Il modo di dire, che avete appena letto, è conosciutissimo in quanto tutti lo adoperiamo allorché vogliamo mettere in evidenza il fatto che una persona - spesso in preda alla collera - fa un gran putiferio, un pandemonio o si comporta in modo da sollevare uno scandalo. La locuzione ha varie interpretazioni... etimologiche. Cancan innanzi tutto - è il caso di ricordarlo - è anche il titolo di una canzonetta, o meglio di una danza francese alquanto sfrenata, in voga nel periodo della “Belle Époque”. Il termine cancan, dicevamo, si presta a due interpretazioni. Secondo il “Dizionario” di P.M. Quitard sarebbe il latino “quamquam”, vale a dire ‘sebbene’. Questa congiunzione era “di moda”, nel secolo XVII, tra i conferenzieri universitari, che la adoperavano in apertura di discorso: era ritenuta, infatti, un costrutto molto elegante e raffinato al punto di assumere l’accezione di “arringa pubblica su argomenti filosofici”. Ma vediamo come il vocabolo si è diffuso nel significato odierno di “putiferio”. Secondo l’usanza gotica la congiunzione latina “quamquam” veniva pronunciata “kankam”. Un celebre umanista però, Ramus, sosteneva, giustamente, che la locuzione andava “recitata” alla latina ma i “sapientoni” della “Sorbona” (università parigina) non ne vollero sapere tanto che ‘dimissionarono’ un giovane professore che aveva avuto l’impudenza di pronunciare “quamquam”. Questi fece ricorso al Parlamento dove l’umanista Ramus assunse la “difesa” del giovane docente. Davanti alle assise Ramus riuscì a “smantellare” le argomentazioni dei fautori della pronuncia gotica (kankam) con motivazioni che misero in ridicolo gli “accusatori” del giovane insegnante. Il Parlamento, allora, emise un verdetto salomonico lasciando a ciascuno la facoltà di pronunciare il termine in tutti e due i modi. Al “verdetto” seguí un furibondo litigio con una rissa conclusasi con l’assassinio di Ramus. Da quel momento in poi il vocabolo passò a indicare una violentissima discussione su argomenti di irrilevante importanza e in seguito, per estensione, un... cancan, cioè un gran putiferio. La seconda interpretazione - per altri insigni Autori - va ricercata nel suono onomatopeico con cui i fanciulli francesi chiamano l’anatra (“canard”) ma va riferita, anche e soprattutto alla danza in cui il passo e il dimenarsi assomigliano all’andatura dell’anatra, appunto.
* * * Disopra e di sopra
Di questo avverbio di luogo, che sta per “in luogo superiore”, “sopra” sono corrette entrambe le grafie (la scissa e l’univerbata); la piú adoperata, però, è la forma scissa. È preferibile la grafia unita quando l’avverbio è adoperato in funzione di sostantivo maschile atto a indicare la parte superiore di qualcosa: il disopra del tavolo; il disopra dell’edificio.
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Giornalista pubblicista - laurea magistrale in "Editoria e giornalismo" - sono sempre stato attento alle problematiche linguistiche.
Titolare della rubrica di lingua del “Giornale d’Italia” dal 1990 al 2002. Collaboro con varie testate tra cui il periodico romano “Città mese”. Ho scritto "Un tesoro di lingua" e, con Carlo Picozza, giornalista di “Repubblica”, il libro “Giornalismo - Errori e Orrori. Per non essere piantati in Nasso dall’italiano”, con la presentazione di Lorenzo Del Boca, già presidente dell'Ordine nazionale dei giornalisti, con la prefazione di Curzio Maltese, editorialista di “Repubblica” e con le illustrazioni di Massimo Bucchi, vignettista di “Repubblica”. Editore Gangemi - Roma.
Volume vincitore alla III edizione del premio letterario nazionale "L'Intruso in Costa Smeralda". Con Carlo Picozza e Santo Strati ho scritto anche "S.O.S. Scrittura - Primo soccorso linguistico".
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