giovedì 20 giugno 2024

Un'indagine conoscitiva

L’argomento, ci sembra, è stato trattato qualche anno fa. Ma come dicevano i Latini...

Un’indagine conoscitiva ha messo in evidenza che il novanta per cento delle persone fa un uso eccessivo della tautologia che, nella maggior parte dei casi, è un vero e proprio errore di grammatica oltre che di stile. Vediamo, dunque, che cosa è questa “tautologia” che non ha nulla che vedere con il… tatuaggio.

Tautologia è parola che deriva dal greco e significa “ripetizione del già detto”. È formata, infatti, da “tautò” (lo stesso) e “logos” (discorso); è la ripetizione, quindi, di vocaboli o di concetti identici o simili tra loro. “Indagine conoscitiva”, per esempio, è una tautologia che abbiamo adoperato a bella posta per introdurre questa nostra chiacchierata.

Un’indagine, tutti dovrebbero saperlo, si fa per “conoscere”; aggiungere “conoscitiva” è uno spreco di inchiostro (o di voce) oltre che una ripetizione che in buona lingua italiana è da evitare. L’indagine (che, ripetiamo, di per sé è “conoscitiva”) può essere seguita da un aggettivo che specifichi da chi è promossa: indagine parlamentare, giudiziaria, ministeriale e via dicendo.

Inutile dire che tutta la stampa e la maggior parte dei nostri burocrati ci propinano, a ogni piè sospinto, una sfilza di tautologie. Come i testi delle annunciatrici della radiotelevisione di Stato che ci ricordavano che le domande di partecipazione ai vari concorsi vanno presentate “entro e non oltre” la data stabilita nel bando. Entro non significa anche “non oltre”? Un notissimo critico cinematografico ci informa che il “protagonista principale” del film ha ricevuto l’Oscar per la migliore interpretazione. Il poverino, nella foga dello scrivere, ha dimenticato che “protagonista” significa “principale”. Un giovane cronista, sfornato dalla scuola di oggi dove non sappiamo, francamente, se i programmi prevedano ancora lo studio della grammatica e della sintassi, domanda a una giovane attrice esordiente “quali sono le prospettive per il futuro”. Forse c’è anche una prospettiva per il passato che in questo momento ci sfugge; sarà nostra cura informarci e se è cosí ve ne daremo conto nel nostro articolo “prossimo venturo”, come ci capita sovente di leggere o sentire. Prossimo non equivale a venturo?

Ancora. A norma delle “vigenti leggi” l’imputato è stato condannato a cinque anni di reclusione: solo un giudice impazzito può applicare una legge che non è piú “in vigore” (vigente).

Potremmo continuare ancora, ma non vogliamo tediarvi oltre misura; vogliamo solo ricordarvi, in proposito, che un giudice non “commina” una pena; la legge la “commina”, cioè la “prevede” e il giudice la infligge.

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La lingua “biforcuta” della stampa

L’EVENTO

Il superproduttore discografico Rick Rubin organizza un festival segreto nel senese

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Quando i “dispensatori di notizie” impareranno che il sostantivo che indica (e comprende) un territorio geografico si scrive con l’iniziale maiuscola? Correttamente: nel Senese.

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Roma: vigilessa in divisa riceve la proposta di matrimonio a Fontana di Trevi, l'applauso dei turisti

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Ancora vigilessa! Lo sanno – come usa dire – porci e cani che il femminile di vigile è… vigile (la).



(Le immagini sono riprese dalla Rete, di dominio pubblico, quindi. Se víolano i diritti d'autore scrivetemi; saranno prontamente rimosse: fauras@iol.it)



lunedì 17 giugno 2024

La muratora? Ineccepibile


 Alcune professioni e mestieri, un tempo riservati agli uomini, oggi sono “aperti” anche alle donne. Si pone, pertanto, il problema della femminilizzazione del sostantivo indicante la professione o il mestiere. Come chiameremo, dunque, una donna addetta alla costruzione di opere in muratura? Muratrice? Muratora? “Muraiola”? I vocabolari consultati, cartacei e in rete, tacciono sull’argomento. Solo il Garzanti e lo Zingarelli affrontano il problema. Il primo lemmatizza sia “muratrice” sia “muratora”; il secondo solo “muratrice”. Chi scrive propende per “muratora”, come pastora, sartora (non 'sartoressa', come riportano alcuni vocabolari). Il suffisso “-tore” nella forma femminile può mutare in “-tora” se la “t” è preceduta da una consonante diversa o da una vocale. Scriveremo (e diremo) correttamente, quindi, che “Giovanna è stata assunta come muratora nel cantiere appena aperto”.

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Vieppiù o viepiù?

