Se c’è un termine, oggi, di cui si fa abuso, e molto spesso a sproposito, questo è la “sinergia”. Molti lo adoperano perché è “di moda” ma non sanno esattamente cosa sia. Chiediamo lumi, dunque, a Cesare Marchi.
«Si parla molto di sinergie. Riferendosi specialmente agli editori di giornali che cercano, mediante le sinergie, di abbassare i costi. La parola viene dal greco “syn”, insieme, ed “ergon”, opera, azione; vale a dire collaborazione. Grazie alle sinergie, la stessa pagina può comparire su testate differenti. Ma contro questa novità tecnologica i giornalisti han dimostrato “allergia”, che deriva pure da “ergon” e vuol dire reazione contraria. Temono infatti che lo scambio di pagine preconfezionate riduca i posti di lavoro. Questa del resto, è una preoccupazione comune a tutti i lavoratori, compresi gli addetti alla “metallurgia”, altro vocabolo derivante da “ergon”, cioè lavorazione dei metalli. Lavoro duro, per il quale occorre molta “energia” (il solito “ergon”). Tuttavia il lavoro va inteso come strumento di liberazione dell’uomo, non come una condanna a vita. Insomma non deve essere un “ergastolo”, dal greco “ergastérion” (…) casa di lavoro per schiavi e condannati ai lavori forzati. Quando un malato ha bisogno d’un intervento operatorio, si affida al chirurgo, medico che opera con le mani, dal greco “chéir”, mano, ed “ergon”, opera».
Per tornare alla “sinergia”, questo termine è stato mutuato dalla scienza medica in quanto è “un fenomeno per cui un dato effetto terapeutico si ottiene mescolando due o piú medicamenti che interagiscono provocando sull’organismo un’azione piú efficace e immediata”.
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