Dal dr Pier Paolo Falcone riceviamo e pubblichiamo
1. Il tema
Scrivo
queste righe su un argomento che mi sta molto a cuore: quello del genere
grammaticale dei vini. Noto che spesso si scrive "il Freisa",
"il Barbera", "il Malvasia". La questione è annosa e se ne
è occupata anche l'Accademia della Crusca, riconoscendo che alcuni vini hanno -
da sempre - nomi femminili. In Toscana nessuno si sogna di dire "il
Vernaccia".
I vocabolari non sono di
grande aiuto. In sostanza dicono: fate un po’ come vi pare.
2. In letteratura e dintorni
Sul “sesso” dei vini,
come su quello degli angeli, si continua a discutere. C’è chi dice il marsala
e chi la marsala, chi il frèisa e chi la frèisa; però sulla
vernaccia, dopo Dante (“l’anguille di Bolsena e la vernaccia”) nessuno
più discute: come già detto, sempre femminile. Come non si discute sul chianti,
sul riesling, sul pinot, nero o bianco che sia, sul nero di tufo,
sul gutturnio, sull’ortrugo, sul sangiovese e su una gran quantità
di vini certamente “maschi”.
Quanto a barbera, gli
esperti dicono più spesso la barbera; così come dicono, per un altro celebre
vino, la bonarda. Gli scrittori famosi oscillano. Il Carducci produce questi
versi: “Generosa barbera. / Bevendola ci pare / d’essere soli in mare / sfidanti
una bufera”. Emilio De Marchi, milanese, invece lo declina al maschile: “Dopo avere
allungato il barbera con due grosse lagrime, alzò il bicchiere e lo vuotò
d’un fiato” (mi chiedo: forse è l’averla resa maschile che lo ha fatto lacrimare
nel bicchiere?). Gaber non si sbilancia: “Barbera e champagne / insieme beviam...”
e non ci fa capire le sue intenzioni sul genere del nostro vino. C’è poi il noto
verso pascoliano: “Serba la tua purpurea barbera...”, femminilissima.
Paolo Monelli, scrittore modenese,
in un vecchio libro dedicato al Vero bevitore, dichiara espressamente: “Barbera.
È uno dei pochi vini di sesso femminile, come la freisa, l’albana,
la vernaccia, la rúfina, e in Svizzera la dôle; ma se è femmina
è una virago da mettere fuori combattimento la gioventù...” Anche Mario Soldati,
piemontese di Torino, è naturalmente per la barbera.
Il Sole 24
Ore, nel 2017, ha pubblicato un articolo dal titolo emblematico: La barbera
è femmina e vi dimostriamo perché (ma a Mogliano Veneto, non in Piemonte). L’autrice
cita un libro: “la Barbera è femmina”, che “risponde alle
domande che si pongono [sic] la maggior parte di quelli che si
avvicinano a questo vino tanto acido quanto robusto: qual è la vera natura
della Barbera? Popolana o estremamente pop? Sottovalutata o a ragione
eternamente seconda? Affascinante o banale? Sì, la Barbera, per tutte queste
ragioni, è estremamente femminile. Mi ha convinto questo modo di affrontare
il tema, anch’esso decisamente femminile!
3. In Piemonte
Ho cominciato ad interessarmi a questo
argomento alcuni anni fa, infastidito dall’usanza degli organi di informazione
locali (Chieri e dintorni) di considerare maschili i nomi di tutti i vini
piemontesi.
I
Piemontesi (anch’io sono Piemontese), si sa, sono per carattere un po’ strani:
soffrendo spesso di un leggero complesso di inferiorità (culturale), hanno
paura di mostrarsi poco colti. Molti pensano che sia un errore – o un piemontesismo
dei nostri nonni – dire "la Barbera", "la Freisa",
"la Bonarda", e giustificano la loro convinzione col fatto che
si tratta di vino, e "vino" è di genere maschile. Certo, non si può dire
"la vino barbera", o "la vino freisa": sarebbe un orrore. Altri
affermano che stanno parlando del vitigno, come se nel bicchiere finisse quest’ultimo.
