* Codino
mercoledì 2 marzo 2016
Un «codino linguistico»
Un lettore,
trinceratosi dietro l'anonimato e definitosi un editorialista di un grande
quotidiano, ci ha inviato un' elettroposta accusandoci
di essere un "codino linguistico*", vale a dire un "conservatore della lingua" . Messaggi del genere ci arrivano in
continuazione, ma questo era
particolarmente 'pesante'. Non scendiamo al suo livello e gli rispondiamo
riproponendo un nostro vecchio intervento sull'argomento.
* Codino
Il
nostro mestiere di “censore della lingua” (scelto per vocazione, s’intende)
presta il fianco agli attacchi da parte dei soliti soloni che ritengono essere
gli unici depositari della verità, quella della lingua, naturalmente: costoro
ci accusano di “conservatorismo linguistico” e di volere, a tutti i costi, il
rispetto di alcuni “canoni” che il tempo e il non-uso hanno definitivamente
cancellato. Per costoro, insomma, che si definiscono “progressisti della
lingua”, attraverso le nostre noterelle riportiamo il nostro idioma ai tempi di
Dante. “La lingua, per bacco!, si evolve - sostengono - ciò che era ‘legge
linguistica’ cinquant’anni fa è stato superato dall’uso, è l’uso che fa la
lingua”. E quest’ “uso” ha indotto alcune Università a organizzare corsi di
recupero per studenti “analfabeti”. Ai nostri detrattori, in maggioranza
giornalisti (coloro, quindi, che “usano” la lingua quotidianamente e la
“dispensano”) rispondiamo “rispolverando” alcune nostre modeste noterelle.
Siete voi, amici carissimi, i “conservatori” della lingua; siete voi, non noi,
ad adoperare un linguaggio cinquecentesco. Una riprova? “La squadra è stata
sfortunata, che jella!”; “Una jattura ci perseguita”, non riusciamo a vincere
su quel campo”; “Naja volontaria per le donne”; “La società ha ottenuto una
fidejussione”; “La crisi dell’ex Juogoslavia”. Potremmo continuare, ma ci
fermiamo qui per non tediarvi oltre misura. Come potete vedere, sono tutti
titoli presi a caso da alcuni quotidiani, e tutti hanno lo stesso “denominatore
comune”: parole contenenti la “j” anziché la vocale corretta italiana “i”. La
“J” è scomparsa dal nostro alfabeto ed è rimasta in uso solo in alcuni nomi
propri (Jacopo); fu introdotta, nel Cinquecento, da Gian Giorgio Trissino, e si
adoperava quando era iniziale di una parola seguita da vocale o iniziale di
sillaba: jattura; aja; fornajo. Oggi nessuno scrive piú “jeri”o “noja”, non
vediamo, quindi, perché si debba scrivere “naja”, “jattura” ecc. Il Trissino
sarebbe considerato, oggi, un
conservatore della lingua, anche se resta suo il merito di avere imposto la
necessaria distinzione di grafia delle lettere “V” e “U”. Noi non siamo
“progressisti”? A voi, amici blogghisti, la risposta. Siamo conservatori della
lingua perché pretendiamo che siano rispettati alcuni canoni “sacri” del nostro
idioma? Affosseremmo la lingua perché insistiamo, per esempio, nel pretendere
il rispetto del dittongo mobile? Coloro che si dichiarano progressisti della
lingua sostenendo che questa si evolve, ed evolvendosi si semplifica, dovrebbero
sapere che la tendenza della lingua moderna e “progressista” è di abolire il
dittongo dove dovrebbe esserci, per snellire la lingua stessa: gioco è meglio
di giuoco, cosí come figliolo è meglio di figliuolo. Non riusciamo a capire,
quindi, per quale oscuro motivo i “semplificatori” della lingua, quella che si
evolve, mettano il dittongo dove per legge grammaticale non dovrebbe, anzi, non
deve esserci e viceversa: suonavo; siederò; muovevo; nuocevo; promuovendo.
Quante volte i nostri contestatori hanno scritto (e scrivono), per esempio, che
“la riunione è stata ‘infuocata’ ”e che il giudice “sta ‘promuovendo’ l’azione
penale”? Gli amatori della lingua sanno benissimo che “infuocata” e
“promuovendo” sono errori, anzi... orrori. Ma tant’è. Gli “evoluzionisti” della
lingua fanno orecchi da mercante e mettono il dittongo là dove non occorre,
“appesantendo” la lingua, non “evolvendola” come sostengono (con un pizzico di
ipocrisia?). No, amici, rimandiamo al mittente le accuse: gli affossatori della
lingua siete voi, con gli strafalcioni che quotidianamente ci “propinate”.
Tempo fa una “grande firma”, ospite del “consigliere per gli acquisti”, ha
detto (citiamo a memoria): “Bisogna finirla col pretendere dai giornali la
correttezza del linguaggio; chi vuole una lingua ‘pulita’ legga i testi
universitari” (certi docenti di oggi...). Cosa rispondere? Nulla. Non ci sono
parole, anzi, ci sarebbero, ma le teniamo per noi. Diciamo solo, e insistiamo,
che i giornali hanno l’obbligo morale di rispettare alcune regole elementari
che... regolano la nostra lingua, come quella che “proibisce” l’uso del verbo
“iniziare” se non c’è un soggetto animato. In casi dubbi si può ricorrere al
verbo “cominciare” (o “incominciare”). In questo caso, però, nasce un altro
problema sull’uso corretto del futuro e del condizionale: comincerà o comincierà, comincerei o comincierei? Con o senza la
“i”? Questo è il dilemma!
* Codino
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8 commenti:
Il dilemma sta in accusandoci (accusando noi, plurale) di essere un codino (singolare), il nostro (di noi, plurale) mestiere di censore (singolare).
Jougoslavia. Tutti possono sbagliare, come potete notare.
Caro Anonimo (se è lo stesso del "dilemma"), quanto a Jougoslavia si tratta di un banalissimo refuso, che nemmeno correggo.
Caro anonimo, se è cosí sicuro di avermi preso in castagna, perché non si è firmato? Non ha mai sentito parlare del cosí detto plurale di modestia in cui l'accordo si può fare, oltre che con il soggetto grammaticale, anche con quello logico?
Per dar prova di modestia si documenti sui contesti d'uso del plurale maiestatis.
Anche la scooter è un banalissimo refuso.
Il mio anonimato non è più anonimo dei nomi assegnati ai suoi ammiratori.
Sono in attesa di una risposta inerente a essuto.
Carissimo Anonimo,
non amo fare polemiche sterili. Quanto a "la" scooter non è un banale refuso: lo avevo segnalato al giornale interessato che, però, non ha ritenuto opportuno apportare la correzione...
Spero di essere essuto chiaro.
Lei classifica come polemiche sterili le mie perplessità di carattere linguistico e pretende di farmi credere al suo plurale di modestia.
La saluto, carissimo, esimio, pregiatissimo, colendissimo dott. prof. Raso.
Carissimo anonimo,
non sono né esimio né pregiatissimo né colendissimo né professore. Ho avuto l'impressione (e questo suo ultimo intervento trasforma l'impressione in certezza) che non avesse perplessità di carattere linguistico dal "tono" del suo primo intervento («Il dilemma sta in accusandoci (accusando noi, plurale) di essere un codino (singolare), il nostro (di noi, plurale) mestiere di censore (singolare)»).
La saluto cordialmente
FR
PS:. Mi è venuto un sospetto. Che sia lei l'anonimo definitosi editorialista di un grande quotidiano?
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