venerdì 13 dicembre 2019

Grammatico e linguista


Riproponiamo un vecchio intervento con il quale cerchiamo di spiegare la differenza che intercorre tra il grammatico e il linguista. Accontentiamo, cosí, il cortese lettore Massimo C. di Carbonia.

  I profani, coloro che non sono addetti ai lavori - come usa dire - ritengono che grammatico sia sinonimo di linguista e viceversa. In linea generale non hanno torto, anche se - come vedremo -  c’è una piccola sfumatura nel significato dei due termini.
     I vocabolari che abbiamo consultato non aiutano a capire questa sfumatura; alle voci in oggetto recitano: «grammatico, studioso di grammatica»; «linguista, studioso di lingua (o linguistica)». Al lemma grammatica leggiamo: «l’insieme delle norme che regolano la lingua». A questo punto è più che legittimo ritenere che grammatico e linguista siano termini concatenati tra loro e, quindi, sinonimi.
     Le cose, però, non sono così semplici. Per carpire la notevole differenza tra il grammatico e il linguista occorre considerare la lingua, di volta in volta, da due punti di vista diversi. Ora da quello normativo -  «è bene scrivere così» - Paolo Bianchi e non Bianchi Paolo; ora da quello storico-comparativo, seguendo i vari mutamenti che nel corso dei secoli hanno subito alcuni gruppi di parole e cercando di spiegarne i motivi storici, appunto.
     Il primo punto, il normativo, è quello che di regola si prefiggono i grammatici e i compilatori dei vocabolari: raccomandare certe forme e certi costrutti a preferenza di altri. Ordinando il buon uso i grammatici sono - con le dovute eccezioni - molto conservatori: le parole nuove sono, in genere, snobbate e biasimate esplicitamente.
     Particolarmente rigorosi, potremmo dire morbosamente attaccati alle norme, sono stati due secoli fa i così detti puristi. La loro morbosità, il loro attaccamento alle norme, procurò a quei valentuomini l’epiteto, ora scherzoso ora dispregiativo, di linguaioli.
Il secondo punto, il comparativo, è di pertinenza esclusiva della linguistica (o glottologia, i due termini hanno press’a poco lo stesso significato). La glottologia si rifà ai metodi maturati -  due secoli or sono - nello studio scientifico delle lingue, vale a dire il metodo comparativo e la concezione storica.
     Il glottologo (o linguista), insomma, osserva un particolare fenomeno linguistico (e lo compara con altre lingue): che l’aggettivo pronominale o possessivo, per esempio, di terza persona loro è invariabile. Una volta stabilito questo dato di fatto, cerca di darsene una spiegazione prendendo a confronto le forme più antiche, le voci dialettali, comparandole con le forme di altre lingue sorelle o affini.
     Il metodo storico ci permette di vedere come alcune forme etimologicamente errate si siano saldamente radicate nell’uso e siano da considerare, quindi, perfettamente in regola con la legge della lingua. Il metodo storico, insomma, dà ragione ai portabandiera del detto l’uso fa la lingua. Un esempio?
     Quando nel latino parlato — durante il periodo di transizione dalla lingua classica a quella volgare -  per formare il participio passato di debere, dovere, i parlanti hanno cominciato a dire debutum (donde l’italiano dovuto), invece della forma corretta debitum, hanno imposto l’uso scorretto che è diventato…  corretto. Hanno fatto un po’ come i bambini che dicono, per esempio, romputo e non rotto.
     Mentre oggi, però, in casi come questi, i genitori e la scuola correggono l’errore, negli ultimi secoli dell’Impero, ma soprattutto nel Medio Evo, questa reazione non c’è stata, o per lo meno non abbastanza vigorosa, e il latino ha dato luogo alle lingue neolatine e alle forme scorrette convalidate dall’uso.
     Abituati, per tanto, a esaminare fenomeni di questo tipo, i glottologi (o linguisti) hanno finito con l’assumere un atteggiamento d’indifferenza nei confronti della lingua: a considerare, per l’appunto, semplici cambiamenti quelli che i grammatici (in special modo i puristi) considerano delle vere e proprie corruzioni linguistiche.
     I grammatici, insomma, sono essenzialmente conservatori; i linguisti, invece, stanno alla finestra: indifferenti che l’uso antico prevalga sul nuovo o viceversa. Per concludere, è giusta questa distinzione di ruoli, questa separazione netta fra i due punti di vista? Non crediamo, perché come insegna il vecchio adagio latino in medio stat virtus.
Il rigore assoluto dei grammatici va temperato dalla giusta considerazione che tutte le lingue con il mutare delle generazioni cambiano anch’esse.
Viceversa non bisogna prendere alla lettera il punto di vista storico, vale a dire l’indifferente storicismo che la linguistica, e con questa i glottologi, potrebbe incoraggiare.
Anche per i linguisti e i grammatici dovrebbe esserci -  per il bene della lingua - un incontro sulla via di Damasco.

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