Per la
spiegazione e il significato di questo modo di dire – probabilmente sconosciuto
ai piú - ricorriamo a una storiella. Il
cavalier Trombini desiderava – con tutta l’anima – avanzare di grado nell’ufficio
presso il quale prestava la sua opera: la tanto sospirata promozione gli
avrebbe consentito un tenore di vita migliore. Ogni mattina, quindi, si recava
nella stanza del capo del personale con la mai sopita speranza di ricevere la “buona
novella” e ogni mattina – immancabilmente – il dr Stortoni, il “famigerato”
capo del personale, lo congedava con belle parole e moltissime promesse: «Vede,
cavaliere, lei è insostituibile; conosce il suo lavoro meglio di altri, se la
sollevo dal suo incarico, che svolge magistralmente, per promuoverla – come lei
desidera e giustamente meriterebbe – mi ritrovo l’ufficio relazioni estere
privo di un capo carismatico quale lei è; abbia ancora un po’ di pazienza – ne ha
avuta molta, finora – aspetti che il suo collaboratore abbia imparato bene le
mansioni per le quali la nostra Società lo ha assunto, poi, glie lo prometto
ancora, il posto di primo dirigente, resosi vacante, sarà suo. Buon lavoro,
cavaliere». Dopo queste bellissime e lusinghiere parole – che si ripetevano da
mesi, ormai – Trombini lasciava l’ufficio del suo superiore contento e “ringalluzzito”
riprendendo, serenamente, il suo lavoro in attesa del “grande salto”. Questa
scenetta, dunque, che si ripeteva tutte le mattine da mesi, gli era valsa il soprannome,
affibbiatogli dai colleghi, di “Cavalier del Ciolle”. Trombini, infatti, si
comportava come il cavallo di questo cavaliere: si accontentava di belle parole
senza approdare a nulla. Che cosa faceva, dunque, il caval del Ciolle? Ce lo
dice Benedetto Varchi nel suo “Ercolano”: «di quelli che si beccano il cervello,
sperando vanamente che una qualche cosa debba loro riuscire e ne vanno
cicalando qui e qua, si dice che fanno come il caval del Ciolle, il quale si
pasceva di ragionamenti, come le starne di monte Morello di rugiada».
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Ci siamo accorti che il modo di dire è stato pubblicato il 15 settembre 2012. Ci scusiamo per la ripetizione.
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Ci siamo accorti che il modo di dire è stato pubblicato il 15 settembre 2012. Ci scusiamo per la ripetizione.
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