Stupisce il constatare che molte persone
confondono la preposizione con la proposizione, ritengono, cioè, i due termini
l’uno sinonimo dell’altro. Vediamo, quindi – sia pure per sommi capi – che cosa
è la “proposizione” (con la “o”). Ce lo dice la stessa parola latina dalla
quale deriva (“propositio”, ‘cosa proposta’ alla considerazione, alla
discussione e, per tanto, “argomento”, “concetto”) vale a dire “gruppo di
parole unito a un verbo che esprima un pensiero riguardo a un dato argomento”,
insomma una frase: Giovanni legge attentamente; Paolo rimira le stelle;
Giuliano risolve i cruciverba. In tutti questi esempi ogni parola è unita a un
verbo e forma, o meglio esprime un concetto “proposto” (‘proposizione’) alla
nostra attenzione. Gli “ingredienti” essenziali di una proposizione sono il
soggetto e il verbo, senza quest’ultimo, anzi, non si ha alcuna proposizione in
quanto il gruppo di parole risulterebbe “slegato”. Ma cos’è il soggetto,
elemento “principe” – dopo il verbo – di una proposizione? Semplicissimo: è la
persona, l’animale o la cosa di cui si parla. Viene dal latino “subiectus” ed è
l’elemento “sottoposto” a un giudizio, vale a dire – per usare le parole del
linguista Francesco Ugolini – “il termine di cui si afferma una maniera
d’essere o d’agire”. Negli esempi sopra riportati “affermiamo” che Giovanni
legge attentamente, che Paolo rimira le stelle e che Giuliano risolve i
cruciverba; Giovanni, Paolo e Giuliano sono, per tanto, “elementi sottoposti” a
una nostra considerazione. Attenzione, quindi, non si confonda la
“preposizione” con la “proposizione”: il figlio di un nostro conoscente ha
scritto – in un compito in classe – che trovava “difficoltoso riconoscere i
vari complementi contenuti in una preposizione”. Riteniamo superfluo riportare il
giudizio negativo dell’insegnante, fortunatamente di quelli con la “i”
maiuscola. E visto che siamo in tema di proposizioni evitate – se desiderate
scrivere forbitamente – di adoperare l’avverbio “onde” seguito da un infinito
(anche se usato da “firme eccellenti”): ti scrivo onde avvertirti del mio
arrivo. Si dirà, correttamente, ti scrivo “per” avvertirti del mio arrivo. Sí,
siamo caduti nella pedanteria, ma non importa. Onde, è bene ricordarlo, è un
avverbio di luogo, precisamente di moto da luogo, è il latino “unde” e vale “da
dove”; non ci sembra corretto adoperarlo, quindi, per introdurre una
proposizione finale o causale. Non è, insomma, una parolina ‘multiuso’ anche se
molte cosí dette grandi firme non si fanno scrupolo alcuno dell’uso improprio.
Abbiamo sempre detto, infatti, che non tutti gli scrittori sono linguisti e che
non tutti i giornalisti sanno adoperare la lingua a dovere. Voi, amici, seguite
chi volete; se desiderate, però, scrivere (e parlare) correttamente diffidate
di queste “firme illustri”.
martedì 17 aprile 2018
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