In
occasione della festa di San Valentino riproponiamo un nostro vecchio
intervento, certi di far cosa gradita ai gentili lettori.
Oggi
è San Valentino e la tradizione vuole che sia il protettore degli innamorati.
Abbiamo pensato, per tanto, di fare un omaggio, un regalo ai giovani
innamorati, innamorati, però, della... lingua, spiegando loro l’etimologia
del “regalo” in generale.
Prima,
però, per la gioia delle lettrici che ci onorano della loro attenzione,
riportiamo un pensiero di Anita Loos sulle cose da regalare (alle innamorate):
“Quando ti baciano la mano, questo può farti molto, molto piacere, ma un
braccialetto di zaffíri o un diamante durano tutta la vita” (amanti e
innamorati, siete avvertiti...).
E
veniamo al regalo. Anche in questo caso (come quasi sempre, del resto) dobbiamo
chiamare in causa il padre della nostra lingua: il nobile latino. Per
spiegarci, però, è necessario prendere il discorso un po’ alla lontana.
Vediamo.
I
Latini, nostri progenitori, avevano un verbo, “regere”, passato in
italiano tale e quale se si eccettua l’aggiunta di una “g”. Questo
verbo aveva un’infinità di significati: governare, guidare, reggere, condurre,
dirigere. Il sostantivo “re”, infatti non è altro che un deverbale,
vale a dire un nome derivato dal verbo in questione, precisamente è
l’accusativo “re(gem)”, tratto, per l’appunto,
da “regere”. Il re, quindi, è colui che “regge” le sorti di una
Nazione, di uno Stato.
Da ‘re’
sono stati formati gli aggettivi “regio” e “regale”. Da
quest’ultimo, attraverso la lingua dei nostri cugini spagnoli, ci sono giunti i
termini “regalo” e “regalare”. Il regalo, propriamente, è
un “dono al re”, mentre lo spagnolo “regalar” – sempre propriamente
– significa “rendere omaggio al re”.
Attraverso
i secoli il ‘regalo’ ha perso il significato originario di “dono al
re” assumendo l’accezione generica di “dono”, “omaggio”, “regalo” e
simili; mentre il verbo ‘regalare’ il significato, sempre generico,
di “offerta che si ritiene utile e gradita”.
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