Leggiamo dal vocabolario Treccani, in rete:

viepiù (o 'vie più'; più frequente la forma vieppiù, con indebita restituzione grafica del raddoppiamento fonosintattico per analogia con altre voci come lassù e sim.) avv., letter. – Ancor più, sempre più: L’astuto lupo vie più si rinselva (Poliziano).

Sarebbe bene che i responsabili del vocabolario specificassero che la variante “vieppiù”, anche se frequente è errata. L’avverbio in questione, che significa “sempre più”, non richiede il rafforzamento fono-sintattico della consonante “p”. Si veda qui.


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La lingua “biforcuta” della stampa

CASERTA

L'inseguimento, la lite, i colpi sparati in testa: il giallo dei due fratelli giustiziati per strada

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Giustiziati? Assassinati. I “massinformisti” apprendano qui la differenza e l’uso corretto dei due verbi.




(Le immagini sono riprese dalla Rete, di dominio pubblico, quindi. Se víolano i diritti d'autore scrivetemi; saranno prontamente rimosse: fauras@iol.it)




sabato 15 giugno 2024

Disertare? Devastare...


Le first lady disertano il G7 in Puglia, il ‘tour per consorti’ col treno storico per Alberobello paralizza la linea dei pendolari

Questo titolo di un giornale in rete ci ha richiamato alla mente un nostro vecchio intervento sull’uso corretto del verbo “disertare”. Lo riproponiamo perché...

Il verbo “disertare”, forse pochi lo sanno, ha due forme, una transitiva e una intransitiva e l’uso dell’una o dell’altra forma fa cambiare di significato il verbo stesso. La forma transitiva sta per “distruggere”, “guastare” e simili ed etimologicamente è il latino “desertare”, intensivo di “deserere” (‘abbandonare’). Originariamente, infatti, il verbo stava per “devastare”, vale a dire “ridurre in deserto” e, quindi... “abbandonare”, "allontanare" (non ci si allontana 'da' un luogo?). Di qui l’uso intransitivo di “disertare” nel senso di “fuggire da un luogo”. I deputati, per esempio, che non prendono parte alle sedute “disertano dall’aula”, non “disertano l’aula”, in quanto “fuggono dall’aula”, non la... devastano. Insomma, amici amanti del buon uso della lingua, come fa acutamente notare il linguista Leo Pestelli «facciamo una pasta dei verbi ‘disertare’ (neutro) e ‘disertare’ (attivo), che sono due cose ben distinte. Il primo vale: fuggire dall’esercito; il secondo: danneggiare e devastare. Il soldato diserta ‘dal’ reggimento abbandonandolo al suo destino; diserta ‘il’ reggimento portandogli via la cassa. (...) Dicendo dunque noi per estensione: il pubblico ‘diserta’ il teatro; gli alunni ‘disertano’ la scuola, diciamo altro da quello che intendiamo dire, cioè che il pubblico con mazze e ombrelli, gli alunni con gessi e temperini, danneggiano il teatro e la scuola. Proprio cosí (...)».

Naturalmente ci sarà il solito Bastian contrario che cercherà di confutare la nostra tesi (ma soprattutto contesterà il linguista Pestelli). Se ciò avverrà, la cosa ci lascerà nella piú squallida indifferenza, forti dell’appoggio di un linguista con la “L” maiuscola. Mentre a coloro che sostengono la tesi secondo cui è l’uso che fa la lingua ricordiamo le parole del grande poeta toscano Giuseppe Giusti: “L’avere la lingua familiare sulle labbra non basta: senza accompagnarne, senza rettificarne l’uso con lo studio e con la ragione è come uno strumento che si è trovato in casa e che non si sa maneggiare”. E c’è da dire, in proposito, che molte cosí dette grandi firme del giornalismo maneggiano uno strumento che non sanno... maneggiare. E ciò a scapito, per dirla con Vittorio Alfieri, del nostro “idioma gentil sonante e puro”. Chi vuole intendere... intenda.


PS. I vocabolari sono ambigui: attestano ‘disertare’, nel senso di ‘abbandonare’, sia transitivo sia intransitivo, non è proprio cosí, come abbiamo visto. Non si confonda, inoltre, ‘disertare’ con ‘dissertare’. Quest’ultimo verbo ha tutt’altro significato. Non sono, perciò, l’uno sinonimo dell’altro.


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La lingua “biforcuta” della stampa

L'arrivo tra gli applausi di Papa Francesco alla riunione del G7, Milei lo abbraccia

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Ancora un caso di anfibologia, tanto cara agli operatori dell’informazione. Chi era o erano gli applauditori? Papa Francesco? Con due virgole avrebbero risolto: L'arrivo, tra gli applausi, di Papa Francesco.

