DUE PAROLE, due, sul pronome (riflessivo) sé perché
non sempre è adoperato correttamente. Innanzi tutto si scrive sempre con
l’accento, anche quando è seguito da stesso o da medesimo e
si riferisce solo al soggetto (sia singolare sia plurale) della proposizione.
Quando non è riferibile al soggetto va sostituito con lui, lei, loro,
secondo i casi; diremo o scriveremo, quindi, che “il bambino già si veste
da sé” e che “la mamma ha voluto che i figlioli andassero con lei”.
Quando il soggetto è plurale, secondo alcune grammatiche, il “sé” può essere
sostituito con “loro”; lo deve essere sempre, invece, quando si vuole indicare
un’azione reciproca. Sono errate, per tanto, alcune frasi che abbiamo
estrapolato dalla stampa: “Il cantante, attesissimo, non sapeva che tutti
parlavano di sé”; “Il mondo andrebbe meglio se gli uomini si amassero e
parlassero di piú tra sé”.
SPESSE VOLTE, probabilmente senza rendercene conto,
infarciamo i nostri scritti di preposizioni che, “in realtà”, sono superflue se
non addirittura errate. Sarebbe bene, per tanto, rileggere con la massima
attenzione le nostre “opere letterarie” prima di darle, si fa per dire, alle
stampe. Qualche esempio renderà il tutto piú chiaro. Vediamo, quindi,
piluccando qua e là, di “scovare” queste preposizioni mettendole in corsivo. I
coniugi, nonostante la stanchezza per il lungo viaggio, alla (la)
mattina seguente si alzarono prestissimo; in riguardo a lui,
tutti sarebbero stati d’accordo che comportandosi in quel modo sarebbe stata
un’ingiustizia; è veramente difficile a descrivere quel che è
successo l’altro giorno; l’assemblea, per acclamazione, ha eletto a presidente
della Società il rag. Sempronio; è stato notato, da tutti, che per tutto il
tempo della conferenza Giovanni e Virgilio bisbigliavano fra di loro;
a questo punto gentili amici, non mi resta altro che di salutarvi
caramente; state tranquilli, verremo a trovarvi dopo di cena;
nessuno osava di entrare in quella stanza; in quell’anno
tutti gli imputati erano minorenni.
LA CONGIUNZIONE “e”, lo dice la stessa parola, per lo piú ha
valore ‘congiuntivo’ e ‘aggiuntivo’: noi e voi. Ma ha
anche un altro “valore” poco conosciuto: avversativo: l’oratore ha parlato
per tre ore, e non ha detto nulla. È un pleonasmo “obbligatorio”
quando forma locuzioni interponendosi fra ‘tutti’ e un aggettivo numerale
cardinale (tutt’e cinque) o fra un participio passato e l’aggettivo
bello: bell’e detto. È un pleonasmo inutile, invece, collocare la “e”
fra due numerali: cento e sette. Molto
meglio: centosette. Unita a un avverbio richiede il cosí detto raddoppiamento
sintattico: eccome, eppure, ebbene, epperciò ecc.
***
La parola proposta da questo portale: ottilustre. Aggettivo, non attestato in
tutti (?) i vocabolari dell'uso, sinonimo di quarantenne. Alla lettera: che ha
otto lustri. È una bella donna ottilustre. Perché un periodo di cinque anni (quinquennio) si chiama "lustro"? Lo apprendiamo dal dizionario etimologico di Ottorino Pianigiani anche se - lo abbiamo scritto altre volte - non è ritenuto fededegno da numerosi linguisti. In proposito stupisce il constatare che il Tommaseo-Bellini non fa menzione alcuna di lustro nel significato di cinque anni. Si veda anche qui.
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