Il sostantivo femminile onta significa, propriamente, "vergogna", "dispetto" e simili. Viene dal francese "honte", a sua volta dal tedesco "haunitha" (dileggio, beffa): ha vinto a "onta" dei suoi avversari. Quando manca l'idea della vergogna, del dileggio, del dispetto il suo uso non è "legittimo". È improprio (ma sarebbe meglio dire errato), quindi, adoperare questo termine - come fanno alcuni - nel significato di "nonostante": sono uscito a "onta" della pioggia. Si dirà, correttamente, "nonostante" la pioggia.
Come sta sua moglie? Come sta la sua
signora? Quando il sostantivo signora è preceduto da un aggettivo possessivo ed
è adoperato in luogo di moglie richiede tassativamente l'articolo. Se occorre
abbreviarlo la sola forma corretta è sig.ra
Due parole sull'uso corretto di "incognito", che si costruisce senza la preposizione "in" (non in incognito, quindi). Il cantante è giunto a Roma incognito. L’aggettivo, infatti, viene dal latino incognitus composto con la preposizione negativa in e il participio passato del verbo cognoscere. La preposizione "in" è già "dentro" la parola, anzi all'inizio. Attendiamo, in proposito, gli strali di qualche linguista "d'assalto" nel caso s'imbattesse in questo sito.
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La lingua "biforcuta" della stampa
LA STORIA
Addio a Pebbles, il cane più anziano del mondo: fra cinque mesi avrebbe compiuto 23 anni
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Ma quanti anni ha il mondo?
(Le
immagini sono riprese dalla Rete, di dominio pubblico, quindi. Se víolano i
diritti d'autore scrivetemi: saranno prontamente rimosse)
6 commenti:
Dottor Raso, l'espressione "Viaggiare in incognito", che usano gli internauti è giusta?
Mi sembra di averla sentita anche al femminile: Viaggiare in incognita.
Qual è il Suo parere, dottor Raso?
Renato P.
Cortese Renato,
"viaggiare incognito", come si evince anche dal Treccani: viaggiare incognito.
Oggi si adopera anche "in incognito", uso, a mio avviso, improprio.
Cordialmente
FR
È più elegante - a mio avviso - "lui viaggia incognito".
FR
Cortese Renato,
erroneamente ho cassato il suo commento, mi scuso.
Le ho risposto, comunque.
Sull'espressione "a onta" (o "ad onta") nel significato concessivo di "nonostante", "malgrado", va però detto che essa viene usata a piene mani da Italo Svevo. Certo, non si può dire che Svevo, nonostante la sua indubbia grandezza come narratore, fosse un maestro di "bello stile". E anzi, se io ricordo bene questa sua predilezione per l'espressione "ad onta di", è perché ne abusa un po', talora in modo davvero poco elegante. Qui ad esempio la usa due volte a distanza di poche righe:
“Non so perché mi fermai tanto a raccontare dei dissidi ch’ebbi con lui e che sono tanto pochi. Io gli volli veramente bene, tant’è vero che ricercai la sua compagnia ad onta che avesse l’abitudine di urlare per pensare piú chiaramente. Il mio timpano sapeva sopportare le sue urla. Se le avesse gridate meno, quelle sue teorie immorali sarebbero state piú offensive e, se egli fosse stato educato meglio, la sua forza sarebbe sembrata meno importante. E ad onta ch’io fossi tanto differente da lui, credo ch’egli abbia corrisposto al mio con un affetto simile.”
Italo Svevo, “La coscienza di Zeno”, in “Romanzi”, Torino, Utet, 1993, p. 656.
In ogni caso, Svevo appartiene ormai al canone letterario italiano ed è unanimemente considerato un autore "classico". Sicché qualificherei quest'uso di "ad onta" piuttosto come improprio che come errato, in virtù delle scelte stilistiche del grande romanziere triestino.
Non ci sono problemi, dottor Raso.
Buon lavoro!
Renato P.
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