domenica 1 maggio 2011
La codardìa
Stimatissimo dott. Raso,
seguo il suo meraviglioso sito da "illo tempore" ma solo ora ho avuto il "coraggio" di scriverle - vista la sua non comune disponibilità - per porle un quesito che, credo, non attiene proprio alla linguistica intesa come grammatica. Desidererei conoscere o meglio sapere se la "codardìa", cioè la viltà, ha qualcosa a che vedere con la... coda. Sicuro di una sua cortese risposta, la ringrazio anticipatamente anche per il suo nobile impegno per la tutela della nostra cara lingua italiana.
Cordialmente
Pasquale d'A.
Trapani
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Gentilissimo Pasquale, l'argomento è stato trattato, qualche anno fa, sul "Cannocchiale". Faccio il "copincolla".
“L’etimologia”, soleva ripetere il linguista Aldo Gabrielli, è “una parola che basta da sola a creare, in chi non fa parte degli ‘addetti ai lavori’, un istintivo gesto di ripulsa. (...) Se c’è una scienza gradevole, è proprio questa che tratta della nascita delle parole. Le parole non son nate dal nulla, e han quindi dietro di sé una ‘storia’ che spesso è un’avventura complessa e imprevedibile”. Una riprova? Subito.
Prendiamo in esame tre parole: coda, codino e codardo. Attraverso lo studio dell’origine di questi tre vocaboli, cioè attraverso la loro etimologia, possiamo notare che, oltre all’affinità di “suono”, hanno in comune una stessa “matrice” pur avendo ben distinti significati: la coda. Tutti conosciamo il significato di codardo, se non altro basta aprire un vocabolario e leggere: chi per viltà d’animo si mette da parte in imprese rischiose e si sottrae al suo dovere; con significato piú generico: pusillanime, vile, pauroso. E la coda? Per trovarla “intrinseca” nel vocabolo occorre tornare indietro nel tempo e fermarsi al Medio Evo.
In quel periodo della nostra storia si usava andare a caccia con il falcone ben ammaestrato a catturare la preda. Quando l’animale stanco e “intimorito” si rifiutava di levarsi in volo e di eseguire, cosí, il suo compito, manifestava il suo “no” abbassando le penne della coda. In questi casi il falcone veniva chiamato “codardo” (dal francese antico “couard”). Con il trascorrere del tempo lo stesso aggettivo venne applicato, per estensione, alla persona che si rifiutava di affrontare pericoli e difficoltà varie. Da codardo è stato coniato il termine “codardía”: paura per cui uno si ritira di fronte al nemico.
Altrettanto interessante la storia del codino che, come tutti sappiamo, è la “treccia di capelli che scendeva dietro la testa” (cosí chiamata perché assomiglia, per l’appunto, alla coda degli animali) ed era portata dagli uomini nel secolo XVIII o in Cina fino agli inizi del XX secolo (per la cronaca oggi il codino sembra tornato di moda fra gli uomini). Ciò che non tutti sanno, forse, è che con il termine ‘codino’ si intende indicare anche una persona retrograda, reazionaria, conservatrice. In questo caso la ‘coda’ che cosa c’entra? È presto detto.
Torniamo, come il solito, indietro nel tempo e fermiamoci al periodo della Rivoluzione francese. Prima dello scoppio della rivoluzione i nobili e le persone appartenenti alle classi sociali elevate usavano portare la parrucca (incipriata, naturalmente) con tanto di codino. Questa moda fu spazzata via dai rivoluzionari. Le persone, però, che non accettavano i princípi egualitari della Rivoluzione e rivendicavano l’antica divisione del Mondo in “caste”
e la legittimità dei privilegi per diritto di nascita, continuarono per alcuni decenni, soprattutto dopo la fine della Rivoluzione e del periodo napoleonico, a seguire l’antica moda. I re e i nobili, richiamati in patria dai nuovi governi, si presentarono con tanto di parrucca e di... codino. Per costoro non era cambiato nulla, tanto che il termine codino assunse, appunto, il significato di “reazionario”. Oggi, quindi, potremmo chiamare “codino” ogni uomo retrogrado, refrattario, “cocciutamente” legato alle cose passate anche se sorpassate. Nessuno potrebbe meravigliarsi.
Ci siamo accorti però, e concludiamo queste noterelle, che non abbiamo parlato delle varie accezioni che ha il termine coda nei suoi usi figurati. Ripariamo subito. I lettori poeti, per esempio, sanno benissimo che in metrica si chiama coda il verso o la strofe che viene aggiunta allo schema originario di una composizione: sonetto con la “coda” o sonetto “caudato”. I lettori militari sanno che in un esercito la “coda” è la retroguardia. Potremmo continuare ancora, ma non vogliamo approfittare della vostra squisita pazienza.
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