martedì 8 dicembre 2020

Di tutto (linguisticamente) un po'


 Il 
solecismo. Il termine non è - come il suffisso “-ismo” farebbe pensare - una disquisizione filosofica sul... sole; il vocabolo, da non confondere con il barbarismo, è un grossolano errore di grammatica, di pronuncia e di sintassi. Proviene, manco a dirlo, dal greco “soloikismòs”, derivato dalla città di Soli, in Cilicia, dove si parlava un greco assai scorretto. I Greci, dunque, chiamarono “solecismi” tutte quelle parole che nella pronuncia, nella grafia e nei vari costrutti non rispecchiavano la “purezza” della lingua. Il termine è poi giunto a noi con lo stesso significato: grossolano errore. Sono solecismi, vale a dire veri e propri errori, per esempio, “piú meglio”, “a gratis”, “vadi”, “venghi”, “un’uomo”, “coscenza”, “soddisfando”, “stassi”, “se mi darebbero”, “ce n’è molti”, “la meglio cosa”, “qual’è”, “ci ho detto”, “gli uovi”, “è bello come tu”, “autodròmo”. Potremmo continuare ancora essendo molti i solecismi riferiti alla pronuncia: “zàffiro” in luogo di “zaffíro”; “rùbrica” invece di “rubríca”; “leccòrnia”  in luogo di “leccornía”; “guàina” in luogo di “guaína”; “mòllica” invece di “mollíca”; “pesuàdere” al posto di “persuadére”. Potremmo andare avanti, ma non vogliamo tediarvi oltre misura, anche per non "offendere" i vari “oratori” che dai numerosi salotti televisivi ci “propinano” i loro sfondoni immortalati anche nei libri, libri che le persone accorte in fatto di lingua non compereranno mai. 

Verbi. Tutti dovremmo sapere che - stando alla regola generale - i verbi transitivi, nella forma composta attiva prendono l’ausiliare avere (ho amato), in quella del passivo l’ausiliare essere (sono lodato). Gli intransitivi, avendo soltanto la forma attiva, prendono ora l’ausiliare avere (ho dormito), ora l’ausiliare essere (sono partito) secondo l’uso comune. Solo un buon vocabolario potrà sciogliere i dubbi che possono di volta in volta insorgere a tale riguardo. Nonostante ciò ci capita di leggere sulla stampa frasi in cui l’uso dell’ausiliare è errato. Vediamo, piluccando qua e là, alcuni esempi in cui l’ausiliare è, per l’appunto, errato; in corsivo l’ausiliare errato, in parentesi quello corretto. Una immensa folla ha affluito (è affluita) in piazza S. Pietro per ascoltare le parole del Pontefice; dopo l’incidente il treno è (ha) deviato presso la stazione piú vicina; l’incendio, che ha (è) divampato rapidamente, ha impegnato per molte ore i vigili del fuoco; le Frecce Tricolori sono sorvolate (hanno sorvolato) su piazza del Popolo; la notizia clamorosa dell’arresto eccellente ha dilagato (è dilagata) rapidamente per tutta la città; l’operazione di polizia ha avuto luogo appena ha (è) annottato; il ragazzo stava per morire dissanguato perché il sangue aveva (era) fluito dalla ferita per parecchie ore. Potremmo continuare ma ci fermiamo qui. Un’ultima annotazione. Per l’uso corretto degli ausiliari è bene consultare piú vocabolari: molto spesso uno contraddice l’altro. Se due su tre concordano...

La sinonimia. Con il termine “sinonimia” si intende – in linguistica – una corrispondenza semantica di due o più parole, vale a dire una “somiglianza” di significato di due o più vocaboli. Alcuni, in proposito, sono convinti del fatto che “sinonimia” equivale a “identicità”. Così non è: non esistono in lingua italiana (ma neanche nelle lingue straniere) vocaboli che potremmo definire “gemelli”; c’è sempre una piccola sfumatura di significato. Per questo motivo alcuni linguisti, prudentemente, tendono a precisare che sono chiamati “sinonimi” i nomi che hanno il medesimo significato “fondamentale”; c’è sempre, infatti, qualcosa che sfugge e rende impossibile la “perfetta” equivalenza dei significati.  Vediamo, infatti, piluccando qua e là, alcuni sinonimi “abusivi”, in corsivo, e in parentesi, i corrispettivi appropriati. Parlerò del tuo problema al direttore non appena si presenterà l’occasione (opportunità); i genitori, dopo il tragico incidente, hanno chiesto notizie del figliolo ma hanno ricevuto solo pietose menzogne (bugie); il giovane, correndo, ha perduto (smarrito) la fotografia della sua compagna; Adalberto, a detta di tutti, è un bellissimo ragazzo nonostante sia troppo macilento (magro); il malfattore, arrestato dalla polizia, ha avuto il castigo (la pena) che meritava; accetterei volentieri il tuo invito, ma ho paura (il timore) di non essere gradito agli altri; dalla vendita dell’appartamento ho avuto ben poco profitto (guadagno); per accedere alla villa bisognava salire qualche gradino (scalino);  il giovanotto rammentava (ricordava) con nostalgia i luoghi dell’infanzia. Per concludere, si faccia attenzione al corretto uso dei sinonimi se non vogliamo correre il rischio che i nostri scritti possano suscitare ilarità in chi li legge. In linguistica si parla, infatti, di “sinonimia approssimativa” e di “sinonimia assoluta”. Nella sinonimia approssimativa i vocaboli sinonimi sono intercambiabili solamente in determinati contesti. Provate a sostituire, infatti, “sala da ballo” con “camera da ballo” e vedrete che il “conto non torna”, per usare un’espressione dell’aritmetica. Si può benissimo dire, invece – “il conto torna” – “sala da pranzo” o “camera da pranzo” (anche se “camera” in questo caso non è un termine appropriato). Nella sinonimia assoluta i vocaboli sinonimi sono, viceversa, intercambiabili in tutti i contesti. Bisogna dire, però, che i sinonimi assoluti sono veramente molto rari. Sono “assoluti”, per esempio, le preposizioni “tra” e “fra” anche se, a voler sottilizzare, c’è una differenza a livello stilistico: al fine di evitare la successione di sillabe uguali si preferisce dire, per esempio, “tra fratelli” piuttosto che “fra fratelli”. Sono sinonimi assoluti – anche se, ripetiamo, c’è sempre una sottile differenza - “invece” e “viceversa”; “ma” e “però”; “termosifone” e “calorifero” e altri – insistiamo rari – che ora non ci vengono alla mente.

