Un
cortese “blogghista” desidera sapere se
c’è una relazione etimologica tra l’affezione intesa come “stato morboso”, “stato patologico”, la
classica accezione di “malattia”,
insomma e quella intesa come “affetto”,
“amore”, “tenerezza”, “sentimento”. Questo stesso termine – si domanda il
cortese interlocutore – come può indicare due concetti apparentemente in
antitesi tra loro? C’è, quindi, una relazione etimologica tra i due significati
del termine che ha permesso, per l’appunto, una
“divaricazione semantica” del vocabolo?
Certamente.
L’affezione è, infatti, il latino
“affectione(m)”, un derivato di
“afficere”, composto di “ad” e “facere” (toccare, impressionare, influire).
Nel primo significato l’affezione
“tocca”, “impressiona”, “influisce” sul nostro corpo determinando uno
stato morboso, patologico (affezione gastrica, per esempio); nel secondo
significato l’affezione “influisce” sul
nostro spirito, sul nostro animo dando vita a quel “sentimento di viva benevolenza, attaccamento
a una persona o a una cosa”. Da notare, a questo proposito, che l’affezione,
intesa come sentimento, esprime minore intensità che l’ “affetto” sebbene
abbiano in comune il medesimo “padre”.
Nei confronti di una persona, insomma, è meglio provare un certo affetto che una
certa affezione, anche per non dare adito a... “equivoci semantici”.
Daccanto e d'accanto
Alcuni vocabolari ritengono la forma apostrofata
dell'avverbio daccanto una variante di quest'ultimo. A voler sottilizzare, non
"sarebbe" proprio cosí. Le due grafie esprimono significati diversi.
La forma senza apostrofo sta per "vicino", "presso",
"accanto" e simili: mi raccomando, Giulio, stammi sempre daccanto (vicino); la grafia apostrofata
(ma si può scrivere anche in due parole, "di accanto") vale, invece,"di
torno": Giovanni, mi stai sempre tra i piedi, togliti d'accanto!
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Mettete alla prova la conoscenza del vostro italiano con i "test" preparati dall'Accademia della Crusca in collaborazione con il quotidiano la Repubblica.
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