di Salvatore Claudio Sgroi
Voglio qui
ricordarlo riproponendo la mia rec. (apparsa su "La Sicilia" 10 sett.
1988 p. 3; poi in Bada come parli,
SEI 1995, pp. 158-60) della prima edizione della sua, diventata poi un
classico, Grammatica italiana (Torino, UTET
1988).
Alla fine il parlante ha sempre ragione
Immergersi nella lettura di un testo come
la Grammatica italiana (oltre 700
pagine, in quarto) di Luca Serianni con la collaborazione di Alberto
Castelvecchi (UTET, 1988), per di più durante una torrida estate, potrebbe
apparire l’effetto di una pulsione masochistica o (come invito ad altri)
sadica. Eppure la lettura di un testo di grammatica rimane un’avventura affascinante.
Perché una grammatica è una proposta di ordinamento e sistematizzazione di una
massa non indifferente di fatti linguistici. E in quanto tale, soddisfa in chi
si sobbarca a tale fatica (nello scriverla o solo nel leggerla) bisogni
profondi, se non di certezze, almeno di alcuni punti di riferimento. Una
grammatica si presenta insomma come il tentativo di porre ordine in un caos
apparente, di mettere a nudo i meccanismi di funzionamento di un idioma
storico-naturale, svelandone la «logica» imprevedibile regolata dalle esigenze
della comunicazione.
Una grammatica, come questa di Serianni
(-Castelvecchi), descrive la competenza linguistica degli utenti della lingua
nazionale. Ma una lingua come l’italiano, adoperato, se non da tutti gli
italiani, comunque, da milioni di utenti, si presenta estremamente
diversificata, pur nella sua fondamentale unitarietà. La nostra grammatica,
prevalentemente sincronica, cioè descrittiva degli usi attuali, è così
inevitabilmente selettiva, in quanto centrata sugli usi dell’«italiano comune»
e della «lingua letteraria», come indicato nel sottotitolo. L’italiano
letterario otto-novecentesco, nei suoi legami col passato, è privilegiato da
Serianni (-Castelvecchi) come testimonia la presenza massiccia di esempi
d’autore, accanto agli usi settoriali (linguaggio giornalistico, legislativo,
scientifico, ecc.).
Non mancano qui peraltro, per quanto molto
limitati, i riferimenti all’italiano parlato informale e agli italiani
regionali. «Caratteristico dell’Italia meridionale – si legge per es. a p. 81 –
è il complemento oggetto retto dalla preposizione a». Ma nessun cenno alla preposizione di col valore di «per», che introduce nell’uso siciliano le
proposizioni limitative: «di mangiare, qualcosa l’ho mangiata». Il tipo di
italiano qui analizzato è, in altri termini, l’italiano «scritto ma anche
parlato dalle persone colte in circostanze non troppo informali» (p. VII).
Rimane invece decisamente ai margini di questa grammatica l’italiano «popolare»
dei semicolti. Una soglia, questa, di norma non superata dagli autori, che
optano di solito per rinvii bibliografici istituzionali.
La descrizione fornita da questa grammatica
riguarda i livelli classici dell’analisi di una lingua: pronuncia e grafia
(«fonologia e grafematica», circa 70 pagine), morfosintassi (nome, articolo,
ecc., circa 350 pagine), sintassi della frase e del periodo (circa 100 pagine)
e, come capitolo di transizione tra grammatica e lessico, la formazione delle
parole (circa 30 pagine). Il volume si chiude con una originale appendice
(circa 100 pagine) di testi commentati, di grande efficacia didattica,
riguardanti la prosa letteraria, la lingua della poesia e la lingua
non-letteraria;* e con due funzionalissimi
indici degli autori citati e delle nozioni e forme rilevanti.
L’armamentario teorico messo in campo dagli
autori è, come si può notare anche dalla selettiva ma ampia bibliografia,
quello tradizionale, di matrice greco-latina. Il che garantisce la leggibilità
dell’opera al «lettore colto ma non specialista» (p. VIII), cui il volume è
espressamente destinato. La trattazione, pur nella sua sostanziale aderenza a
moduli interpretativi tradizionali, non è priva in vari punti di eleganza e di
originalità. Così, per esempio, nel trattamento dei pronomi allocutivi, là dove
illustra il sistema trimembre (voi-lei-tu),
oggi sostituito da quello bimembre (lei-tu)
(pp. 224-27). La fedeltà alla tradizione non impedisce agli autori di tener
conto anche dei risultati più moderni dell’analisi linguistica, pur se in
maniera misurata. Così, del tutto nuovi rispetto all’approccio scolastico sono
il cap. I sull’analisi fonologica e il cap. IX sulle «congiunzioni e i segnali
discorsivi», o ancora i paragrafi sull’articolo determinativo e
indeterminativo, ispirati ai principi della linguistica testuale.
Gli autori, oltre che descrivere i vari usi dell’italiano comune e letterario, non hanno voluto rinunciare al ruolo di grammatici «prescrittivi», fornendo indicazioni su usi scorretti o da non seguire. Si ritrovano così qua e là, in misura peraltro assai discreta, indicazioni quali «forme diffuse un po’ dovunque o specifiche di aree regionali ma comunque da evitare» (p. 52). Ma per noi, una grammatica vale non in quanto sentenzia su quello che gli utenti debbono o non debbono dire. In realtà, sono sempre i parlanti a decidere gli usi della lingua in base alle loro esigenze espressive e comunicative. Come dire che il parlante ha sempre ragione. Il grammatico può solo cercare di descrivere e spiegare con strumenti teorici sempre più raffinati, ma inevitabilmente parziali, gli usi infiniti e imprevedibili della lingua di una comunità.
La grammatica di Serianni (-Castelvecchi),
la più ampia attualmente esistente sull’italiano, viene a colmare un ritardo di
cinquanta anni rispetto ad altre tradizioni grammaticali, come quella francese
che può vantare al riguardo Le bon usage
di Maurice Grevisse. E ci auguriamo che, come questa, possa avere uguale
fortuna di pubblico attraverso molteplici edizioni, sempre più aperte al
potenziale comunicativo della lingua.
10
settembre 1988, p. 3
*[Nuova edizione col titolo Italiano, arricchita di un amplissimo «Glossario (e
dubbi linguistici)» di G. Patota (e L. Serianni), Garzanti, settembre 1997, pp.
X + 614; l’Appendice dei testi letterari è stata invece purtroppo eliminata,
fin dalla II ed. della Utet].
1 commento:
La scomparsa del professor Serianni è stata una vera tragedia. Vivendo negli Stati Uniti, spesso, anche dall'Italia, sento puntare il dito - giustamente - contro le stragi che troppo frequentemente dei pazzoidi possono compiere. E questo a causa del facile accesso alle armi da fuoco in questo paese.
Poi vengo in Italia in estate e mi ricordo immediatamente del pericolo costante rappresentato dal traffico automobilistico nelle città, dalle auto parcheggiate sui marciapiedi, sulle striscie, sulla visibilità interrotta dalla mancanza di senso civico degli automobilitsti, i limiti di velocità segnalati (e anche quelli imposti da un minimo di buon senso) non rispettati. Nelle città italiane tutto è stretto, tutto è giocato sulla frazione di secondo, tutto è incastrato per non lasciare scampo a chi commette una distrazione, tramutandolo in vittima - o in carnefice di un altro essere umano - in un attimo. Ma a questa strage silenziosa oramai gli italiani si sono assuefatti.
Che la terra le sia lieve, professore. E grazie dei suoi consigli. Sono stati utilissimi.
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