Cortese professore,
continui pure con le sue "inquietanti restrizioni",
non prenda in considerazione il commento del lettore Gilberto (post
"Osservazioni..." 2). Le sue
"restrizioni" hanno consentito a mio figlio, che con me segue
assiduamente il suo blog, di apprendere molti "segreti" della lingua
italiana e di ottenere ottimi risultati scolastici. Molti di questi "segreti" sono riportati anche nel
suo meraviglioso e istruttivo libro "Un tesoro di lingua", per questo
non finirò, anzi finiremo, mai di ringraziarla. Tra i tanti "segreti"
ci piacerebbe sapere perché il mezzo di trasporto pubblico, prima dell'avvento
del treno e dei veicoli a motore, si chiamava "diligenza", quella,
per intenderci, che si vede nei film. Grazie se questa mail avrà una risposta.
Con viva cordialità
Antonio S.
Trieste
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Gentilissimo Antonio, arrossisco
e la ringrazio. Il "segreto" di cui in oggetto è stato trattato tempo
fa. Le faccio il copincolla.
Vi siete mai soffermati a riflettere sul motivo per
cui la carrozza a due o più cavalli che un tempo
serviva per il regolare trasporto di persone da un
luogo all’altro si chiama (o chiamava) diligenza?
No?! Bene. Allora approfittiamone e viaggiamo
assieme, con la fantasia, sulla diligenza che ci
condurrà al mare. Durante il percorso, breve, vedremo
come è nato il nome di questa vettura che
ha sempre un suo intramontabile fascino.
Come la grande maggioranza delle parole anche
“diligenza” si rifà al padre della nostra lingua:
il latino. E dal latino “diligentia”, appunto, è
nato il termine italiano con due significati diversi
ma strettamente in rapporto tra loro (anche se,
per la verità, diligenza nel significato di “vettura”
ci è giunto dal francese “diligence”: il francese
non è figlio del latino?). Ma andiamo con ordine.
Nella prima accezione il termine diligenza ha
conservato lo stesso significato che aveva il latino
“diligentia”, vale a dire ‘cura’, ‘zelo’, ‘premura’ e
perché no? ‘fretta’. In seguito ha assunto anche
il significato di “vettura”, “carrozza”. Ma che
rapporto intercorre tra diligenza nel significato
di ‘premura’ e quello di ‘carrozza’? Un rapporto
strettissimo. In Francia, tra il Seicento e il
Settecento, si chiamò “carrosse de diligence” un
mezzo di trasporto rapido che viaggiasse con la
massima ‘premura’ (‘diligence’). Con il trascorrere
del tempo, come accade spesso in fatto di
lingua, si tralasciò “carrosse de diligence” e restò
solo ‘diligence’, donde la nostra “diligenza”.
cui la carrozza a due o più cavalli che un tempo
serviva per il regolare trasporto di persone da un
luogo all’altro si chiama (o chiamava) diligenza?
No?! Bene. Allora approfittiamone e viaggiamo
assieme, con la fantasia, sulla diligenza che ci
condurrà al mare. Durante il percorso, breve, vedremo
come è nato il nome di questa vettura che
ha sempre un suo intramontabile fascino.
Come la grande maggioranza delle parole anche
“diligenza” si rifà al padre della nostra lingua:
il latino. E dal latino “diligentia”, appunto, è
nato il termine italiano con due significati diversi
ma strettamente in rapporto tra loro (anche se,
per la verità, diligenza nel significato di “vettura”
ci è giunto dal francese “diligence”: il francese
non è figlio del latino?). Ma andiamo con ordine.
Nella prima accezione il termine diligenza ha
conservato lo stesso significato che aveva il latino
“diligentia”, vale a dire ‘cura’, ‘zelo’, ‘premura’ e
perché no? ‘fretta’. In seguito ha assunto anche
il significato di “vettura”, “carrozza”. Ma che
rapporto intercorre tra diligenza nel significato
di ‘premura’ e quello di ‘carrozza’? Un rapporto
strettissimo. In Francia, tra il Seicento e il
Settecento, si chiamò “carrosse de diligence” un
mezzo di trasporto rapido che viaggiasse con la
massima ‘premura’ (‘diligence’). Con il trascorrere
del tempo, come accade spesso in fatto di
lingua, si tralasciò “carrosse de diligence” e restò
solo ‘diligence’, donde la nostra “diligenza”.
