Un
testo decisamente notevole, di agevole ma densissima lettura per tutti, specialisti
o no, da leggere e rileggere, quello di Sandra
Covino 2019, Linguistica e nazionalismo tra le due guerre mondiali. Scienza e ideologia negli epigoni
ascoliani, il Mulino, pp. 271, con una bibliografia di ben 63 pp. (quasi un
quarto del volume), costituita da varie centinaia di titoli, tra articoli e volumi
italiani e stranieri, analizzati nel merito in una trama di fittissime note.
In
generale, ognuno di noi ha inevitabilmente "una ideologia o credenza
politica", condivisibile o meno, che nel caso di uno scienziato o umanista
coesiste con una "concezione (ma per alcuni "ideologia")
scientifica" della realtà, nei suoi diversi aspetti. L'"ideologia"
(p. 33 n.) essendo sinonimo di 'verità soggettiva' rispetto alla verità
incontrovertibile della "scienza", per quanto anche questa variabile
secondo le diverse scienze ("dure" o "molli") e comunità di
scienziati.
La
inevitabile compresenza di queste due realtà (ideologia politica e concezione
scientifica del mondo) potrebbe far credere che la soluzione migliore sia
quella di ignorare l'"ideologia politica" a tutto vantaggio di quella
"scientifica" in quanto espressione della verità vera. Come se si
trattasse di un "matrimonio impossibile".
A
mio parere invece, proprio la innegabile coesistenza delle due realtà dovrebbe suggerire,
rinunciando alla "illusione dell'autonomia scientifica" (p. 19), di tener
conto di entrambe e di tenerle sotto controllo: come dire un matrimonio,
preceduto da un "accordo pre-matrimoniale". Quali allora gli accordi
legittimi?
In
primo luogo, i risultati della Ricerca scientifica con una loro tendenziale coerenza
interna e con le inevitabili inadeguatezze rispetto ai problemi e interrogativi
rimasti aperti della realtà, dovrebbero rimanere estranei rispetto alle scelte
politiche.
In
secondo luogo, tali risultati, se sono 'spesi' a sostegno di una determinata
ideologia politica, non possono però essere manipolati, nascosti o addirittura inventati.
È
anche possibile in terzo luogo che una certa "concezione scientifica"
(progressista) venga abbandonata per una opposta "ideologia
scientifica" (più arretrata) che meglio soddisfa però una certa ideologia
politica.
Il
tema affrontato nel volume dalla Covino riguarda il rapporto tra scienza e
ideologia, nello specifico tra linguistica e nazionalismo, quale si è
presentato nella linguistica italiana ed europea alla fine dell'800 e nella
prima metà del '900, nell'opera soprattutto di autori quali Graziadio Isaia
Ascoli [1829-1907] (pp. 29-38), Carlo Salvioni [1858-1920] (pp. 38-40), Matteo
G. Bartoli [1873-1946] (pp. 65-85), Carlo Battisti [1882-1977] (pp. 40-64), a
proposito della questione ladina e alto-atesina, l'Istria, la Dalmazia (cap.
II). E poi in autori come Clemente Merlo [1879-1960] vs M.G. Bartoli, C.
Battisti, Benvenuto A. Terracini [1886-1968] (cap. III). E quindi in Francesco D'Ovidio
[1849-1925] e Ugo Schuchardt [1842-1927] (Appendice).
Il
volume illustra di fatto le soluzioni sopra previste ovvero: (i) l'"assenza
di intenzioni politiche" (pp. 43 e 34) rispetto alla ricerca storica in
G.I. Ascoli (pp. 33-38), quindi la indipendenza dei risultati della ricerca
scientifica rispetto all'ideologia politica (vedi C. Merlo); (ii) l'utilizzo
della ricerca scientifica subordinata alla ideologia politica (v. C. Salvioni),
magari con manipolazioni (v. M.G. Bartoli e C. Battisti); – (iii) l'abbandono
di una concezione scientifica progressista per una decisamente arretrata ma più
confacente per le tesi politiche, così nel caso di U. Schuchardt.
G.I. Ascoli, "sebbene egli stesso 'irredento', vide con crescente sospetto il nesso tra " Irredentismo e tendenze militaristico-autoritarie" (p. 29). Il "costante dissenso [...] nei confronti dell'estremismo irredentista" (p. 30 n.) non fu disgiunto da un "orientamento democratico e repubblicano" sotteso alla "sua posizione sulla questione giuliana e sui rapporti tra Italiani e Slavi" (ibid.). La "costante difesa della italianità di Gorizia" si accompagnò al "riconoscimento del diritto degli Sloveni allo sviluppo economico e politico" (ibid.). "Chiari e indubbi i suoi sentimenti identitari italiani [...], mai intaccati dal suo sentimento di appartenenza alla scienza tedesca" (p. 30). La sua tesi scientifica sull'unità (storico-tipologica del ladino) "era del tutto estranea a qualunque conclusione di natura pratica" (p. 34).