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IL VERTICE

G7 Italia, i leader festeggiano il compleanno di Scholz. Mezzora di bilaterale tra Meloni e Biden

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La forma ‘canonica’ è mezz’ora, come riporta il DOP.

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La storica presenza di Papa Francesco al G7: "L'AI sia sempre ordinata al bene di ogni essere umano"

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Un’ulteriore prova che i “massinformisti” addetti alla titolatura (ma non solo) non rileggono ciò che scrivono (e se lo rileggono…).




(Le immagini sono riprese dalla Rete, di dominio pubblico, quindi. Se víolano i diritti d'autore scrivetemi; saranno prontamente rimosse: fauras@iol.it)





venerdì 14 giugno 2024

Il metaplasmo

 


I
responsabili del vocabolario Treccani, in linea, hanno emendato – in seguito alla nostra segnalazione – il lessema “metaplasmo”. Questa la prima “dicitura”:

metaplasmo
s. m. [dal lat. metaplasmus, gr. μεταπλασμός, der. di μεταπλάσσω «modellare in modo diverso»]. – 1. Nella grammatica tradizionale, ogni mutamento fonetico che alteri la parola per aggiunta, inserzione, soppressione o permutazione di suoni (quindi protesi, epentesi, sincope, metatesi, ecc.). 2. Nella moderna linguistica, fenomeno morfologico per cui una parola passa da una declinazione o da una coniugazione ad altra (per es., il lat. ridēre della 2a coniug., che diventa l’ital. rìdere della 3a).

E questa la versione emendata:

metaplasmo
s. m. [dal lat. metaplasmus, gr. μεταπλασμός, der. di μεταπλάσσω «modellare in modo diverso»]. – 1. Nella grammatica tradizionale, ogni mutamento fonetico che alteri la parola per aggiunta, inserzione, soppressione o permutazione di suoni (quindi protesi, epentesi, sincope, metatesi, ecc.). 2. Nella moderna linguistica, fenomeno morfologico per cui una parola passa da una declinazione o da una coniugazione ad altra (per es., dall'it. ant. le frutta, con valore collettivo pl., si passa a la frutta, f. sing.).


Ci auguriamo, ora, che cassino dal settore neologismi il lemma “defaticare” (non è affatto un neologismo) e lo inseriscano nel normale settore del vocabolario. Quello che stupisce, inoltre, è il fatto che fino a qualche anno fa lo stesso vocabolario considerava il verbo in questione una sorta di variante, non comune, di “defatigare”:


defatigare (non com. defaticare) v. tr. [dal lat. defatigare, comp. di de- e fatigare «affaticare»] (io defatigo, tu defatighi, ecc.), letter. – Stancare, esaurire le capacità di resistenza di una persona. ◆ Part. pres. defatigante anche come agg., che affatica, che logora le forze. ◆ Part. pass. defatigato, anche come agg., affaticato, spossato.


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Grazie, grazie davvero

Ci viene da ridere quando alla radio o alla TV sentiamo giornalisti (ma anche ospiti "eccellenti") dire: grazie, grazie davvero. Davvero è un avverbio che significa "sul serio" e simili. Chi ringrazia, quindi, sente la necessità di specificare che il suo non è un "ringraziamento per scherzo"? Lo confessiamo: non sapevamo che si potesse ringraziare anche per celia.


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La lingua “biforcuta” della stampa

I rosanero con la valigia: rientrano i prestiti, a valutarli sarà Dionisi

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In questo caso rosanero è un sostantivo e in quanto tale è preferibile pluralizzarlo normalmente: i rosaneri. Diremo, invece, la squadra rosanero (aggettivo invariabile).



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mercoledì 12 giugno 2024

Defatigare e... defaticare (hanno significati opposti)


S
tupisce, e non poco, constatare il fatto che il prestigioso vocabolario Treccani, in linea, non lemmatizzi il verbo denominale “defaticare”, o meglio, lo mette a lemma nel settore neologismi. Stupisce, ancora di più, il fatto che tanto il GDU (De Mauro) quanto il dizionario Olivetti lo attestino come variante di “defatigare”. No, defaticare è un verbo a sé stante e con un’accezione diversa da “defatigare”. È un verbo, dicevamo, denominale essendo composto con il prefisso di ‘allontanamento’  “de-” e il sostantivo fatica. Alla lettera significa che “toglie (allontana) la fatica”, riduce, cioè, l’accumulamento dell’acido lattico nei muscoli in seguito a “sforzi atletici”. Si faccia attenzione, dunque, a non confonderlo con “defatigare” che, invece, significa “stancare”. Nelle cronache sportive si legge, spesso, che “il giocatore è stato sottoposto a un "esercizio defatigante’ ”. Dopo tale esercizio il giocatore non ha neanche la forza di raccogliere una cicca da terra. Defaticare e defatigare, dunque, sono due verbi in antitesi tra loro: il primo 'toglie la fatica', il secondo 'la procura'.