***
Ancora sulla "lingua"
della stampa
E’
gravissimo il quadro che emerge dall’inchiesta della Procura di Lecce sugli
abusi subiti da un’adolescente di un paese della provincia di Lecce, che è stata recentemente allontanata dalla casa familiare
per sottrarla a un clima di omertà che gli inquirenti ritengono pericoloso.
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Il periodo
che avete appena letto, tratto da un articolo di un giornale in rete, contiene
due errori; uno veniale (matita rossa) l'altro mortale (matita blu). Il veniale
è la "e" verbo con l'apostrofo e non, correttamente, con l'accento
(È); l'altro, mortale, è la collocazione del pronome relativo, che in buona lingua italiana
si riferisce sempre all'antecedente, in questo caso alla città di Lecce. Stando
alla lingua, quindi, dalla casa familiare non è stata allontanata la fanciulla,
ma la città di Lecce. Attendiamo, naturalmente, di essere smentiti dai soliti
linguisti "d'assalto".
6 commenti:
"Quel ramo del lago di Como, che volge a mezzogiorno": il "che" manzoniano si rivolge alla città di Come che volge (?) o al ramo (del lago di Como)? Quando le espansioni di un sintagma non possono essere dislocate altrove il che relativo può benissimo riferirsi alla testa.
Ci sono le regolette da grammatica dell'8oo, e poi ci sono regole di una grammatica ponderata e ragionata, che tiene conto delle ragioni pratiche della lingua e di uno studio finalmente scientifico (e non solo dogmatico) della lingua.
Cortese anonimo,
grazie della "lezione" (peccato si sia nascosto dietro l'anonimato). A parte il "che" manzoniano, a mio modo di vedere quando c'è un "che" è meglio formulare la frase evitando ambiguità. Nel caso specifico l'articolista avrebbe potuto scrivere: "È gravissimo il quadro che emerge dall'inchiesta della Procura di Lecce [...]; la giovinetta è stata [...]". Ne conviene?
Cordialmente
FR
Egregio lettore (nonché illustrissimo dottore ed esimio professore) Gilberto, intraprenda tranquillamente il suo meraviglioso e istruttivo viaggio in rete; non prenda in considerazione le paturnie linguistiche di Fausto Raso.
Giuseppe (reale nella misura in cui sono reali, ossia fisicamente esistenti, i vari Otto, Antonio, ecc. ecc.)
D'accordo con Anonimo sul -che- ingiustamente inquisito. Augh.
Caro Giuseppe (reale nella misura in cui...),
il medico non le ha ordinato di prendere in considerazione le mie "paturnie linguistiche", si metta in comunicazione (non uso "contatto" perché è un barbarismo) con Gilberto e, assieme a lui, intraprenda tranquillamente il "meraviglioso e istruttivo viaggio in rete". Quanto al " 'che' ingiustamente inquisito ", resto della mia idea.
Fausto Raso (reale)
Gentile dott. Raso,
non capisco perché lei pubblica i commenti "sarcastici" di tali Gilberto e Giuseppe. Come giustamente ha scritto in risposta a "quei due" nessun medico ha ordinato loro di leggere le sue preziose e istruttive noterelle (come le chiama lei). Faccio mie le parole del lettore di Trieste e la invito a proseguire per la sua strada.
Con stima
Osvaldo (reale, vivo, esistente in vita)
Cortese dott. Raso,
mi sono imbattuto, per caso, nel suo blog. Incuriosito l'ho navigato un pochino e ne sono rimasto affascinato. L'ho messo immediatamente tra i preferiti. Non condivido affatto i commenti critici dei blogghisti Giuseppe e Gilberto e come il lettore Osvaldo la invito caldamente a proseguire per la sua strada...
Con cordialità
Silvestro (Cesena)
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