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La lingua "biforcuta" della stampa

GREEN&BLUE

Una pala in mezzo al mare. In Sicilia il più grande parco eolico galleggiante del mondo

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Correttamente: al mondo.

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IL RICONOSCIMENTO

Ecco chi è l'insegnante migliore del mondo: e divide il premio (di un milione) con gli altri finalisti

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Correttamente (come sopra): al mondo.



 

 

 

17 commenti:

Anonimo ha detto...

Chiedo venia. "Le Frecce Tricolori hanno sorvolato su piazza del Popolo", si menziona nell'interessante articolo. Mi chiedevo se non sarebbe meglio la preposizione sopra invece della proposizione su.


Renato P.

Fausto Raso ha detto...

A mio avviso non c'è differenza alcuna.

Anonimo ha detto...

La ringrazio per la gentile e celere risposta. Buona giornata!

Renato P.

Luca ha detto...

Qual'è NON È ERRORE!

Se "quale è" è corretto, ne segue la correttezza di "qual'è". L'elisione è regola generale dell'italiano.

I grammatici che prescrivono il "qual è" sono costretti ad affermare che "quale è" sia errato, ma questo non è più vero (se mai lo è stato).

Ecco i dettagli:
https://www.lavocedinewyork.com/arts/lingua-italiana/2018/07/31/qual-e-contro-quale-sono-entrambi-corretti-e-vi-spiego-perche/

Fausto Raso ha detto...

Qui l'articolo segnalato da Luca.

Anonimo ha detto...

Colgo l'occasione per approfondire un argomento. Le spiego il fatto e gli antefatti.
In un sito abbastanza famoso nell'ambiente della lingua italiana che frequentavo anni fa mi venne commentato un intervento con questa frase "Ma a che pro, scusi? Cosí, tanto per divertirsi?"
Ora, a parte la battutina poco pertinente e vagamente derisoria, vedendo l'accento acuto sulla vocale i (della parola così) mi chiesi se si trattasse di un errore di battitura, di una svista, o di altro ancora. Dopo aver controllato buona parte degli scritti dello stesso autore mi accorsi che l'accento acuto sulla i era una sua prerogativa, un suo modo di scrivere.

Lei, dottor Raso, come vede questo modo di scrivere la vocale i con l'accento acuto? Uno sbaglio? Una specie di licenza poetica? Sarebbe un'esagerazione chiamarlo selecismo?

Sono sempre rimasto nel dubbio e ho lasciato correre, un po' perché la cosa non è che non mi facesse dormire la notte, un po' perché sono uno che, come si suol dire, vive e lascia vivere.

Ora che però riscontrando in Lei una persona con la quale si può discutere senza correre il rischio di essere derisi, mi rifaccio avanti con quella che una volta era una domanda rivolta a me stesso, ovvero "Ma questa i con l'accento acuto è sbagliata o no? Treccani dice che è sbagliata. Ma mica c'è solo Treccani a stabilire ciò che va bene e ciò che non va bene. La lingua la facciamo noi e si sa, lo sbaglio comune porta alla regola.

Spero di non averle scaricato la cosiddetta patata bollente.

Un caro saluto

Renato P.

Fausto Raso ha detto...

Gentile Renato,
i grammatici, meglio, i fonetisti si accapigliano per quanto attiene all'accento da mettere sulla "i" (ma anche sulla "u"): chi dice acuto, chi grave. Il sottoscritto - confortato anche da insigni linguisti - mette l'accento acuto sia sulla "i" (cosí) sia sulla "u" (piú) perché le due vocali, al contrario della "e" e della "o", hanno un unico "suono" e questo suono si "segnala" con l'accento acuto (c'è forse diversità di suono tra "ì" e "í" o tra "ù" e "ú?).L'accento naturale, quindi, è quello acuto. Veda anche qui e qui.