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lunedì 10 giugno 2024

Lettera aperta dei verbi Decollare e Atterrare


P
regiatissimo Direttore del portale,

voglia cortesemente pubblicare questa lettera aperta indirizzata a tutti coloro che amano la lingua di Dante e di Manzoni e desiderano, pertanto, “usarla” correttamente. Siamo due cugini di primo grado, Decollare e Atterrare, e molto spesso, per non dire sempre, veniamo violentati dai nostri fruitori perché ci adoperano in modo errato. Abbiamo deciso, quindi, di fare chiarezza, una volta per tutte, sul nostro uso ortodosso, con questa lettera aperta che, siamo certi, lei cortesemente pubblicherà. 

Cominciamo con Decollare.

Posso essere sia transitivo sia intransitivo, ma con accezioni diverse. Sono transitivo, e nei tempi composti posso prendere ambi (sic!) gli ausiliari quando sto per “staccare il collo”, cioè decapitare: i vandali hanno decollato tutte le statue dei giardini pubblici; le statue dei giardini pubblici sono tutte decollate. Sono intransitivo e nei tempi composti richiedo tassativamente l’ausiliare avere (come tutti i verbi che indicano un moto fine a sé stesso) quando assumo il significato di “prendere il volo”. In questo caso vengo dal gallico “décoller” (‘dé-’, prefisso di allontanamento, separazione e ‘coller’, incollare). Quando un aereo decolla “stacca (allontana) la colla dalla terra” – in senso figurato, ovviamente – e prende il volo. Correttamente, quindi, diremo che l’aereo ha decollato alle 18.30.

E veniamo ad Atterrare. 

Io, come mio cugino Decollare, posso essere tanto transitivo quanto intransitivo, con le accezioni di “gettare a terra” e “posare a terra”. Nella prima accezione posso prendere entrambi gli ausiliari: Giulio ha atterrato il suo assalitore; l’assalitore è atterrato da Giulio. Nel significato di “posare a terra”, soprattutto riferito a un velivolo, prendo l’ausiliare avere: l’aereo ha atterrato in perfetto orario. Alcuni vocabolari ammettono entrambi gli ausiliari (l’aereo ha/è atterrato). Ma io preferisco (e ho la benedizione di molti lessicografi) l’ausiliare essere solo se riferito a persone: siamo atterrati regolarmente.

Grazie, Direttore, della sua ospitalità e un cortese saluto a lei e a tutti coloro che avranno la bontà di leggerci.

Decollare e Atterrare


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La lingua “biforcuta” della stampa

MILANO

Impagnatiello, torna a parlare in aula il femminicida di Giulia Tramontano. Sarà scontro sulle sue condizioni mentali

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Correttamente: l’omicida (meglio assassino o uccisore). In lingua esiste femminicidio ma non femminicida. 


















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venerdì 7 giugno 2024

Sgroi -181 - “Soldato”, “soldatessa”, “soldata”, “il/la soldato”, o “donna soldato”?

 


di Salvatore Claudio Sgroi

1. Evento giornalistico

Un caro amico, non linguista, ma attento ai fatti linguistici e metalinguistici, mi ha segnalato un articolo de “la Repubblica” del 6 giugno di Massimo Basile intitolato:

Quattro donne in mezzo a migliaia di soldati: nel cimitero Usa del D-Day le storie che raccontano il ruolo femminile nella Seconda guerra mondiale”

link:<https://www.repubblica.it/esteri/2024/06/06/news/donne_seconda_guerra_mondiale_d_day_cimiterousa-423182896/?ref=RHLF-BG-P7-S3-T1>,

col seguente commento:

io avrei scritto ‘soldati maschi/uomini’ (o usato altri modi per disambiguare il senso del titolo), altrimenti non è immediatamente chiaro cosa si intende”.

La mia risposta è stata:

a me sinceramente [il titolo] sembra perfettamente chiaro: qui SOLDATI è pl. di soldato ma può indicare sia maschi che femmine: quindi tra le migliaia di soldati solo 4 erano donne”.


2. “Soldato s.m. e soldati m.pl.: voce epicena (o promiscua)

Diciamo subito che il lessema soldato s.m. e soldati m. pl. può riferirsi in quanto voce epicena (o promiscua) sia a uomini che a donne, per indicare la funzione indipendentemente dal sesso.

La descrizione del termine fornita nella lessicografia italiana è peraltro diversificata, come vedremo, e non sempre soddisfacente.


