... vale a dire il bersaglio di tutti, la persona cui vengono
imputate tutte le mancanze, anche se commesse da altri. Essere, insomma, una
vittima predestinata, indipendentemente dal proprio comportamento. Il modo di
dire - che ha sempre una valenza negativa - è particolarmente adoperato nel
gergo della malavita con il significato di “sorvegliato”, “schedato” dalle
forze dell’ordine. L’origine dell’espressione è quanto mai chiarissima: un
tempo le pecore venivano “marchiate”
(segnate) per identificarne l’appartenenza a un gregge e, quindi, a un
proprietario. Oggi si preferisce tingerne un ciuffo di lana con un colore
indelebile. Di qui, per l’appunto, l’uso
figurato.
***
Gentile dott. Raso,
sto leggendo il suo libro "Un tesoro di
lingua" che ho scaricato dalla rete: superlativo! Sto imparando molte cose
che credevo di sapere... Vi ho riscontrato, però, un piccolo "neo"
(per ora, per lo meno) nella sezione del lessico (defatigante e defaticante):
lei scrive che i verbi "defatigare" e "defaticare" hanno
significati distinti. Il primo sta per "stancare", il secondo per
"togliere la stanchezza, la fatica". Incuriosito, perché nelle
cronache sportive ho sempre letto defatigare e mai defaticare nell'accezione da
lei segnalata, ho consultato il vocabolario Treccani in rete e, con mia
sorpresa, ho letto che "defaticare" è variante non comune di
defatigare. I due verbi, insomma, sarebbero sinonimi. Data l'autorevolezza del
Treccani... Come si "discolpa"?
Con viva
cordialità.
Tiberio G.
Lecce
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Caro amico,
non devo discolparmi di nulla. Come ho scritto nel libro i due verbi hanno
origini diverse e, quindi, significati diversi. Il fatto che il Treccani
"dissenta" non vuol dire nulla. Defaticare, comunque, non è a lemma
in tutti i vocabolari (alcuni cadono nello stesso "errore" del
Treccani). Lo registrano, con l'accezione da me riportata, il Sandron, il
Devoto-Oli e il Gabrielli (clicchi su defatigare e defaticare).
***
Ai
tempi, ormai lontani, della scuola ci hanno insegnato (e, forse, insegnano
ancora) una grande baggianata: l’aggettivo gratuito si deve pronunciare
“perentoriamente” con l’accento sulla “ú” (gratúito). No, amici, questo
aggettivo ha due pronunce: gratúito e gratuíto. La
piú comune, però, è la prima: gratúito. Non lo sostiene l’estensore
di queste noterelle, lo sostengono i sacri testi.
Sabatini
Coletti: gratuito [gra-tùi-to, meno freq. …-tu-ì-…] agg.
Gabrielli:
gratuito [gra-tù-i-to] raro, poet. [gra-tu-ì-to]
Dop
(Dizionario di Ortografia e di Pronunzia):
***
Due
parole due sull’uso corretto di qualunque perché non sempre è
adoperato... correttamente. Qualunque, dunque, è un aggettivo indefinito di
quantità e significa l’uno o l’altro che sia. È
invariabile e non si può adoperare in funzione di pronome (il pronome
corrispondente è chiunque). Essendo invariabile non ha plurale; non
è “ortodosso”, quindi, scrivere o dire, per esempio: non mi convincerete mai, qualunque siano
le vostre motivazioni. Un verbo di numero plurale (siano) non può riferirsi a
un singolare (qualunque). In casi del genere si sostituisca qualunque con quali
che (siano le motivazioni). Alcuni vocabolari ammettono, sia pure
raramente, l’uso al plurale, in questo caso, però, sempre posposto al
sostantivo. Un’ultima annotazione. Qualunque si può adoperare anche in funzione
di aggettivo relativo unendo due proposizioni e il verbo che segue va al
congiuntivo (popolare l’uso dell’indicativo). In quest’ultimo caso è grave
errore farlo seguire dal pronome “che” (essendo insito in qualunque). Non,
quindi: voglio sapere qualunque cosa che voi
facciate, ma, correttamente, “qualunque cosa facciate”.
***
Cortese sig. Raso,
qualche giorno fa, rassettando la cantina, ho trovato dentro uno scatolone
un vecchio libro, forse di mio nonno, incuriosito l’ho sfogliato e sono stato
colpito da un passaggio in cui l’autore scriveva: “Io bollisco sempre l’acqua
prima di berla”. È corretto quel “bollisco”? Forse il verbo, “anticamente”, si
coniugava come “finire”?
Grazie e cordiali saluti
Giovanni S.
Orvieto
PS.: meraviglioso il suo libro.
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Gentile
Giovanni, sí, il verbo bollire nei tempi andati accettava le diverse forme in
-isc- o senza (fa parte della schiera dei verbi cosí detti sovrabbondanti, con
più forme per una stessa funzione), anzi la forma incoativa era preferibile per
non confondersi con alcune voci del verbo "bollare"; ma adesso le
moderne grammatiche consigliano solo l'alternativa senza
l’infisso "-isc-". Va tenuta presente, poi, la distanza tra
le grammatiche e l'uso. Certo, oggi, nessuno direbbe piú che l’acqua
“bollisce”, però...
***
***
Lettera aperta all'Accademia della Crusca, che scrive:
Segnaliamo in questa
pagina i volumi ricevuti in omaggio dagli editori di opere di interesse
linguistico che hanno aderito alla nostra iniziativa, promossa nel 2003, volta
a sensibilizzare gli editori stessi verso la fruizione pubblica delle opere.
Non sarebbe meglio sostituire quel "che" (che
hanno aderito) con "i quali"? Di primo acchito sembra che siano le
opere che hanno aderito all'iniziativa. E a proposito di "aderire" ,
non sarebbe meglio sostituirlo con il verbo "accogliere" (o "accettare")?:
i quali hanno accolto la nostra iniziativa. Aderire non significa
"attaccare" e simili? Sí, aderire qui è adoperato con uso figurato,
però...
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