Si chiama "francesismo" ─ secondo il vocabolario Treccani (in rete) ─ ogni «Parola, locuzione o costruzione sintattica francese introdotta in altra lingua, sia nella forma originaria, come cachet, garage, sia con un adattamento strutturale, come per es., in ital., blusa, lavaggio (e moltissime altre parole in -aggio), d’abitudine (per di solito), ecc. Meno com., usanza propria dei Francesi».
Il nostro idioma abbonda di francesismi "travestiti", cosí chiamati perché hanno assunto una veste italiana. Chi scrive non condanna i termini francesizzanti (entrati, ormai, nell'uso); consiglia, però, di farne un uso parco e di sostituirli, ove possibile, con vocaboli schiettamente italiani.
Vediamo, dunque, piluccando qua e là tra le varie pubblicazioni, alcuni francesismi (in parentesi i corrispettivi termini "italiani"): avevo il portafogli nella tasca del gilè (panciotto, corpetto) ma ora non lo trovo piú; in questo negozio si vendono prodotti all'ingrosso e al dettaglio (al minuto); ciò che cerchi si trova nel tiretto (cassetto) a sinistra; il documento è privo del timbro (bollo) dell'ufficio che lo ha redatto; il giovanotto era privo di risorse (mezzi) per sopravvivere a lungo; prima di uscire assicurati che il rubinetto (chiavetta) dell'acqua non perda; questo libro è ricco di vignette (illustrazioni); raccontami tutto, soprattutto i dettagli (particolari); perché vuoi azzardare (arrischiare) tanti soldi in un'impresa incerta?; la giovane attrice debutterà (esordirà) la prossima settimana al teatro "La Rosa".
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quindi. Se víolano i diritti d'autore scrivetemi: saranno prontamente rimosse)
4 commenti:
Un altro francesismo molto in voga è la costruzione verbale del "futur proche" (futuro prossimo, che io sappia inesistente in italiano). Gli esperti di cucina, cioè coloro che quotidianamente, da quasi tutti i canali TV, ci propinano ricette descrivendone la realizzazione, anche quando parlano di cibi assolutamente italiani si sentono obbligati a mostrare - a parole - di essere all'altezza dei loro "maestri" d'Oltralpe. Alcuni esempi:
- "vado a tagliare a dadini", mentre sta già tagliando;
- "andiamo a infornare" (spesso e volentieri si danno del "voi": aumenta il prestigio);
- "andiamo a sfumare con un po' di vino bianco";
- "andiamo ad impiattare",
e così via.
Non capisco se si tratti di dipendenza culturale dalla cucina francese, o semplicemente di desiderio di mostrarsi "colti".
P.P. Falcone
Lungo i secoli moltissime parole straniere sono state italianizzate e quindi accolte nel nostro idioma (sapone, basilico, albicocca, guerra etc.). Oggi si assiste a una tremenda realtà: i termini inglesi si scrivono come in Inghilterra e si pronunciano in quella lingua. Non solo: molte parole nostre si dicono storpiandole. Anche quelle latine, es. tutor e media, che vengono pronunciate così: tiutor e midia. Che altro dire? Siamo allo sfascio d'un "analfabetismo di ritorno", come asseriva il compianto Tullio De Mauro.
Aldo Onorati
Concordo sul fatto che non si possano "condannare" questi termini francesizzanti perché davvero radicatissimi nell'uso. Sulla possibilità però di sostituirli con vocaboli schiettamente italiani avrei alcune perplessità. In particolare:
1) Gilè: va benissimo sostituirlo con "panciotto" o "corpetto", ma ormai si tratta di un vocabolo molto radicato, soprattutto poi se scritto all'italiana (come "bidè", preferibile alla grafia "bidet", tanto più che tale accessorio è usato più in Italia che in Francia). Cfr. il Battaglia-Barberi Squarotti:
"Foscolo, IV-474: Era vestito del gilè, de’ calzoni lunghi e degli stivali. E. Visconti, Conc., II-92: Se io dicessi... che un sarto per far bene un gilè deve prendere... la misura d’un piede, io sarei pazzo. Mazzini, 10-438: Vi dico, che manco di gilè, *vulgo* gipponetti; ma fate sempre nero, perché chi li porta è nero ed ama il nero. Verga, 2-91: Stava appoggiato allo stipite di un uscio, colla mano nascosta nel gilè. Deledda, II-54: Grosso, rosso in viso, con gli occhi azzurri e i capelli rossicci, col gilè di terziopelo attraversato da una enorme catena d’oro, veniva salutato, riverito."
2) Al dettaglio: senza dubbio sostituibile con "al minuto".
3) Tiretto: ormai mi sembra che il vocabolo "cassetto" prevalga in ogni circostanza e quindi "tiretto" abbia ben pochi utenti.