2.1. Il genere “femminile” nello Zingarelli 2023 e sue funzioni

Anticipiamo che lo Zingarelli 2023 sotto la voce femminile (pp. 875-76) da un lato distingue il “genere del tutto convenzionale” dei nomi non-animati dal genere dei nomi animati che “corrisponde gener. al sesso”, trascurando tuttavia il fatto, da noi più volte ribadito, che la funzione in prima istanza del genere grammaticale comune ai nomi animati e non-animati è quella di garantire la coesione morfo-sintattica ai fini della comunicazione.

Dall’altro lo stesso Zingarelli propone un eccellente modello terminologico sulla formazione del femminile dei nomi animati distinguendo:

(i) “nomi indipendenti” (o eteronimi) o “di genere fisso”, es. uomo/donna;

(ii) “nomi comuni” (o ambigeneri), ess. il/la consorte, il/la preside, il/la cantante, il/la pediatra, il/la leader;

(iii) “nomi promiscui” di animali, ess. la volpe, il serpente (maschio/femmina), ma anche di persone es. la spia (uomo/donna);

(iv) “nomi mobili” con desinenza -o/-a es. amico/amica, “meno frequente” soldata; con suffissi ess. poeta/poetessa, studente/studentessa, lettore/lettrice, eroe/eroina, gallo/gallina ;

(v) “composti” es. la volpe maschio/femmina.


3. L’analisi del lessema soldato nella lessicografia italiana

Qual' è l’analisi del termine soldato nei dizionari italiani?


3.1. Il soldato nel De Mauro 2000

Il De Mauro 2000 non esplicita che il lessema soldato sia al sing. che al pl. può riferirsi sia a uomo che a donna. Nella “Nota grammaticale” avverte “rar. il femm. soldata”. Sotto il lemma soldatessa s.f. CO[mune] distingue due accezioni: “1 vedi soldato, 2 fig. scherz., donna dai modi decisi e autoritari”


3.2. Il soldato nello Zingarelli 2023

Lo Zingarelli 2023 registra “soldato s.m. (femm. –essa). Raro –a”, “in funzione di agg. (posposto a un sostantivo)” con gli ess. bambini s.[oldato], ragazze s.[oldato]. Come il De Mauro non esplicita che soldato/i può indicare sia uomini che donne. Come il De Mauro lemmatizza soldatessa s.f. bi-semico “f. di soldato”: “1. Donna che presta servizio militare 2 (scherz.) donna autoritaria”.


3.3. Il soldato nel Treccani-Della Valle-Patota 2022

Il Treccani-Della Valle-Patota 2022 lemmatizza con duplice forma, nell’ordine femminile e maschile, soldata, soldato n.f., n.m. con gli esempi fare la soldata, il soldato, andare a soldata, a soldato. Il f. soldatessa sarebbe “antiquato, scherz. o spregiativo”. Omette l’accezione generica inclusiva di soldato/i riferito a uomo/donna.


3.4. Il soldato nel DISC 2024

Il DISC ovvero Dizionario Italiano Sabatini Coletti di F. Sabatini-V. Coletti-Manuela Manfredini (Hoepli 2024) lemmatizza “soldato m., soldata f.” non in ordine alfabetico, aggiungendo non condivisibilmente “(pop., iron. soldatessa)”, ma precisando opportunamente “m. ancora in uso anche con riferimento a donna”. Lemmatizza altresì soldatessa s.f. bisemico: “1 Donna soldato [non più “pop.” né “iron.”] 2 scherz. Donna dal fare soldatesco”.


3.5. Il soldato nel Devoto-Oli 2017-2023

Il Devoto-Oli 2017-2023 lemmatizza con le opportune distinzioni sessuali soldato s.m. (f. –a o –éssa; spesso usato al masch. [sing. e plur.] anche con riferimento a donna”. Non precisa invece che soldat-a è raro rispetto a soldatessa; aggiunge ancora: “agg. invar. (posposto al sost.)” con l’es. bambini soldato”.


3.5.1. Soldato: una “questione di stile”

La voce soldato è anche oggetto di analisi nella rubrica “Questioni di stile” (p. 2111), dove si distinguono tra l’altro diverse femminilizzazioni, in quanto “l’uso oscilla tra diverse alternative” quali: (i) la soldata (nome mobile) per la cui accettazione si registra “una certa resistenza”;

(ii) la soldatessa (nome mobile con suffisso), “che ha talvolta una connotazione ironica o spregiativa e che in senso scherzoso indica anche una donna dai modi decisi e autoritari”;

(iii) la donna soldato (composto), “che sottolinea l’eccezionalità di una presenza femminile nei ruoli tradizionalmente riservati agli uomini”;

(iv) il soldato “concepito come termine neutro che indica la funzione svolta indipendentemente dal sesso  di chi la esercita” es. il soldato Maria Rossi;

(v) il/la soldato (ambigenere) “compromesso grammaticalmente inaccettabile”.