Nel
caso del ladino la tesi di Carlo Salvioni
(1917) della "continuazione delle tre sezioni (grigionese, dolomitica e
friulana) con i dialetti pedemontani e della pianura" (p. 38) giustifica
"la legittimità politica per l'Italia di occuparsi dei Ladini" (ibid.).
M.G. Bartoli, intransigente
irredentista, voleva invece inglobare nei confini italiani anche la Dalmazia
(p. 69) con minoranza italiana, malgrado la maggioranza costituita da slavofoni,
mutando così dopo il 1918 una precedente posizione (p. 67 n.). Avrebbe altresì
occultato, stando a Z. Muljacic e N. Vuletic, "la natura intrinseca, indipendente e variegata del
dalmatico" (p. 82).
Sostenitore
(1925) sì dell'importanza del "prestigio" linguistico (p. 78) quale
elemento di mutamento linguistico, alla base della nozione gramsciana di
egemonia, ma sul quale "gravò il condizionamento di un forte pregiudizio
nazionalistico" (p. 78).
"Il
rapporto che lega nell'ottica di Bartoli purezza linguistica e superiorità
etnico-culturale, unito alla fede nell'ideale continuità, fino quasi
all'identificazione, tra romanità e italianità, condizionò – sottolinea la
Covino – anche le sue fondamentali ricerche sul dalmatico di Veglia" (p.
80).
Come
sottolinea la Covino, "nel ventennio fascista, personalità di primo piano,
sia tra i neolinguisti sia tra i neogrammatici offrir[ono] un sostegno
'scientifico' a rivendicazioni annessionistiche e a programmi di
italianizzazione forzata di regioni di frontiera, sfruttando anche i miti della
romanità civilizzatrice del classicismo nazionalistico" (p. 12, anche p.
73).
C.
Battisti, autore (con l'allievo G. Alessio) dell'insuperato Dizionario etimologico Italiano
(1950-1957, 5 voll.), contrario all'ipotesi ascoliana dell'unità ladina fin dal
1906-1907, mostrò da parte sua un comportamento non proprio condivisibile nel
1904 pubblicando (p. 55) il volgarizzamento della Catinia del 1482. Dove non
ebbe dubbi per la "introduzione di elementi trentini e [l']eliminazione di
tratti incompatibili" per il "desiderio [...] di contribuire per via
linguistica e storico-letteraria alla causa dell'irredentismo" (ibid.).
La
posizione di C. Merlo (1879-1960) è quella più coerente scientificamente e
politicamente verso gli altri colleghi, di diverso orientamento scientifico e
politico.
Contro
il suo maestro C. Salvioni, e contro C. Battisti, sostenne "l'appartenenza
del ladino a un gruppo linguistico unitario e autonomo dai dialetti
nostrani" (p. 89). "Le differenze fonetiche e lessicali fra ladino
grigione, dolomitico e friulano [...] non sono tali [d'accordo con Ascoli 1873]
da scuotere la compagine latina. Le vere grandi differenze sono [...] fra
ladino e italiano settentrionale" (pp. 89-90).
Denuncia
"il pregiudizio politico alla
base della posizione di Bartoli" (p. 93), che legava il dalmatico "ai
dialetti italiani centro-meridionali" (p. 92) ignorando o sottovalutando per Merlo i legami col
ladino e il rumeno (p. 93). "Tali concordanze erano più funzionali alla
tesi della italianità della Dalmazia [...] - stando al Merlo - più di quanto non lo fossero le
affinità col ladino, la cui italianità era oggetto di dispute (p. 97); "di
una questione puramente e altamente scientifica si cerca di fare una questione
politica" (p. 98).
Come
sottolinea la Covino, "Pochi seppero tenere distinte le proprie
convinzioni scientifiche, [...] dalle simpatie politiche [...] come nel caso di
Clemente Merlo [...] in nome della fedeltà ad Ascoli, rivendicata anche dopo la
promulgazione delle leggi razziali, e fu in nome di una solidarietà umana
[verso l' "idealista" B. Terracini, ebreo costretto ad emigrare in Argentina in seguito alle leggi razziali] che non si lascia condizionare dal
contrasto delle opinioni scientifiche" (p. 13).
U.
Schuchardt ritiene che l'Alto Adige
tedesco abbia subito "uno stupro" (p. 162) per l'annessione
all'Italia, in quanto gli è stato negato, a differenza di altre comunità, "il
diritto all'autodeterminazione" (ibid.),
come emerge dalla corrispondenza con Francesco D'Ovidio, con cui i rapporti furono
interrotti durante la guerra per quasi 5 anni (p. 141) e ripresi nel 1919 (p. 135).
