di
Salvatore Claudio Sgroi*
L'uso del congiuntivo, si sa, è un topos e un
tormentone, che riguarda la norma e la teoria grammaticale, di parlanti e di rubriche
linguistiche. Sul tema è ritornato domenica scorsa Francesco Sabatini nel corso
del programma di "Rai UnoMattina in Famiglia", dedicato al "Pronto
soccorso linguistico".
In uno spot pubblicitario un ascoltatore ha
sentito la frase (i) "Nessuno
quando nasce pensa che i
serpenti sono velenosi". E ha chiesto: "non sarebbe più
corretto dire siano velenosi?".
Il giudizio di valore sulla frase con
l'indicativo può in effetti variare secondo i parlanti. Per l'ascoltatore la
presenza dell'indicativo nella frase dello spot la renderebbe errata. E questa
è una valutazione assai diffusa. Tradizionalmente, il congiuntivo è definito infatti
come modo dell'incertezza, del dubbio, della soggettività rispetto
all'indicativo modo invece della realtà. E quindi col verbo "pensare" il solo modo corretto sarebbe
il congiuntivo.
Ma Sabatini ha subito risposto
(condivisibilmente) che si tratta di frasi entrambi "corrette". Con
quali argomentazioni? Sabatini non ha attribuito esplicitamente al congiuntivo il
valore di modo della soggettività. Sottilmente, egli ha sostenuto che le frasi "sono
corrette tutt'e due" perché presentano due diversi significati dipendenti
dal verbo pensare. Il quale può significare
(i) "pensare-credere con dubbio, ipotizzare" (soggettività) e quindi
la frase reggente va al congiuntivo: (i) "(Quando nascono) i bambini non
pensano che i serpenti siano velenosi". Ovvero "Nessuno quando nasce pensa che i serpenti siano
velenosi". Ma pensare può
anche significare (ii) "pensare-sapere" (oggettività). E quindi la
dipendente va all'indicativo: (ii) "(Quando nascono) i bambini non
pensano che i serpenti sono velenosi". Ovvero "Nessuno quando nasce pensa che i serpenti sono
velenosi". Frasi perciò entrambe corrette ma con diversi significati.
Per altri parlanti, però, le due frasi
all'indicativo e al congiuntivo non presentano (condivisibilmente) alcuna
differenza di significato. Il verbo credere
vale solo "ritenere", "pensare", stando anche ai dizionari.
Un enunciato come "Credo che Dio
esist-e" (all'indicativo) o "Credo
che Dio esist-a" (al congiuntivo) in bocca indifferentemente a
credenti, dimostra invero la inconsistenza della teoria tradizionale del congiuntivo
dipendente (incertezza) opposto semanticamente all'indicativo (certezza). Con
l'indicativo una frase come "Penso
che viene" può in realtà non "suonar bene". Come dire che è
molto informale, non-elegante.
Se invece il parlante prova ad opporre frasi
quali: (iii) "Penso che stia/sta
venendo (da qui a poco)", (iv) "Penso che venga/viene (ora)", (v) "Penso che verrà (tra poco,
domani, tra una settimana)", il compimento dell'azione di
"venire", rispetto al momento dell'enunciazione ("penso"), è spostato gradualmente in
avanti. Si passa infatti da (iii) l'aspetto progressivo del gerundio, a (iv) l'azione
presente, a (v) l'azione futura. Se poi si aggiunge (vi) "Penso che verrebbe", si introduce col
condizionale la modalità della potenzialità della realizzazione dell'azione di
"venire".
Ma lo stesso parlante a cui non suona (o suoni) bene
"Penso che viene" può non
percepire alcuna 'stonatura' in (iii.a) "Penso che sta venendo" (all'indicativo) rispetto a (iii.b)
"Penso che stia venendo"
(al congiuntivo), probabilmente perché la distanza indicativo-congiuntivo "sta/stia", rispetto a "viene/venga", è al confronto minima,
legata alla sola vocale "i".
E in
effetti, la motivazione di fondo per cui l'indicativo tende a guadagnare
terreno sul congiuntivo è morfo-fonologica, dovuta cioè alla debole identità morfologica
del congiuntivo, spesso omofono con l'indicativo (es. "am-i/am-iamo"), e alla sua scarsa
"salienza fonica", legata com'è a una sola vocale (es. "am-ino", "am-ano").
Da qui, la tendenza del parlante alla economia
linguistica, al "minimo sforzo" (una sola forma), anziché distinguere
due forme, peraltro prive di una differenza di significato. Come dire che il
"costo" del congiuntivo non sempre è valutato come proporzionale al
suo "beneficio" solo formale e non significativo.
* Docente di linguistica generale presso
l'Università di Catania.
Tra i suoi ultimi libri Il linguaggio di papa Francesco (Libreria editrice Vaticana 2016), Maestri della linguistica otto-novecentesca (Edizioni dell’Orso 2017), Maestri della linguistica italiana (Edizioni dell’Orso 2017).
Tra i suoi ultimi libri Il linguaggio di papa Francesco (Libreria editrice Vaticana 2016), Maestri della linguistica otto-novecentesca (Edizioni dell’Orso 2017), Maestri della linguistica italiana (Edizioni dell’Orso 2017).
1 commento:
Buon giorno,
leggendo l’articolo mi stavo stupendo d’essere d’accordo col professor Sgroi: non è mai capitato.
All’ultima frase, però, tutto come prima: c’è sempre qualche affermazione che salta fuori ignorando la bellezza e le peculiarità dell’italiano. Dopo un articolo nel quale si è “dimostrato” come il verbo pensare abbia sfumature d’intenzione diverse a seconda se usato col congiuntivo o col presente, qual è la conclusione? Pensare con indicativo e pensare con congiuntivo sono «due forme [...] prive di una differenza di significato».
Rimango privo di parole.
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