Non ricordiamo se l’argomento che stiamo per trattare è stato già... trattato nell’altro sito (www.faustoraso.ilcannocchiale.it), nel caso ci scusiamo per la ripetizione. Lo riproponiamo, comunque, perché abbiamo avuto modo di constatare (e constatiamo tuttora) che moltissime persone, tra le quali dobbiamo annoverare - nostro malgrado - le cosí dette grandi firme della carta stampata e no, adoperano in modo “orribilmente errato” la locuzione “per cui” con l’accezione di ‘perciò’, ‘per la qual cosa’. Il “cui” innanzi tutto - chiariamolo subito - è un pronome relativo indeclinabile ed è riferibile a persona, animale o cosa. Non è corretto usarlo come soggetto, si adopera esclusivamente come complemento indiretto: ecco il libro di ‘cui’ ti parlavo; tu sei la persona per ‘cui’ ho molto sofferto. Quando è complemento di termine il ‘cui’ può essere preceduto o no dalla preposizione semplice “a”, dipende dal gusto stilistico di chi scrive o parla: l’uomo ‘cui’ mi rivolsi o ‘a cui’ mi rivolsi. Fatta questa importante e necessaria precisazione, veniamo all’errore di ‘cui’ parlavamo all’inizio di queste noterelle. Lo strafalcione, dunque, consiste nel dare al pronome cui un significato neutro che molto spesso si dà al pronome “che”, vale a dire l’accezione di “la qual cosa” e formare, in tal modo, il costrutto - errato, ripetiamo - “per cui” nel senso di ‘perciò’, ‘per la qual cosa’. Insomma, per essere estremamente chiari, amici amatori della lingua, non si può dire o scrivere: pioveva ‘per cui’ non sono uscito. Si dirà, correttamente, pioveva ‘perciò’ non sono uscito; oppure pioveva ‘per la qual cosa’ non sono uscito. Pedanteria? Fate l’analisi logica del “per cui” e giudicate. E a proposito di pedanteria (che brutta parola) se proprio la volessimo mettere in pratica dovremmo sostenere - a spada tratta - la tesi secondo la quale è errato scrivere i pronomi personali, “glielo”, per esempio, attaccati: la sola forma corretta ‘sarebbe’ “glie lo”, in grafia staccata. Secondo questa tesi (pedantesca) tutti coloro che scrivono “glielo” uccidono la lingua. È quanto sostiene l’insigne linguista Amerindo Camilli, di gran lunga piú autorevole dell’estensore di queste modeste noterelle. Secondo l’illustre glottologo “i pronomi ‘glielo’, ‘gliela’, ‘glieli’, ‘gliele’, ‘gliene’ debbono essere scritti staccati perché questa grafia si conforma a quella di a ‘me lo’, ‘te ne’ ecc.”. La forma “errata”, insomma, è proprio quella comunemente adoperata, cioè quella unita: glielo. Anche in questo caso, amici, giudicate voi se ciò è indice di pedanteria.
* * *
Un articolo sulla lingua italiana di Carla Marello, si clicchi su www.ladante.it
Nessun commento:
Posta un commento