Riproponiamo quest’articolo, pubblicato sul “Cannocchiale” molto tempo fa, perché abbiamo avuto modo di constatare - leggendo i giornali e ascoltando i notiziari radiotelevisi - che le nostre modeste noterelle non hanno sortito l’effetto sperato.
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Caro Direttore,
confidando nella sua ormai nota gentilezza e disponibilità, chiediamo anche noi ospitalità sul suo prestigioso portale per una lettera aperta agli amanti del bel parlare e del bello scrivere e, perché no, agli amici scrittori e giornalisti (non si offendano, per carità) affinché facciano un uso sempre più corretto di questa bella lingua della quale noi abbiamo l’onore e il privilegio di far parte.
Siamo, infatti, i verbi Essere e Avere. Di tutti i nostri colleghi noi siamo, senza ombra di dubbio, i più adoperati. Ed è proprio questo, cortesi amici, il fatto che ci ha spinto a prendere carta e penna (non sappiamo usare il computiere) per pregarvi di metterci un po’ a... riposo; ci eviterete continue liti con alcuni colleghi che ritengono – e hanno ragione – di essere più appropriati di noi alla bisogna.
Ci sono dei casi, infatti, in cui io, verbo Essere, ho un significato simile (non uguale, si badi bene) a quello di altri verbi con i quali è possibile sostituirmi: così darete ai vostri scritti un tocco di raffinatezza... linguistica. Vediamo, dunque.
Posso benissimo essere sostituito – ovviamente secondo i casi – con i miei colleghi verbi vivere, consistere, accadere, stare, trovarsi, recarsi o andare.
Cercherò, con gli esempi che seguono, di rendere più chiaro il concetto: quando non vivremo più (invece di non ci saremo) chissà il progresso quanta strada avrà percorso!; la felicità non consiste (invece di è) nei soldi; che cosa è accaduto (in luogo di è stato)?; stavamo a Roma; ci trovavamo a Napoli.
Ci sono alcune locuzioni particolari, però, in cui la mia presenza – a dispetto di alcuni colleghi invidiosi – è indispensabile, sempre per una questione di... raffinatezza. Permettetemi, quindi, di pavoneggiarmi elencandovi le espressioni in cui insigni linguisti ritengono di primaria importanza la mia partecipazione. Eccole:
ci siamo!, locuzione che si adopera quando si vuole mettere in evidenza il fatto di essere giunti nel momento decisivo oppure quando ci troviamo di fronte a qualcosa che aspettavamo e temevamo;
come se nulla fosse, locuzione usata per indicare la facilità e la naturalezza di un determinato avvenimento: ha superato quella tremenda prova come se nulla fosse;
che è e che non è, modo di dire usato, a volte, in sostituzione dell’avverbio improvvisamente.
Prima di passare la penna al collega Avere, consentitemi ancora, gentili amici, di ricordarvi che la mia presenza è altresì indispensabile quando si desidera sottolineare l’appartenenza o, meglio, il concetto di appartenenza: quella penna è mia; quando si vuole indicare una qualità: è un uomo di cuore; quando si desidera mettere in evidenza l’effetto di qualcosa: la tua vicinanza mi è stata di conforto. Infine, e lascio lo spazio ad Avere, allorché si vuole indicare la destinazione a un ufficio: è di turno la mattina.
Eccomi qui, amici, sono il verbo Avere. Al contrario di Essere, però, ho meno pretese. E mi spiego. Il mio impiego oltre a quello di ausilio ad altri verbi (insieme con Essere sono chiamato, infatti, verbo ausiliare) serve per indicare l’idea del possesso, che può essere tanto materiale quanto morale: ha molti soldi; ha una buona memoria.
Sono pochi, per la verità, i casi in cui posso essere sostituito con altri verbi più appropriati, non mi dilungherò, quindi, nell’elencarli. Vi prego soltanto, questo sì, di adoperami in alcune espressioni particolari perché la mia presenza – per usare le parole di Essere – dà un tocco di raffinatezza ai vostri scritti.
Sono indispensabile, per tanto, nelle seguenti locuzioni: avere in animo, nel senso di pensare; avere la luna, nel significato di essere irritati, di cattivo umore; averne fin sopra i capelli, per dire di essere stanchi di una cosa; avere un diavolo per capello, nel senso di essere nervosi, inquieti; avere le mani in pasta, essere, cioè, impegnati in qualche affare; avercela con uno, provare odio, antipatia, rancore verso qualcuno; aver luogo, nell’accezione di svolgersi; aver colpa, essere colpevole. Non trovate, cortesi amici, queste espressioni più appropriate al concetto che si vuole esprimere? Amici scrittori, che ne dite? Essere ed io abbiamo peccato di presunzione?
Vi ringrazio della vostra attenzione e insieme con Essere esprimo la gratitudine al Direttore del portale per la possibilità che dà a tutti, indistintamente, di esporre liberamente le proprie idee (linguistiche).
Grazie ancora e a risentirci.
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Gli autori della trasmissione televisiva “L’eredità” (Rai1) non sanno, forse, che la bevanda “principe” degli Inglesi si scrive, in italiano,« tè », non thè. Ora lo sanno.