A proposito dell’ausiliare da adoperare con i verbi servili, l’accademico della Crusca, Luca Serianni (Italiano, Garzanti, VII, 74) scrive:
«Nei tempi composti l'ausiliare è quello dell'infinito quando il pronome atono è anteposto al verbo reggente («non ci sono potuto entrare», perché si dice «sono entrato»), può essere quello richiesto dal verbo servile quando il pronome è enclitico («non ho potuto entrarci», come si dice «ho potuto» assolutamente; ma è altrettanto corretto: «non sono potuto entrarci»)».
Stupisce, e non poco, la posizione di Serianni, che contrasta con quanto sostengono altri “sacri testi”, tra cui la GGIC, il Gabrielli e la grammatica di Maurizio Dàrdano e Pietro Trifone. Quest’ultima è chiarissima: «Se il riflessivo è accompagnato da un verbo servile, si ha l’ausiliare essere quando la particella pronominale è proclitica (si è voluto lavare), l’ausiliare avere quando è enclitica (ha voluto lavarsi)».
Ci piacerebbe sapere quali motivazioni adduce l’Accademico nel sostenere la correttezza del costrutto *non sono potuto entrarci.
* * *
Dalla rubrica di lingua del Corriere della Sera in rete:
Desiderata
Gentile dott. De Rienzo, la prego di togliermi un dubbio: è più corretto "Le desiderata", come usa dire il mio preside, o "I desiderata", come viene d'istinto alla sottoscritta?
La ringrazio e la saluto insieme a tutto il forum.
Firma
Risposta del linguista:
De Rienzo Lunedì, 25 Ottobre 2010
Se intende dire "le cose desiderata", senz'altro "DESIDERATA".
----------------
No, no, gentile Professore, la lettrice ha ragione da vendere: “I desiderata”.
Leggiamo dal vocabolario Sabatini Coletti: «Desiderata s. neutro lat. pl.; in it. s.m. pl.
• Cose desiderate, volute, richieste: registro dei d.». E dal Gabrielli: «Desiderata
[de-si-de-rà-ta]
s.m. pl.
Le cose desiderate, ciò che si desidera: questi sono i nostri d.».
«Nei tempi composti l'ausiliare è quello dell'infinito quando il pronome atono è anteposto al verbo reggente («non ci sono potuto entrare», perché si dice «sono entrato»), può essere quello richiesto dal verbo servile quando il pronome è enclitico («non ho potuto entrarci», come si dice «ho potuto» assolutamente; ma è altrettanto corretto: «non sono potuto entrarci»)».
Stupisce, e non poco, la posizione di Serianni, che contrasta con quanto sostengono altri “sacri testi”, tra cui la GGIC, il Gabrielli e la grammatica di Maurizio Dàrdano e Pietro Trifone. Quest’ultima è chiarissima: «Se il riflessivo è accompagnato da un verbo servile, si ha l’ausiliare essere quando la particella pronominale è proclitica (si è voluto lavare), l’ausiliare avere quando è enclitica (ha voluto lavarsi)».
Ci piacerebbe sapere quali motivazioni adduce l’Accademico nel sostenere la correttezza del costrutto *non sono potuto entrarci.
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Dalla rubrica di lingua del Corriere della Sera in rete:
Desiderata
Gentile dott. De Rienzo, la prego di togliermi un dubbio: è più corretto "Le desiderata", come usa dire il mio preside, o "I desiderata", come viene d'istinto alla sottoscritta?
La ringrazio e la saluto insieme a tutto il forum.
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Risposta del linguista:
De Rienzo Lunedì, 25 Ottobre 2010
Se intende dire "le cose desiderata", senz'altro "DESIDERATA".
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No, no, gentile Professore, la lettrice ha ragione da vendere: “I desiderata”.
Leggiamo dal vocabolario Sabatini Coletti: «Desiderata s. neutro lat. pl.; in it. s.m. pl.
• Cose desiderate, volute, richieste: registro dei d.». E dal Gabrielli: «Desiderata
[de-si-de-rà-ta]
s.m. pl.
Le cose desiderate, ciò che si desidera: questi sono i nostri d.».
2 commenti:
Anche Serianni dice, in parte, la stessa cosa (XI.33a):
"I verbi pronominali all'infinito retti da un verbo servile o fraseologico richiedono essere se il pronome atono precede i due verbi ('si è dovuto accorgere'), avere se il pronome è enclitico ('ha dovuto accorgersi' [...] )."
Per spiega - a questo punto - la solo apparente contraddizione con "non sono potuto entrarci", bisogna ipotizzare che egli non consideri il verbo in questione un pronominale (e io non ho le competenze per dire di mio se lo è o no).
D'altronde, mi pare, che gli altri (Dardano e Trifone) non entrino nel merito della speficica casistica, visto che il passo citato è riferito ai soli riflessivi; verbi sui anche Serianni la pensa uguale, classificandoli tra i pronominali (XI.18).
Concordo, almeno in parte, con il commentatore Perso. L'abitudine, ormai invalsa, di molti linguisti, non fanno eccezione i cruscanti, è quella di essere accomodanti rispetto all'uso prevalente quando questo non costituisce errore, specie se abusato. Si può non condividere questa abitudine, e personalmente non la condivido, e assecondarla ovvero opporvisi: occorre buon senso. Nell'assecondarla, infatti, talvolta, come nel caso in questione, non si fanno grandi danni; nell'opporvisi, si finisce, di frequente, per incontrare una pervicace resistenza dettata dall'ostilità che nasce dalla disabitudine al riconoscimento dell'errore, concetto associato al retaggio di "punizione", ormai intimamente, se non, sempre più spesso, palesemente rifiutato. E tra passare per intolleranti e ottusi bacchettoni ed essere "aperti" la scelta è immediata.
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