Caro Direttore, la prego, cortesemente, di voler pubblicare –
sul suo autorevole portale – questa mia lettera aperta indirizzata agli amanti
del bello scrivere e del bel parlare, perché ho notato che non tutti usano
correttamente la nostra meravigliosa lingua italiana; le dirò di più, alcuni conoscono
meglio la lingua di Albione a scapito dell’idioma di Dante. Quanto sto per
scrivere, dunque, mi riguarda da vicino perché sono parte… lesa. Mi sono accorto, però, di non essermi presentato,
chiedo scusa e rimedio subito. Mi chiamo Meno e provengo dal nobile latino “minus”,
neutro di “minor, minoris”. Nella lingua italiana svolgo, di volta in volta,
varie funzioni ed è proprio di queste che desidero parlare perché molti – e tra
questi le grandi ‘firme’ del giornalismo e gente di cultura – mi adoperano con
funzioni e significati che molto spesso non mi appartengono. Ciò mi turba
moltissimo in quanto vedo calpestata la mia personalità, quasi fossi una sorta
di straccio buono per qualsiasi uso. No,
amici, consentitemi di reagire con la massima fermezza a questo sopruso di cui
sono vittima un giorno sí e l’altro pure. Con questa lettera aperta, dunque,
desidero chiarire, una volta per tutte, le mie importantissime “mansioni” nel
campo della lingua, sempre piú vilipesa da sedicenti scrittori che non perdono
occasione per “esibirsi” nei vari programmi culturali radiotelevisivi. Un tempo
si diceva che l’Italia è un popolo di navigatori, di poeti e di, aggiungo io, scrittori.
Che scrittori! Gente che mi adopera con il significato di “no” nel costrutto disgiuntivo
come, per esempio, in frasi «ignoro se il colpevole sia stato riconosciuto o
meno dai vari testimoni». In siffatte frasi offendono me, ma soprattutto il mio
collega No, l’unico avverbio abilitato a ‘comparire’ in proposizioni
disgiuntive. È, altresì, scorretto chiamarmi in causa facendomi precedere dalla
preposizione impropria “senza” nel significato di “senza dubbio”, “certamente”
e simili: verrò senza meno. In buona lingua si dice «verrò certamente, senza
dubbio». Per quanto riguarda l’espressione “quanto meno” è preferibile, cortesi
amici, sostituirla con “almeno”. Ma vediamo le mie funzioni e il relativo
corretto uso. La funzione “principe” è quella avverbiale; indico, unito a un
verbo, una quantità (o una qualità) minore: Giovanni mangia meno. Svolgo il medesimo
ruolo con gli aggettivi: meno bello, meno gradito. Sono anche correttamente
adoperato come aggettivo e avverbio per formare il comparativo di minoranza e,
se preceduto dall’articolo determinativo, concorro alla formazione del
superlativo relativo di… minoranza: è meno ricco di lui (comparativo di
minoranza), è il meno ricco (superlativo
relativo). Adoperato con il collega Piú
formo le espressioni “piú o meno”, “poco piú, poco meno”, che valgono ‘approssimativamente’,
‘all’incirca’: in sala c’erano piú o meno duecento persone. Il mio impiego è altresì
corretto con significato negativo purché – ripeto – non “appaia” nei costrutti
disgiuntivi (frasi interrogative doppie): l’ho incontrato quando meno me l’aspettavo.
Quando sono in veste di sostantivo – cosa importantissima e da evidenziare –
non posso essere pluralizzato in quanto ho valore neutro e come tale indico la “piú
piccola cosa”: è il meno (la piú piccola cosa) che potessi fare per
ringraziarli. Preceduto dall’articolo determinativo plurale “i” vengo impiegato
riferito a persone per indicare “la minor parte”, “la minoranza”: sono i meno
ad assumere un atteggiamento come il tuo. Quest’uso, per la verità, non lo
consiglio – anche se in regola con la legge grammaticale. Non è meglio dire e
scrivere: è la minoranza ad assumere un atteggiamento come il tuo? A questo
punto permettetemi una piccola digressione. L’esempio precedente mi ha
richiamato alla mente una “regola” linguistica secondo la quale tutti i periodi che cominciano con una forma
impersonale sono impropri e in quanto tali non si incontrano in una buona
prosa. Sono da evitare, quindi, frasi tipo: fu a te che mi rivolsi. In buona
lingua si dirà: mi rivolsi a te. Gentili amici, ho cercato di non cadere nella
pedanteria elencandovi i vari casi in cui il mio uso è “conforme agli obblighi
di legge”; se ci sono riuscito mi congratulo con me stesso, in caso contrario
vi prego di perdonarmi, ma l’argomento era troppo importante perché lo
sottacessi. Vi ringrazio della gentile attenzione prestatami ed esterno
pubblica riconoscenza al Direttore per la sua cortese ospitalità. Ancora un
grazie di cuore e un saluto affettuoso dal vostro amico
Meno
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La parola del giorno (proposta da questo portale): onciàle