4) Timbro: no, io manterrei senz'altro "timbro", perché non sempre è sostituibile con "bollo". Poi ci sono ottime attestazioni: "Monti, IV-3: Gli è impossibile l’indovinare l’autore dell’iniqua lettera cieca da voi mandatami, non potendosi sapere per mancanza di timbro da che parte proceda. Carducci, II-19-112: Farai ricerca d’un pacco di stampe venute dalla signora Mario con timbro di Lendinara e me le manderai qui al Senato. Ojetti, I-ii: Nel mezzo di palazzo Orfei ha stabilito il suo ufficio: stemma alla porta, ritratto di re Alfonso sulla scrivania, timbri e sigilli. Soldati, IX-271: A più riprese, il timbro automatico parve incepparsi. E l’impiegato (era un giovane coi capelli rossi), adagio adagio, con la punta di un temperino, lo aggiustava". Per non parlare del "timbro della voce", certo non sostituibile con altre espressioni.
5) Rubinetto: beh, qui pretendere di sostituire "rubinetto" con "chiavetta" susciterebbe solo l'ilarità di idraulici e negozi di ferramenta. E lo stesso Gabrielli osservava che "pretendere di cancellare la voce dall'uso sarebbe vano".
6) Vignetta: il fatto è che oggi per "vignetta" non si intende ogni genere di illustrazione, ma, di solito, un'illustrazione che rappresenta una scena satirica o umoristica corredata da didascalie o fumetti. Lo stesso Gabrielli dice che il francesismo "è d'antichissimo uso e non è certo il caso di condannarlo". Del resto, ecco alcuni degli autori che usano il vocabolo: "Bettinelli, XII-164: Caratteri e carta sceltissimi, vignette e finali de’ più valenti incisori. P. Verri, 2-III-339: Nel primo tomo vi sono più di trenta vignette. Manzoni, V-2-118: Comincerò dal considerare l’edizione progettata, in confronto con una ristampa simile, cioè corretta e accresciuta, ma senza vignette. Carducci, III-27-45: Un Almanacco... con gran lusso di carta, di caratteri, di inchiostro e di vignette scollacciate, fu stampato dai fratelli Centenari di Roma in 20.000 esemplari. Baldini, I-279: Fino a quel momento il nostro pittore s’era accontentato delle vignette satiriche. Calvino, 8-22: Adesso, queste storie si raccontano meglio con dei fumetti che non con un raccolto di frasi una dopo l’altra. Ma per disegnare la vignetta con l’uccello sul ramo e io affacciato e tutti gli altri a naso in su, dovrei ricordarmi meglio com’eran fatte tante cose che ho dimenticato da tempo".
7) Dettaglio: senza dubbio si può sostituire con "particolare", ma soprattutto nella prosa degli autori dell'età illuministica era molto diffuso: "Baretti, 1-44: Si reputa perfino mala creanza negli uomini l’entrare nel distinto dettaglio d’un solo fatto di tal sorte in presenza di donne civili, e di giovani dame spezialmente. P. Verri, I-280: Si entrò con un’improba fatica ne’ più minuti dettagli, stendendo le istruzioni per tutti i subalterni e finalmente si trasmise un fascio di roba, che era un volume, alla sovrana approvazione. Cesarotti, I-432: V’è bensì molto d’accuratezza nelle discussioni grammaticali e filologiche, e di sagacità nelle deduzioni, ma in fondo egli non fa che illustrar e dilatare l’assunto e le prove altrui coi dettagli di una erudizione talora pesante, né compensata abbastanza da una certa piacevolezza di stile. Monti, II-172: A questo proposito è inutile il dirti che i Francesi sono entrati in quella capitale dopo più giorni di sangue. Non abbiamo dettagli particolari, ma si sussurrano voci che fanno tremare sulla difficoltà di far adottare a quei cervelli sulfurei un nuovo sistema politico.
8) Azzardare: senza dubbio sostituibile con "arrischiare", ma lo stesso Tommaseo osserva: "❖[T.] V. a. Esporre una cosa all'azzardo, o Farla con azzardo o A azzardo. Più italianam. Risicare, o Avventurare, o Osare, e altri, secondo i casi. Sennonchè nell'Azzardare può essere più incertezza, e più deliberata volontà di Osare e di Cimentare, e l'idea di risico maggiore e di più grave caso. Zara e Zaroso essendo voci antiche ital., Azzardare per sé non sarebbe barbaro quando ci sia idea di cosa incerta più con risico che con pericolo".
9) Debuttare: anche qui "esordire" è forse preferibile, ma non mancano buoni scrittori che usano "debuttare": "Collodi, 754: La Madre della debuttante, per solito, ai suoi tempi, è stata una bella donna, o almeno lo crede. Di Giacomo, II-454: Autore di una ventina d’opereserie, di molte cantate, di quattro o cinque oratorii e di tre serenate pel Teatro del Reai Palagio, egli si presenta con titoli rispettabilissimi. Ha debuttato con l'Opera d'Amore, un melodramma sacro, scritto per l’Arciconfraternita dei Pellegrini a Napoli, nel 1704".
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