Sommario

1. Evento giornalistico

2. “Soldato s.m. e soldati m.pl.: voce epicena (o promiscua)

2.1. Il genere “femminile” nello Zingarelli 2023 e sue funzioni

3. L’analisi del lessema soldato nella lessicografia italiana

3.1. Il soldato nel De Mauro 2000

3.2. Il soldato nello Zingarelli 2023

3.3. Il soldato nel Treccani-Della Valle-Patota 2022

3.4. Il soldato nel DISC 2024

3.5. Il soldato nel Devoto-Oli 2017-2023

3.5.1. Soldato: una “questione di stile”



















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La cartapesta


Mettiamo le mani avanti, come usa dire, perché siamo certi che saremo sbugiardati dai linguisti su quanto stiamo per scrivere. Ma siamo oltremodo sicuri della bontà della nostra tesi. Intendiamo parlare di un nome composto: cartapesta. Tutti i vocabolari, all’unisono, sostengono che si tratta di un nome composto di un sostantivo e di un verbo (carta e pestare). Chi scrive ritiene, invece, che si tratta di un nome composto di un sostantivo e di un aggettivo (pesto, anche se si può considerare un derivato del verbo pestare). La nostra tesi è suffragata dal fatto che non esistono nomi composti di un sostantivo e di una voce verbale, ma il contrario, i.e. un verbo più un sostantivo (scaldabagno, lavastoviglie, passaporto, parafango ecc.). Il plurale del sostantivo in oggetto, raro secondo alcuni vocabolari, sarà, pertanto, cartapeste, secondo la regola che… regola la formazione del plurale dei nomi composti di un sostantivo e di un aggettivo (piattaforma/piattaforme).

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Il vocabolario Treccani (in rete) non ha ancora emendato il lemma metaplasmo, dove si legge che il verbo ridere appartiene alla III coniugazione.
Vocabolario Treccani:

metaplasmo

s. m. [dal lat. metaplasmus, gr. μεταπλασμός, der. di μεταπλάσσω «modellare in modo diverso»]. – 1. Nella grammatica tradizionale, ogni mutamento fonetico che alteri la parola per aggiunta, inserzione, soppressione o permutazione di suoni (quindi protesi, epentesi, sincope, metatesi, ecc.). 2. Nella moderna linguistica, fenomeno morfologico per cui una parola passa da una declinazione o da una coniugazione ad altra (per es., il lat. ridēre della 2a coniug., che diventa l’ital. rìdere della 3a). 

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La lingua “biforcuta” della stampa

Tensione Donnarumma: ora rischia il posto da titolare.

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Correttamente: posto di. Si tratta di un normale complemento di specificazione (specifica, infatti, di quale posto si tratta), Si veda qui, al punto 9.b.


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Arena Verona, standing ovatione per Sergio Mattarella al Galà dell'Opera

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Ci ripetiamo: i dispensatori di notizie adoperano termini barbari (per snobismo?) e li sbagliano. Il vocabolo corretto è ovation (senza la e). Quanto a “galà”, nella lingua di Dante, si scrive senza accento: gala.


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L’intelligenza artificiale

L’Ia (intelligenza artificiale), di cui si parla tanto, è veramente… intelligente?

Abbiamo chiesto a “Copilot” perché la voce “(gli) amichi” è errata. Ecco la risposta (dell’ “intelligenza”):
La forma corretta è “amici”. “Amichi” è la seconda persona del singolare del congiuntivo presente del verbo “amare”. Se hai altre domande, sarò felice di aiutarti! 



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mercoledì 5 giugno 2024

Prestanome: quale plurale?

 


Riproponiamo un nostro vecchio intervento su un sostantivo il cui plurale è causa di discordia tra i lessicografi e mette in difficoltà gli operatori dell’informazione, ma non solo: prestanome.

