giovedì 19 ottobre 2017

Amare una lingua


Dalla dott.ssa Ines Desideri riceviamo e volentieri pubblichiamo
Amare la propria lingua è un po’ come amare una persona. È conservare quel sentimento, pur riconoscendo le mutazioni che – inevitabilmente, con il trascorrere del tempo – avvengono in noi stessi, nella persona che amiamo e, di conseguenza, nel sentimento stesso.
Amare la propria lingua per come fu – cinquanta o cento anni orsono – è un po’ come ostinarsi ad amare una persona per come fu, rifiutandosi di accettare che essa è cambiata, lentamente, quasi senza che ce ne accorgessimo. Eppure è cambiata.
È come contemplare una fotografia in bianco e nero di trenta o quaranta anni fa, nella quale l’amata (o l’amato) è ritratta nel fiore della giovinezza, e non riuscire a volgere lo sguardo verso la persona che oggi è.
Ciò che differenzia una persona da una lingua è che quanto più quest’ultima si evolve e si rinnova tanto più sarà viva, vivo specchio della realtà in cui viviamo, e ricca, poiché al patrimonio lessicale ed espressivo già accumulato nel corso dei secoli si aggiungono nuovi vocaboli e nuove espressioni, senza i quali avremmo un’immagine distorta della realtà e persino di noi stessi.
Gentile dottor Raso,
quando lei invita gli “amanti/amatori della buona lingua” a evitare questo o quel vocabolo, questa o quella espressione   - un francesismo, un barbarismo, l’uso “improprio, per non dire errato” di una preposizione o di un verbo – li invita a contemplare vita natural durante una fotografia in bianco e nero, in cui è immaginariamente ritratta una lingua che, nel frattempo, è cambiata. Ci piaccia o no, è cambiata.
Chi fa la lingua? Chi la studia e chi la usa. Sono loro, insieme, a fare la lingua: il primo attento alle regole, ma senza perdere di vista i mutamenti che sopraggiungono; il secondo  pronto a plasmare l’idioma a seconda delle esigenze comunicative, ma senza perdere di vista i principi basilari che lo regolano.
Avremo linguisti che si cureranno unicamente di leggere testi riguardanti l’uso corretto di una lingua, senza mai aprire un buon libro di narrativa o di poesia, che non siano soltanto Manzoni e Dante? Avremo parlanti e scriventi che si cureranno unicamente di leggere romanzi e poesie – per non citare i messaggi sparati a raffica sui telefonini – senza mai aprire un buon testo di Linguistica? Se avremo questo, significa che questo abbiamo meritato. Tutti: linguisti, parlanti, scriventi, scrittori, giornalisti, insegnanti e studenti. A scapito della nostra bella lingua.
Ines Desideri
 ---------------
Gentilissima dott.ssa Desideri, ciò che lei scrive è, senza ombra di dubbio, giusto, altrimenti scriveremmo e parleremmo ancora come nel Cinquecento (messere Lodovico e madonna Giovanna). L' evoluzione, però, non deve andare a discapito della "buona lingua" calpestando le norme grammaticali come - chiedo scusa se mi ripeto - l'uso della preposizione "da" con un normale complemento di specificazione: dopo tanto penare è riuscito a ottenere un posto da dirigente. In questo caso la preposizione corretta è di perché si specifica, appunto, di quale posto si tratta. Non vorrei che un domani - con la scusa dell'evoluzione della lingua - si avallase l'uso del piuttosto che con valore disgiuntivo oppure si espandesse a macchia d'olio quell'orribile attimino (tanto caro ai politici): un attimo è un... attimo. Sí, lo so, alcuni vocabolari..., però nella "Grammatica Italiana" del Treccani in rete si può leggere: «Attimino è il diminutivo del sostantivo attimo , che indica di per sé uno spazio temporale brevissimo. Per questo motivo sarebbe improprio l’uso del diminutivo, anche se il suo impiego con valore temporale è del tutto accettabile*, soprattutto nella lingua parlata [...]». 
Termino riportando un periodo tratto dalla descrizione del libro "Piuttosto che" di Valeria Della Valle e Giuseppe Patota: « Se è vero, infatti, che l’evoluzione della lingua ha semplificato le regole della comunicazione e cambiato il modo di giudicare gli errori, è pur sempre vero che, se si vuole parlare e scrivere correttamente, bisogna interrogare la grammatica e seguire i colorati insegnamenti della matita rossa e blu».

* Accettabile, a mio avviso, è diverso da "corretto".


1 commento:

Monmartre ha detto...

La lingua è un po’ come una persona, un figlio. Se è in salute, è piacevole ricordarne l'età della giovinezza e gioire per i suoi risultati. Se si droga, bestemmia o non rispetta la famiglia, è normale ricordare con tristezza l'antica innocenza, disperarsi per la situazione corrente e preoccuparsi per il suo futuro.