giovedì 10 dicembre 2020

Sgroi - 90 - Ambiguità e "interpretazione testuale" della comunicazione


 di Salvatore Claudio Sgroi

 

1. Perché non ci si capisce?

Se è vero che una delle funzioni del linguaggio verbale è quella di favorire la comunicazione interpersonale, è anche vero che la linguistica deve dar conto del perché la comprensione spesso fallisce o è oggetto di fraintendimenti.

         2. L'evento mail-are

Qualche giorno fa mi è capitato di inviare contemporaneamente a due cari amici – X e Y – la seguente e-mail:

 "Caro X,

[i] mi dispiace per quello che mi scrivi; [ii] anche Y si è espresso per tel. in tal senso per la circolazione del PDF prima del vol. cartaceo".

 3. L'interpretazione di Y per estrapolazione

L'amico Y ha interpretato l'e-mail estrapolando, per così dire, la frase [ii], senza cioè tener conto della frase [i]. Ovvero non ha collegato il sintagma "anche Y" con il "tu" (=X) della frase precedente che si era espresso per l'identica reazione negativa per la circolazione del PDF. E contemporaneamente Y ha interpretato la frase [ii] come se fosse priva delle parole qui tagliate:

  " anche Y si è espresso per tel. in tal senso per la circolazione del PDF prima del vol. cartaceo". 

 Ovvero "anche Y si è espresso per tel. a favore della circolazione del PDF prima del vol. cartaceo".

In base a tale interpretazione si è poi lamentato con me (per tel.) perché gli avrei attribuito una intenzione che non era affatto la sua, e che era ben lontana dalle  mie intenzioni di volergli attribuire.

 4. Interpretazione "testuale"

In realtà, però, il collegamento di "anche Y" con il ["tu"=X] della frase [i] avrebbe evitato tale errata interpretazione, a vantaggio di quella corretta:

 "[i] mi dispiace per quello che [tu] mi scrivi; anche Y [contrario come X alla intempestiva circolazione del PDF] si è espresso per tel. in tal senso per [=contro] la circolazione del PDF prima del vol. cartaceo".

 5. L' "onnipotenza semantica"

Nel dialetto siciliano c'è il modo dire testa ca non parra è cucuzza "testa che non parla è cocuzza" cioè "persona sciocca". Che a me sembra la versione popolare del principio teorico di linguistica generale, e della semiotica, della cosiddetta "onnipotenza semantica". In virtù della quale grazie alle parole di qualunque lingua, rispetto anche a tutti gli altri linguaggi non-verbali, è sempre possibile dire tutto, e quindi chiarire in maniera sempre perfettibile (grazie alle parole, senza venire alle mani) quanto non è chiaro o ambiguo.

          Sommario

1. Perché non ci si capisce?

2. L'evento mail-are

3. L'interpretazione di Y per estrapolazione

4. Interpretazione "testuale"

5. L' "onnipotenza semantica"













3 commenti:

Claudio Antonelli (Montréal) ha detto...

La spiegazione fornitaci circa l’interpretazione errata data dal destinatario al messaggio seguente « [i] mi dispiace per quello che mi scrivi; [ii] anche Y si è espresso per tel. in tal senso per la circolazione del PDF prima del vol. cartaceo" non mi appare convincente (vedere il testo del post). A me sembra che qui non vi sia uno sbaglio causato da « estrapolazione », bensi’ uno sbaglio causato dal diverso significato che “per” ha per l’emittente e per il ricevente. Almeno cosi’ io interpreto il “disguido”. Mi spiego : l’emittente del messaggio e il suo destinatario hanno dato un senso differente a « per la circolazione ». Per chi ha inviato l’e-mail il « per » valeva “in relazione a” (quindi “contro”), per chi l’ha ricevuto il “per” è stato inteso “a favore”.
Trovo – oso dire – strano che linguisti e accademici italiani sollevino raramente il problema della chiarezza del testo, ma si preoccupino soprattutto del rispetto delle regole imposte dalla grammatica e dalla sintassi. E beninteso imposte dal “suona bene”, gigantesca pastoia della lingua italiana… Forse c’entra come il cavolo a merenda l’esempio che sto per dare, ma che io considero invece pertinentissimo circa questo “disinteresse” verso la chiarezza del discorso. Mi riferisco al termine « nipote », termine ambivalente in italiano, che non ha dato luogo, per esigenze di chiarezza, a nessun anglicismo, francesismo o neologismo per distinguere il nipote abiatico da quello « di zio ». Pur essendo contro gli anglicismi – i quali spesso servono a confondere il messaggio per chi conosce l’inglese: vedi “rider” usato per “fattorino con bicicletta”, o “writer”, usato per “graffitaro” – io adotterei, anche alla mia età, un “grandchild” o un “nephew” unicamente perché cio’ mi faciliterebbero il discorso.

Anonimo ha detto...

L'intervento del signor Claudio Antonelli mi ha fatto ricordare questo interessante articolo del professore universitario Paolo D'Achille.
Riporto qui sotto il collegamento dell'articolo in questione. Buona lettura!

https://accademiadellacrusca.it/it/consulenza/c%C3%A8-nipote-e-nipote/1148



Renato P.

Fausto Raso ha detto...

QUI l'articolo segnalato dal gentile Renato P.