Il web è pieno di blog (termini che uso mal volentieri) in cui ognuno
dice la sua e raccoglie consensi, sostenendo che solo i retrogradi usano ancora
il femminile per barbera e bonarda. Come se anche in grammatica, oltre che in politica,
contasse l'opinione di chi non sa, o di chi crede di sapere che le regole grammaticali
non ammettano eccezioni. I più colti sostengono che, parlando di vini, il termine
"vino" deve essere sempre considerato sottinteso.
Ho poc’anzi
citato un altro vino piemontese: la Freisa. A Chieri (in provincia di Torino), dove si produce la Freisa di Chieri
DOC, la presidente della “Confraternita del [sic] Freisa” si è dichiarata
d’accordo per il femminile, ma ha concluso con un generico riferimento a «quelli
che la sanno molto più lunga di me» (lei la Freisa la produce!) e che, a quanto
pare, dettano legge in materia. Aggiungendo che, probabilmente, si riferiscono al
vitigno. Già, dico io: ma chi vende in bottiglia il vitigno? E chi gli assegna la
Doc?
Essendo un estimatore di questo vino, durante la pandemia
di Covid 19, per ingannare la noia della clausura forzata, ho fatto una ricerca
su Internet. Ho consultato, innanzitutto, sette siti specialistici. La parola “freisa”,
nelle schede specifiche, compare 153 volte: 73 volte preceduta da “vino” o senza
indicazione del genere, 35 volte al maschile e 45 al femminile. Sul forum del Gambero
Rosso si trova quasi sempre al femminile. Ho letto anche una intervista ad uno dei
più rinomati ed esperti produttori di Freisa di Chieri DOC: la cita ben 15 volte,
sempre al femminile.
4. Conclusioni
Discorso lungo, certezze poche;
la stessa cosa avviene del resto con molti altri vini. Con l’albana, per
esempio: “albana vero” dice Marino Moretti, “bianca albana” risponde
Riccardo Bacchelli: e son nati tutti e due, pressappoco, nelle terre in cui si
produce.
Dunque, le sole seppur relative certezze sembrano essere
la barbera, la vernaccia, la bonarda. Per gli altri, a parte quelli
indubbiamente maschili che ho citato, dato che si tratta di vini, facciamo a nostro...
gusto.
Personalmente, da incompetente di
linguistica ma appassionato di vini, credo che si possa dire - e scrivere -
tranquillamente la Barbera, la Freisa, la Malvasia, la Bonarda.
Oltre che, naturalmente, assaporarle.
5. Non solo vino
Anche nel caso dei formaggi regna la stessa
confusione. In un blog del settore leggo “… il gorgonzola … che alcuni
trogloditi del nord [Italia, immagino; quindi incluso il sottoscritto] si
ostinano a chiamare la gorgonzola.” Evidentemente questo esperto linguista
del Sud (?), che etichetta “troglodita del nord” chi non la pensa come lui, se
è coerente non può fare altro che scrivere – a proposito di alcuni formaggi
tipicamente meridionali – il provola, il scamorza, il
vastedda del Belice, il burrata, il manteca podolica, e così via.
A quando “il
fontina”, “il caciotta”, “il mozzarella”, “il ricotta”, “il
casatella trevigiana”? E perché non “il toma”? Del resto la legge deve
essere uguale per tutti; se è sempre sottinteso “formaggio” …
Lo stesso ragionamento vale per i fiumi,
i torrenti, i monti, i laghi e quant'altro venga citato, oltre che con il nome proprio,
con il sostantivo che lo qualifica, di genere maschile. Tutti dicono "la
Dora Riparia", oppure "il fiume Dora Riparia". Si noti che
l'aver anteposto "il fiume" non ha fatto diventare maschile la Dora, che
è rimasta Riparia (e non Ripario). Così pure “la Dora Baltea”, “la
Stura” e molti altri. Analogamente per i monti: "il monte Marmolada";
ma "la Marmolada"; “la Maiella”. E questo nonostante la
tendenza dei geografi e di alcuni grammatici a uniformare tutto, per una presunta
semplificazione.
Pier Paolo Falcone
(Le
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