sabato 12 dicembre 2020

L'emancipato


 L’emarginazione ─ di cui abbiamo parlato il 5 scorso ─ ci ha fatto venire alla mente per assonanza, ma soprattutto per contrasto, l’emancipazione, che potremmo definire il suo contrario. Questa volta il termine è registrato in tutti i vocabolari in quanto è di chiara provenienza... latina. Alla voce in oggetto possiamo, infatti, leggere: “L’emancipare, secondo il diritto odierno e secondo il diritto romano e, in senso figurato, il sottrarsi da uno stato di soggezione e la condizione che cosí si raggiunge”. Il tutto, però, non è chiaro se non esaminiamo, con attenzione, il verbo dal quale il termine deriva: emancipare, appunto. L’emancipazione, quindi, è un deverbale, cioè un sostantivo “partorito” da un verbo. A questo punto diamo la “parola” a Ottorino Pianigiani, illustre glottologo, che sarà di gran lunga piú chiaro dell’autore di queste noterelle, anche se ─ come scritto piú volte ─ non gode della "fiducia linguistica" di numerosi studiosi. Vediamo, dunque.

In senso figurato, per tanto, l’emancipazione è la liberazione da una soggezione di qualunque tipo: emancipare le donne, riconoscere loro, cioè, gli stessi diritti dell’uomo. L’emancipato, quindi, come dicevamo, non si può considerare il contrario dell’emarginato? O no!? Anche in questo caso concludiamo le noterelle con un "pensiero", questa volta è di Brian Weiss: “Una delle lezioni più importanti della vita è quella di imparare l'indipendenza: comprendere la libertà, che significa emancipazione dall’attaccamento, dai risultati, dalle opinioni e dalle aspettative.”

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In italiano non esiste un termine corrispondente al francese  entraîneuse,  cioè ragazza che nei locali notturni intrattiene i clienti incitandoli alla consumazione, soprattutto di bevande alcoliche molto costose. Non potremmo chiamarla "intrattenitrice"? Creando, cosí, un neologismo semantico (vocabolo esistente con cambio di significato): Giovanna è l'intrattenitrice nel locale sito in via Guglielmo Marconi.


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