Dall'analisi
della Covino si evidenzia in U. Schuchardt l'abbandono nei suoi scritti militanti di una concezione
scientifica progressista per una decisamente arretrata ma più confacente alle
sue tesi politiche.
"Lo
scienziato delle lingue" – sottolinea la Covino – si era avvicinato al
"purismo xenofobo (...) nonostante il suo passato di filologo
internazionalista e il ruolo da lui attributo in precedenza al plurilinguismo
come strumento per garantire la pacifica convivenza tra i popoli in un impero
multinazionale come quello asburgico" (p. 134).
Trasformismo
rispetto a cui un suo brillante allievo, Leo Spitzer, ha voluto mettere "in
risalto l'insegnamento perenne [del maestro], stendendo un velo sulle sue debolezze" (p.
191).
All'interno
del contrasto tra tesi scientifiche e ideologia politica, anche le scelte terminologiche
non possono non risentire di tale clima. Così nel caso dei toponimi come Alto Adige divulgato dall'ultranazionalista
ed estremista Ettore Tolomei (p. 61) rispetto all'austriaco Südtirol
(pp. 52 n., 53) o Venezia Giulia coniato nel 1863 da G.I. Ascoli (p. 66), Venezia
Tridentina (p. 56).O l'uso del termine "colonie/oasi linguistiche"
indicanti le località delle minoranze linguistiche rispetto a "isole
tedesche" (p. 51). O la scelta di logonimi ovvero glottonimi ('nomi di
varietà linguistiche') quali retoromanzo (p. 53) Battisti 1910 (ma
ancora datato 1934 nei dizionari di De Mauro, Zingarelli, Devoto-Oli) (<
ted. Raetoromanisch 1883 Gartner p.
35), o reto 1910 Battisti (p. 53) 1934 per indicare il più comune 'ladino'
1873 (p. 53), < ted. Ladinisch
1832 (J.T. Haller p. 34); – o il dalmatico 'idioma della Dalmazia', risalente
a M. Bartoli (p. 81), però tutt'altro che unitario (p. 82) e diversificato in raguseo 'dalmatico di Ragusa/Dubrovnik'
e vegliot(t)o 'dalmatico di Veglia
/Krk'; – o istrioto ('neolatino dell'Istria') per i linguisti italiani e
istro-romanzo dovuto a involuzione nazionalistica (p. 134) per i
linguisti già iugoslavi (per es. P. Tekavčić) indicante 'il sistema romanzo a
sé stante dell'Istria' (pp. 84-85). O ancora "la preferenza di neolatino
o romanzo" riferito al dalmatico da Bartoli 1906 (p. 73 n.)
da lui indicato (1933-34) come "italiano dalmatico".
Il
fine della ricerca per la Covino, in conclusione, "non [è] giungere a condanne
o assoluzioni di tipo etico-politico" (p. 29) – a cui peraltro il lettore è
pur libero di aderire o meno – con le "necessarie contestualizzazioni nel
clima culturale e ideologico del periodo" (ibid.).
Alla
fine, la riflessione sul passato proposta dall'A. deve certamente servire "ideologicamente"
quale "monito [...] nel clima di
risorgenti egoismi nazionali di cui l'Europa è tornata a essere testimone in
questo tempo" (p. 192).
Per
riprendere un intervento di Tullio De Mauro del 1990, ricordato da Stefano
Gensini nel volume Les langues dans la
vie. Hommage à Tullio De Mauro
(Limoges, Lambert-Lucas 2019), con F. Nietzsche (Considerazioni inattuali
1873) si può ricordare che "La parole du passé est toujours un oracle;
ce n'est qu'en tant que constructeur du futur, en tant que connaisseur du
présent, que vous comprendrez" (p. 59). Nella traduzione di B. Croce: "La parola del passato è sempre
simile a una sentenza d'oracolo; e voi non la intenderete se non in quanto
sarete gli intenditori del presente, i costruttori dell'avvenire.” O
ancora con Benedetto Croce (1915): "chaque histoire, si c'est de
l'histoire, c'est toujours contemporaine".
1.
L'evento editoriale
2.
Premessa: matrimonio sì, ma con "accordo pre-matrimoniale"
3.
Tre scelte nel rapporto "scienza e ideologia"
3.1.
Ricerca scientifica indipendente rispetto alla ideologia politica (G.I. Ascoli)
3.2. Ricerca scientifica subordinata
alla ideologia politica (C. Savioni), magari con occultamento scientifico (M.G.
Bartoli)
3.2.1.
C. Battisti e manipolazione di dati linguistici
3.3. Ricerca scientifica e
ideologia politica indipendenti: Clemente Merlo
3.4. Abbandono di una concezione
scientifica progressista: Ugo Schuchardt
4.
Toponimi e termini linguistici non neutrali
5.
Finalità 'ideologiche': il passato per capire il presente
Nessun commento:
Posta un commento