Ancora un sostantivo sul cui plurale i vocabolaristi si accapigliano: prestanome. I vocabolari consultati sono, infatti, in "cordiale disaccordo" e non sono di aiuto. I prestanome o i prestanomi, dunque? Per alcuni dizionari il sostantivo in oggetto è invariabile (De Mauro, Devoto-Oli, Garzanti, Treccani, Sabatini Coletti); per il Gabrielli e per il vocabolario Olivetti si pluralizza normalmente; il Palazzi non specifica, quindi prende la regolare desinenza del plurale; lo Zingarelli e il DOP, Dizionario di Ortografia e di Pronunzia, infine, "salomoneggiano" (invariato o plurale). Chi consulta i vocabolari resta, dunque, completamente "spiazzato": quale "scuola di pensiero" seguire? La risposta è quella "canonica": rispettare tassativamente la "legge grammaticale" pluralizzando il sostantivo. La norma stabilisce ─ come scritto altre volte ─ che i nomi composti di una voce verbale (prestare) e un sostantivo maschile singolare (nome) si pluralizzano regolarmente. Scriveremo (e diremo): Arturo è il prestanome di Giacomo; Sebastiano e Domenico sono i prestanomi dei fratelli Bamboccioni. Il sostantivo in oggetto resterà invariato nel plurale solo se riferito a un femminile: Giovanna è la prestanome; Sofia e Vittoria sono le prestanome. La forma plurale prestanomi, corretta "a tutti gli effetti di legge grammaticale", si trova in numerose pubblicazioni.


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La lingua “biforcuta” della stampa

Londra, gli studi legali dove un neo-avvocato guadagna più del primo ministro: stipendi fino a duecentomila sterline l'anno (ma ritmi massacranti)

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Correttamente: neoavvocato. I prefissi e i prefissoidi (neo-) si scrivono “attaccati” al termine che segue. Qualcuno scriverebbe neo-nato? Si veda qui.


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Le reliquie più miracolose del mondo si trovano nel nostro paese!

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Sì, lo confessiamo: non sapevamo che il mondo potesse fare dei miracoli e che l’Italia fosse un paese, non un Paese. Ringraziamo, di cuore, gli operatori dell’informazione.

 



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martedì 4 giugno 2024

Alleluia! Il vocabolario Treccani (in rete) ha "aggiornato" il suffisso '-ale'


I
l prestigioso vocabolario Treccani, in rete, dopo le nostre reiterate segnalazioni ha “aggiornato” il suffisso
-ale. Ecco la prima definizione:

-ale. – Suffisso usato nella terminologia chimica per indicare la presenza, in un composto organico, di un gruppo aldeidico, come in citrale, geraniale, ecc.

Ed ecco quella aggiornata:

-ale. – Suffisso usato per formare aggettivi che segnalano una relazione (condizione, appartenenza, ecc.): annuale, domenicale, formale, gergale, legale, musicale, navale, postale, universale, vitale; alcune voci sono sia aggettivi sia sostantivi, come criminale, finale, industriale; altre sono quasi esclusivamente sostantivi, come bracciale, ditale, giornale, pugnale, schienale, segnale. | In particolare, nella terminologia chimica, il suffisso è usato per indicare la presenza, in un composto organico, di un gruppo aldeidico, come in citrale, geraniale, ecc.

Attendiamo ora, con fiducia, che i responsabili del vocabolario emendino il lemma metaplasmo, dove si legge che il verbo ridere appartiene alla III coniugazione (la coniugazione corretta è la II, naturalmente)

metaplasmo
s. m. [dal lat.
metaplasmus, gr. μεταπλασμός, der. di μεταπλάσσω «modellare in modo diverso»]. – 1. Nella grammatica tradizionale, ogni mutamento fonetico che alteri la parola per aggiunta, inserzione, soppressione o permutazione di suoni (quindi protesi, epentesi, sincope, metatesi, ecc.). 2. Nella moderna linguistica, fenomeno morfologico per cui una parola passa da una declinazione o da una coniugazione ad altra (per es., il lat. ridēre della 2a coniug., che diventa l’ital. rìdere della 3a).


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I confetti di papa Sisto

Avete mai assaggiato, cortesi amici, i confetti di papa Sisto V? Certamente no. Questo genere di dolci, infatti, non si mangia/mangiano: si ammira/ammirano o si ascolta/ascoltano. Ci spieghiamo meglio. «Dare i confetti di papa Sisto» è una locuzione che fa parte del nostro patrimonio idiomatico e si adopera quando si vuole dare – all’improvviso – una cattiva notizia; oppure quando si vuole impartire una lezione a qualcuno, senza avvertirlo, riservandogli una crudele sorpresa.

Questo modo di dire fa il paio con l’altro, indubbiamente più conosciuto, ma meno crudele: «arrivare come un fulmine a ciel sereno»; vale a dire comunicare una notizia improvvisa, non attesa, ma necessariamente cattiva. La spiegazione di quest’ultimo modo di dire è intuitiva; mentre i confetti del papa abbisognano di una chiara spiegazione.

Si racconta che papa Sisto, stanco dei disordini e dei gravissimi delitti dei patrizi romani – da anni in lotta tra loro – un giorno invitò i capi delle varie fazioni a pranzo e, a un certo punto, offrì loro dei confetti invitandoli contemporaneamente a guardare verso le finestre del salone dicendo: «Ammirate le vostre torri, guardate come sono fiorite!»

