nessun “sacro testo” in nostro possesso specifica che l’avverbio è chiamato anche “modificante” perché modifica, per l’appunto, il significato di un verbo, di un nome, di un aggettivo o di un altro avverbio. L’avverbio, dunque, prende il nome dal latino “adverbum”, composto con “ad” (accanto, presso) e con “verbum” (parola) e costituisce una delle nove parti del discorso. Non specificano inoltre - sempre i “sacri testi” in nostro possesso - che i modificanti (gli avverbi) si sogliono dividere in tre categorie: semplici, composti, derivati.
Sono semplici quei modificanti che non derivando da altre parole hanno forma autonoma: già; mai, bene; oggi, domani; ieri; forse; poco ecc. Sono chiamati composti quelli che in origine costituivano delle locuzioni avverbiali formate da due o piú termini, poi fusi in un’unica parola (la cosí detta univerbazione): inoltre (in oltre); infatti (in fatti); indietro (in dietro); talvolta (tal volta) ecc. Si chiamano derivati, infine, i modificanti o avverbi che traggono origine da un termine mediante l’aggiunta di un suffisso, come “-mente” o “-oni (one)”: sereno/serenamente; bello/bellamente; onesto/onestamente; balzello/balzelloni; ginocchio/ginocchioni ecc.
Accanto agli avverbi veri e propri ci sono le locuzioni avverbiali , che hanno il medesimo significato e la medesima funzione grammaticale dei modificanti. Sono frasi fatte costituite da gruppi di termini in sequenza fissa. Vediamone qualcuna: a poco a poco; or ora; a stento, d’ora in poi; all’improvviso; di frequente; per caso; di bene in meglio ecc.
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