Abbiamo notato il fatto che moltissime persone, soprattutto
quelle che lavorano nelle redazioni dei giornali, sono convinte della bontà del
verbo “pietire” nell’accezione di “chiedere una cosa con molta insistenza,
piagnucolando e raccomandandosi”: vengo a “pietire” la tua comprensione. No,
amici, in buona lingua, anzi, in lingua il verbo “pietire” non esiste.
L’argomento ci sembra della massima importanza, vediamo, quindi, di fare un po’
di chiarezza.
Si dice “piatire”,
con la “a”, non con la “e”. Probabilmente coloro che dicono e scrivono
“pietire” pensano che questo verbo derivi dal sostantivo “pietà”. Convinzione
errata. Vediamo il perché. Il verbo corretto, dunque, è “piatire” che alla
lettera significa “contendere in giudizio”, “dibattere” e, per estensione
“litigare” ed è un derivato del sostantivo “piato” (lite giudiziaria,
controversia). Quest’ultimo sostantivo è il latino “placitum”, participio
passato neutro del verbo “placere” (piacere); propriamente il “placitum” è un
‘parere’, una ‘decisione’, un’ ‘opinione’, una ‘sentenza’ e ha acquisito, nel
tardo latino, l’accezione di ‘causa’, ‘lite’. Piatire, dunque, significa
‘discutere’, ‘litigare’ (durante il dibattimento in tribunale non si ‘litiga’,
non si ‘discute’?). In seguito, attraverso un processo semantico e nell’uso
prettamente familiare, piatire ha assunto il significato di – come possiamo
leggere nel nuovo vocabolario della lingua italiana Treccani – “lamentarsi con
tono querulo, fastidioso”; piatire sulla propria condizione; piatire sulla propria
miseria; anche con uso assoluto (da solo): non fa che piatire. Adoperato in
senso transitivo e familiarmente vuol dire, per l’appunto, “chiedere con noiosa
e fastidiosa insistenza” (quasi litigando, da ‘piato’, lite, come abbiamo
visto), assumendo atteggiamenti umili: piatire protezione, piatire favori.
Questo verbo, insomma, non ha nulla che vedere con la “pietà” e il “pietismo”.
Quest’ultimo termine sta a indicare un “movimento religioso protestante nato
nel diciottesimo secolo in polemica contro la concezione dei costumi” e, per
estensione, sentimento di pietà non giustificato da valide ragioni. Questo sì,
viene da “pietà”, anzi da “pietista”, tratto dal latino “pietas” (‘devozione
religiosa’).
Per concludere, cortesi amici “navigatori”, se tenete a parlare
e a scrivere correttamente non prendete esempio da ciò che leggete sui giornali
i cui articolisti – ci sia consentito – non fanno la lingua. Raramente un
giornalista è anche un linguista.
***
Numerosi amici blogghisti ci hanno scritto per sapere dove si
può reperire il nostro libro "Un tesoro di lingua", edito dalla
"Associazione Nazionale 'Nuove Direzioni' Cittadino e Viaggiatore". Il
libro non è in vendita ma è liberamente consultabile nel sito dell'associazione
(www.nuovedirezioni.it). Il cartaceo si può richiedere, comunque,
all'associazione medesima:
50125 FIRENZE via San Niccolo' 21telefoni : 055 2469343 / 328 8169174
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telefax : 055 2346925
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