Potremmo
definire “ermafrodite” quelle parole che i grammatici chiamano ambigeneri
perché si differenziano solamente per mezzo dell’articolo o dell’aggettivo
concordanti, non mutano, insomma, la desinenza. Appartengono a questa categoria:
a) le parole terminanti in “-e”: il custode, la custode; il nipote, la nipote,
il consorte, la consorte ecc.; b) i participi presenti sostantivati: il
cantante, la cantante (a questo proposito sarebbe “piú corretto” dire la
studente); c) le parole terminanti in “-ista” e in “-cida”: il ciclista, la
ciclista; il fratricida, la fratricida; il giornalista, la giornalista. Questi
ultimi sostantivi, però, nel plurale hanno forme distinte per il maschile e per
il femminile: i ciclisti, le cicliste; i fratricidi, le fratricide. Vi sono,
inoltre, le “ermafrodite” apparenti la cui differenza non è il genere ma il
significato. I grammatici le chiamano “falsi ambigeneri” o “ambigeneri
apparenti”. Vediamone qualcuna: il fine (lo scopo), la fine (il termine); il
moto (movimento), la moto (la motocicletta); il radio (minerale), la radio
(apparecchio ricevente): il pianeta (corpo celeste), la pianeta (paramento
liturgico); il fronte (zona di guerra), la fronte (parte del volto); il tema
(il componimento), la tema (la paura); il lama (monaco), la lama (parte del
coltello); il boa (serpente), la boa (il galleggiante).
lunedì 12 maggio 2014
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