Una piccola notazione sull’uso corretto degli aggettivi numerali “frazionari”. È necessario tenere presente, dunque, che nella numerazione decimale la parte frazionaria deve essere divisa dall’intero da una virgola: è alto m 1,75 (i metri, i centimetri, i chilometri ecc. non debbono assolutamente essere seguiti dal punto). Nei sistemi non decimali – come nel caso delle ore – la virgola deve essere sostituita dal punto o, meglio ancora, dai due punti: sono le 10.45 (o 10:45); si tratta, infatti, di 45 sessantesimi e non di 45 centesimi. È errore madornale, quindi, dividere le ore dai minuti mediante una virgola. Ma siamo sicuri che la nostra modesta “predica” sarà, come sempre, rivolta al vento. Continueremo a leggere o, meglio, a “vedere” sulla stampa le ore scritte in modo errato: la conferenza stampa di fine d’anno si terrà alle 17,30. Ma tant’è.
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«Vi racconto, in breve, l'accaduto». Di primo acchito la frase (e quelle simili) sembra perfetta. Ma a un attento esame presenta un'improprietà che in buona lingua è da evitare. Quale? La locuzione "in breve" adoperata nelle accezioni di "insomma", "infine", "concludendo", "per farla breve", "in una parola" e simili. La predetta locuzione, insomma, in buona lingua italiana, non ha una "valenza" conclusiva ma sta per "brevemente", "presto", "in breve tempo", "in breve spazio" e simili. Diremo (e scriveremo) correttamente, quindi: «Vi racconto, brevemente (non in breve), l'accaduto». Saremo sbugiardati da qualche linguista "d'assalto" se, per caso, si imbattesse in questo sito?
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Tutti ricorderanno la canzoncina scolastica: su qui e su qua l’accento non va, su lí e su là l’accento ci va. Pochi, crediamo, ricorderanno la ragione. Permetteteci, quindi, di rinfrescare loro la memoria, anche perché ci capita, molto spesso, di leggere sulla stampa frasi che contengono gli avverbi di luogo “qui” e “qua” con tanto di accento, ovviamente errato. L’allarme lanciato – tempo fa – dall’Accademia della Crusca circa gli strafalcioni giornalistici – a quanto sembra – non ha sortito alcun effetto. Possiamo dire, presuntuosamente, di non avere mai avuto dubbi in proposito. Ma veniamo al “dunque”. Una regola grammaticale stabilisce che i monosillabi – composti con una vocale e una consonante – non vanno mai accentati, salvo nei casi in cui si può creare confusione con altri monosillabi uguali ma di significato diverso (le cosí dette parole omografe e omofone, potremmo quasi dire), come nel caso, appunto, degli avverbi di luogo «lí» e «là» che, se non accentati, potrebbero confondersi con “li” e “la” (articoli e pronomi). Un’altra norma grammaticale stabilisce, invece, l’obbligatorietà dell’accento quando nel monosillabo sono presenti due vocali, di cui la seconda tonica: piú, giú, già ecc. Dovremmo scrivere, quindi, «quí» e «quà» (con tanto di accento). Occorre osservare, però, che la vocale “u” quando è preceduta dalla consonante “q” fa da ‘serva’ a quest’ultima; in altre parole la “u” non è piú considerata vocale ma parte integrante della consonante “q”. Avremo, per tanto, qui e qua senza accento perché – per la legge sopra citata – i monosillabi composti di una consonante e di una vocale rifiutano l’accento scritto: no, me, lo, te, qui, qua. E a proposito di accento, non si possono tacciare di ignoranza linguistico-grammaticale coloro che accentano l’avverbio «sú» per distinguerlo dalla omonima preposizione. Solo, però, se lo fanno consapevolmente…
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