Non crediamo di sbagliare se affermiamo che molte persone, anche quelle cosí dette acculturate, alla vista del titolo strabuzzeranno gli occhi e parafrasando il Manzoni si domanderanno: «Rizotonica! Chi era costei?» . Sí, perché - come abbiamo ‘denunciato’ altre volte - buona parte dei sacri testi di lingua non riportano il gergo o glossario linguistico ritenendolo, forse, di esclusiva ‘proprietà’ degli addetti ai lavori. E sbagliano. La lingua è di tutti. Le persone assetate di… lingua hanno tutto il diritto di abbeverarsi a una fonte limpida e inesauribile. Vediamo, quindi, di colmare – sia pure modestamente – questa lacuna. Si chiamano rizotoniche – in lingua – le parole che hanno l’accento tonico (quello che si ‘legge’ ma non si segna graficamente) sulla radice o tema: pàdre; céna; sèdia; e, al contrario, si dicono rizoatone (o arizotoniche) le parole il cui accento cade sulla desinenza o sul suffisso: padríno; cenétta; sediòla (abbiamo segnato l’accento, in entrambi i casi, per mettere bene in evidenza la ‘tonicità’). Quando parliamo, quindi, senza rendercene conto, adoperiamo le une e le altre, sempre. I due termini, manco a dirlo, ‘odorano’ di greco essendo composti, infatti, con la parola greca ‘rhizo’ (da ‘rhiza’, radice). La differenza tra le parole rizotoniche e quelle rizoatone si nota, particolarmente, quando si coniuga un verbo il cui interno contiene un dittongo mobile: alle forme rizotoniche dittongate si contrappongono quelle rizoatone, con vocale semplice: viene, veniva; nuocere, nociuto; accieca, accecava; suonare, sonava.
martedì 9 ottobre 2012
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