Anonimo ha detto...

Dottor Raso, a suo tempo avevo già visto gli scritti di cui Lei mi riporta i collegamenti, collegamenti che si sommano a tanti altri ancora visti in tempi ormai remoti per me.
A dire la verità ho anche una certa quantità di libri qui nel mio studio. Insomma, arzigogolando con le espressioni, lo ammetto, non mi identificherei proprio con quel ciabattino ammonito da quel “Sutor, ne ultra crepidam!”

Sull’articolo – arringa?- dell’esperto Infarinato non mi dilungo. Sapendo che è un esperto di Dante, mi verrebbe di mettergli in bocca “ Il bel Paese dove il sì ha due accenti”. Frase scherzosa che però riassume il mio modesto parere sulla questione: accenti a piacere!

Eh sì! Uno contro tutti, può essere quella spiacevole situazione che può capitare ad ognuno di noi. Ne so qualcosa anch’io nel mio settore. Un combattimento contro i mulini a vento, aggiungerei, vista la mole di letteratura tendente a confermare l’opposto, riferendomi agli accenti.
.
Ma Lei, se mi permette, dottor Raso, allora mette l’accento acuto a parole, o nomi propri, come addì, lunedì (…), costì, lì, orsù, sù, più, Mondovì e Marilù?

Cordialmente

Renato P.

Fausto Raso ha detto...

Sí, cortese Renato,
metto l'accento acuto su tutti i giorni della settimana e sui nomi propri che finiscono in "-i" e in "-u".
Cordialmente

Anonimo ha detto...

Gentile dottor Raso, Le credo sulla parola. Lei scrive molto a difesa della nostra amata lingua italiana, e oltre alla Sua bravura, salta agli occhi, perlomeno ai miei, la coerenza delle Sue intenzioni con le Sue azioni. Vedo infatti a Informazioni personali, del Suo diario in rete, tutto scritto in italiano, il che è fatto inusuale, perché ormai oggigiorno redigere il proprio Curriculum Vitae in inglese è la prassi comune.

Poi volevo dirle, non me ne voglia, che ho dato una scorsa ad alcuni dei Suoi ultimi scritti, e vedendo alcune discrepanze tra gli accenti usati per le stesse parole nell'articolo intitolato Di tutto (linguisticamente) un po', ho subito pensato che ciò dipendesse dal tipo di tastiera che usa di volta in volta.

Appunto, all'altro Suo articolo, quello sull'importanza della scrittura manuale, o in altri di simile argomento se ne vorrà fare in futuro, aggiungerei a buon ragione, credo, questo particolare non trascurabile, cioè l'uso del tipo di accento, relativamente condizionato dal materiale fisico che abbiamo a disposizione: in primis la tastiera. Svincolata da quanto menzionato sopra è invece la scrittura manuale.

Benedetta ignoranza! La mia s'intende! M'ero illuso di rintracciare in qualche manoscritto di Dante, reperibile in rete, ora un accento grave ora uno acuto, non sapendo che...
Vabbè, posso tirare anche lo sciacquone.

Un caro saluto

Renato P.

Fausto Raso ha detto...

Gentile Renato,
a proposito della mia posizione circa l'accento acuto da mettere sulla "i" (e sulla "u") guardi qui.

Anonimo ha detto...

Sette su dieci è stato il mio punteggio. Azzeccato pure l'accento, grave, sulla ì del medesimo quiz.

La ringrazio ancora!

Renato P.

Anonimo ha detto...

Dottor Raso, Lei come definirebbe questo articolo apparso e ricopiato in diverse testate giornalistiche digitali?

di Silvia Natella

Sono arrivati a Mazara del Vallo i pescherecci con a bordo i 18 pescatori sequestrati in Libia. Il loro arrivo nel boccaporto del Porto Nuovo è stato annunciato dalla sirena di una motovedetta. Si tratta dei pescherecci Medinea e Antartide. I pescatori sono stati rilasciati lo scorso giovedì dopo 108 giorni di prigionia.


Renato P.

Fausto Raso ha detto...

Gentile Renato,
onestamente non so risponderle. Potrebbe essere piú chiaro?
Cordialmente
FR

Anonimo ha detto...

Gentile dottor Raso, La prego di fare attenzione alla parola boccaporto, nel prima menzionato articolo.

Cordiali saluti

Renato P.




Fausto Raso ha detto...

Ha ragione, cortese Renato,
di primo acchito non ci avevo fatto caso. Una "svista" dell'autrice? E i "ricopiatori"?

Anonimo ha detto...

Sì, i ricopiatori tutti lo stesso errore. Ieri ho controllato diverse testate giornalistiche e pure l'ANSA aveva commesso lo stesso sbaglio. Chi se n'è accorto l'ha corretto. Mah, sono cose che succedono ai vivi.

Buona giornata!

Renato P.