Forse non tutti sanno che c’è una “parentela etimologica” tra il soldo e il soldato. Vogliamo vederla? Anzi, scoprirla? Cominciamo dal soldo, che è una moneta – ormai scomparsa dalla circolazione – di basso valore: la ventesima parte di una lira (prima dell’avvento dell’euro). Il suo valore, dunque, era talmente infimo che noi, per mettere in risalto il fatto che una determinata cosa non vale assolutamente nulla diciamo, infatti, che “non vale un… soldo”. In origine, però, non era affatto cosí: il termine soldo indicava una moneta pesantissima e, per tanto, di ‘immenso’ valore. Si pensi ai Romani, che chiamavano “nummus aureus solidus” o, semplicemente, “solidus” , la moneta (‘nummus’) di oro massiccio. Il termine, dunque, ha cambiato di significato (si fa per dire) per il mutare dei costumi e delle condizioni storiche in cui vivono i parlanti: la perdita di valore della moneta ha tolto valore anche al suo nome. Questa premessa sul soldo per vedere, appunto, la parentela con il soldato. Occorre, però, tornare indietro nel tempo in cui gli eserciti erano formati dai cosí detti mercenari, vale a dire da gente che si metteva a disposizione, o meglio al servizio, di un signore o di uno Stato ricevendone un compenso. Questo compenso era chiamato ‘soldo’ (perché consisteva in moneta, ‘solidus’) e coloro che lo percepivano erano chiamati “assoldati”, vale a dire arrolati per guadagnarsi il ‘soldo’. Da assoldato – per il solito processo linguistico – è venuto il “soldato”, termine che si è conservato anche ora che i soldati non sono piú mercenari. E a proposito di mercenari, il vocabolo non vi dice nulla? Analizziamolo assieme: dal latino “mercenarius”, derivato di ‘mercedem’ (mercede, paga). Il mercenario, quindi, è «colui che serve gli altri per mercede». Il vocabolo era molto “in voga” alla fine del Medio Evo e nel Rinascimento in quanto designava, appunto, le truppe mercenarie, che servivano chi piú pagava, combattendo senza passione e senza ‘fede’ (politica).
domenica 28 ottobre 2012
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