venerdì 13 maggio 2016

Le scarpe

Due parole, due, sulle scarpe. La scarpa, usiamo il singolare, non è voce schiettamente italiana, sembra sia arrivata a noi dal germanico "skarpa" (' tasca di pelle', 'sacca di pelle'). Le scarpe, infatti, a ben vedere, non sono una "tasca" in cui si infilano i piedi? Queste "tasche" hanno dato origine a molti modi di dire; citiamo i piú comuni: "non essere degno di lustrare le scarpe a qualcuno", vale a dire essere inferiore; "rimetterci anche le scarpe", rovinarsi economicamente; "mettere le scarpe al sole", morire di morte violenta (e improvvisa); "essere una scarpa vecchia", essere, cioè, una persona considerata inutile; "avere le scarpe che ridono", ossia scucite. Quest'ultimo modo di dire, forse poco conosciuto, si spiega con il fatto che quando si cammina con le scarpe scucite il movimento del piede solleva la tomaia (la parte superiore della scarpa) dalla suola e le scarpe, quindi, sembrano... "ridere".

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A nostro avviso, modestissimo, il vocabolario Treccani (in rete) dovrebbe modificare quanto si legge al lemma "diaconessa":

diaconéssa s. f. [dal lat. tardo diaconissa, gr. διακόνισσα, femm. di διάκονος «diacono»]. – Nell’ordinamento della Chiesa primitiva, donna anziana, per lo più vedova, alla quale era affidata la cura dei malati e dei poveri, oltre che taluni uffici liturgici; in alcune confessioni protestanti moderne, donna con l’obbligo del celibato che si dedica a opere di carità e di assistenza.

"Celibato" si adopera raramente riferito a una donna per la quale il termine appropriato è "nubilato". Sí, il principe degli scrittori, Alessandro Manzoni, ha adoperato celibe riferito a una donna (Perpetua ... aveva passata l’età sinodale dei quaranta, rimanendo celibe) oggi, però...

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La parola proposta da questo portale: sabeismo. Si veda anche qui e qui.

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