Dalle torri di ogni famiglia pendevano, impiccati, molti dei loro satelliti. Da questo episodio, probabilmente, nacque anche il detto «papa Sisto non la perdonò nemmeno a Cristo».


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La lingua “biforcuta” della stampa

Cuccioli di cane abbandonati sul materasso non si sono mai allontanati l'uno dall'altro

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“Più corretto”: gli uni dagli altri.

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L’ANALISI DI ASSOUTENTI

Autovelox, la classifica

dei Comuni che incassano

di più: dalle Dolomiti

al Salento, la classifica

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Come dicevano i nostri padri: melius abundare...


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Trovato cadavere a Messina, indagato proprietario casa

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Correttamente: trovato morto. Cadavere è un sostantivo, non può essere adoperato in funzione aggettivale.




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domenica 2 giugno 2024

Sgroi – 180 - “Spegnere” e “spengere”


di Salvatore Claudio Sgroi


1. Evento televisivo

In occasione dell’ultima puntata della Rubrica "Pronto soccorso linguistico" del programma Unomattina in famiglia di Rai 1, il presidente della Crusca, Paolo D’Achille si è soffermato sulla forma standard spegnere e la variante marcata spengere, “più rara” ed “evitata perché sentita come dialettale, regionale, ma non certo errata”.


2. Norma

Normativamente non c’è dubbio che la variante spengere, per quanto regionale, è corretta, in quanto in bocca agli italofoni colti del Lazio, e non già di stampo popolare. Ricordo che un caro amico romano diceva “spengere la luce”. Nel Primo tesoro della lingua letteraria del Novecento (De Mauro 2009) non pochi sono gli ess.:


Anna Banti 1948: “s'applicò a seguitare il discorso e spengervi il ricordo troppo vivo ed eccitato di Roma” (Artemisia);

Aldo Palazzeschi 1948: “udiva un lamento uscire dal petto per spengersi sul labbro dolorosamente nell'ansito forte” (I fratelli Cuccoli);

Carlo Emilio Gadda 1953: “l'ansimo le si spengeva” (Novelle dal ducato in fiamme);

Ottiero Ottieri 1959: “lo vedevo spengersi”; perché spengeva il fuoco con l'aria di volerlo accendere meglio?” (Donnarumma all’assalto);

Mario Tobino 1962: “Le altre volte spengevamo i fanali al primo accenno dell'alba";

Anna Maria Ortese 1967: “quel debole sorriso si spengeva” (Poveri e semplici);

Manlio Cancogni 1973: “spengere i ricordi” (Il clandestino); “E dopo si spenge la Cicca” (Allegri, gioventù); “spengeva la lampada, chiudeva la porta”; “spengeva ogni rumore”.

Il Vocabolario del romanesco contemporaneo. Le parole del dialetto e dell’italiano di Roma di P. D’Achille e C. Giovanardi (Newton Compton 2023) sotto il lemma “spénge(re) v. tr.” precisa che “Si tratta della variante più diffusa [a Roma] di spegne(re)” con l’es. spengi er lume che è ora de dormì. Peraltro il De Mauro 2000 registra tale voce come “v.tr. RE tosc. var.  spegnere”; lo Zing. 2023 lo etichetta “tosc. o lett.” E il Devoto-Oli 2023 “region, tosc. o lett.”


3. Etimo

Se l’etimo del comune spegnere è “forse lat. expĭngĕre, per extinguĕre, con influsso di pingĕre ‘tingere’” (De Mauro 2000), allora la variante tosco-romanesca spengere è etimologicamente ineccepibile. E bisognerebbe spiegare invero dal punto di vista etimologico il corrente spegnere.

Stando al lemmario del De Mauro 2000, non meno di 98 sono i lemmi in –gere, es. aggiungere dal lat. adiŭngĕre, etimologicamente coerenti.

Le forme marcate in –gnere sono invece 32, ovvero accignere, aggiugnere, attignere, cignere, congiugnere, costrignere, dipignere, distrignere, giugnere, intignere, mugnere, piagnere, pignere, pugnere, raggiugnere, ricongiugnere, rigiugnere, rimpiagnere, ripiagnere, ripignere, ristrignere, scignere, smugnere, soggiugnere, sopraggiugnere, sospignere, SPEGNERE, spignere, stignere, strignere, tignere, ugnere.


4. Contrasto tra spingere e spengere

I 98 verbi in –ngere non riescono a trattenere spengere perché probabilmente troppo vicino a spingere (dal “lat. *expĭngĕre”). La forma spengere diventa così SPEGNERE, rientrando nel paradigma minoritario dei 32 verbi in –gnere.















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