A proposito
del verbo "dare", la cui prima persona singolare del presente
indicativo si può anche accentare (io do o io dò, dunque), del quale ci
occupammo - su questo portale - il 13 marzo scorso, "contestando" la
risposta degli esperti della Treccani al quesito posto da un lettore, ci corre
l'obbligo, per onestà, di pubblicare la replica del "responsabile
linguistico" del sito Treccani.
Ci
permettiamo di dissentire non tanto dalle singole osservazioni critiche
avanzate dal nostro attento lettore, ché sarebbe troppo facile enumerare i
dizionari e le grammatiche di un certo affidamento che non considerano do e
dai, voci del verbo dare, bisognevoli di accento grafico, ma dall'atteggiamento
di fondo che caratterizza le considerazioni del nostro lettore: l'atteggiamento
di chi, in questo caso, sembra interpretare la discussione sulle questioni di
norma come una dialettica in cui siano in gioco più l’autorità che il merito
della questione.
Ora, siamo
noi i primi a sostenere che ciascuno deve essere vigile nelle scelte, libero e
perciò responsabile, capace di critica e autocritica. Molte volte le
segnalazioni e le critiche dei nostri lettori sono state utili, anche per
intervenire limando, correggendo, aggiornando quanto, in questa o in altre
sedi, avevamo sostenuto. Quando, però, scriviamo che “do” non si accenta, non
stiamo emettendo sentenze inappellabili, né siamo dominati dalla iattanza di
chi assume toni apodittici, ma, semplicemente, riassumiamo in una sintetica
indicazione pragmatica una tendenza prevalente nella letteratura in argomento e
– cosa sempre importante – prevalente nell’uso. Il DOP, per noi, è un
eccellente e autorevolissimo testo di riferimento, al quale ci atteniamo 9
volte e mezzo su 10, ma non è la bibbia (come non è la bibbia alcun testo
prodotto dalla Treccani, nonostante il valore dei suoi contributori
intellettuali). Tra l'altro il DOP, nel caso in questione, perlomeno segnala dò
come variante “meno comune”. Nella grammatica di Luca Serianni Italiano (con la
collaborazione di A. Castelvecchi), che certamente è tenuta per molto
autorevole, v'è scritto (cap. I, par. 177b): «Superfluo invece l'accento [...]
su dò verbo (per distinguerlo dalla nota musicale; confusione molto improbabile».
Questa indicazione ci ha sempre convinto. Sappiamo bene che dò viene da
qualcuno usato anche con l'accento. Ciò non desta in noi senso di scandalo;
caso mai, in molti, oltre a noi, solleva legittimi dubbi: la nostra lingua è
piena di usi oscillanti in una materia, come quella della grafia, che, da Bembo
in poi - e nonostante la sua iniziale e importante opera normatrice e il
successivo secolare lavorìo di tipografi e grammatici - è rimasta oscillante
fino a ieri e ancora oggi, talvolta, oscilla: vogliamo ingaggiare un'altra
battaglia su se stesso o sé stesso? Conviene
attenersi a una norma faticosamente messa in piedi nel tempo, essendo,
tra l'altro, la grafia oggetto di grande attenzione sociale e i comportamenti devianti
fortemente censurati.
Tra l'altro,
dire che si scrive in un certo modo e che questa o quella parola «non ha
bisogno di accento grafico» non significa imporre niente a nessuno. Nemmeno a
chi ha in pregio il parere di un unico pur valido dizionario come il Sandron,
al punto di erigerlo al rango di testimonio decisivo, capace da solo di
sbaragliare una serie di certificate posizioni di altro tenore. Curiosamente,
sembra che si sia poi d'accordo su un fatto, ben espresso dal nostro lettore,
al termine della sua missiva elettronica: nessuno, entro certi limiti, commette
un "reato linguistico". Ci trovassimo a scuola, i casi di do e dai
sarebbero occasione non per matitate rosse o blu, ma per un ragionamento di più
ampio respiro con gli alunni sulle caratteristiche diacroniche, sincroniche e
sociolinguistiche della (orto)grafia nella nostra lingua. Ci prenderemmo poi la
responsabilità, però, di consigliare a ragazzi e ragazze di continuare a
scrivere do e dai senza l’accento grafico, proprio perché oggi ci interessa
promuovere gli usi più stabili e porre al riparo gli scriventi da ogni dubbio
di comportamento inadeguato. Nel giorno in cui l'ascoliano moto operoso delle
menti collettivo portasse a una diversa indicazione normativa in merito a
questi due tratti (do e dai vanno accentati per iscritto!), ne prenderemmo
atto.
Ultima
notazione: è sempre bene distinguere e vedere caso per caso. Dài con l'accento
non dà (questo sì, con l’accento…) per niente fastidio: libera scelta (come per
tutti gli accenti all'interno di parola): semplicemente ricordiamoci che non ce
n'è bisogno a fini distintivi (dai preposizione articolata o, tanto meno,
imperativo anziché indicativo). Per l'accento sui monosillabi, ci atteniamo
alla grammatica di Serianni (cap. I, par. 177), perciò riteniamo do la forma
valida: indulgere all’accentazione potrebbe indurre a catena altre accentazioni
improprie, fondate su sofisticherie arcidotte (sù avverbio accentato per
distinguerlo da su preposizione, per esempio), di cui, francamente, per quanto
già argomentato, non si sente proprio il bisogno.
Silverio Novelli
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Prendiamo
atto della circostanziata replica ma ci permettiamo di far notare al dr Novelli
che si dissente "da" qualcuno "su" (o "in") qualcosa. Egli scrive: « Ci
permettiamo di dissentire non tanto dalle singole osservazioni critiche
avanzate dal nostro attento lettore...». Secondo la "legge
grammaticale" avrebbe dovuto scrivere: «... di dissentire non tanto
"sulle" singole osservazioni...». Lo stesso vocabolario Treccani si
attiene, negli esempi, alla suddetta "legge grammaticale": dissentire
v. intr. [dal lat. dissentire, comp. di dis-1 e sentire «essere d’opinione»]
(io dissènto, ecc.; aus. avere). – Sentire, pensare in maniera differente da
altri: dissentiva da noi in molti punti; in questo dissento completamente da
te; d. nel giudizio, d. su una decisione, ecc. ◆ Part.
pres. dissenziènte, anche come agg. e sost. (v. la voce).
2 commenti:
Che dire?
Scrivono: "Quando ... scriviamo che “do” non si accenta, non stiamo emettendo sentenze inappellabili, né siamo dominati dalla iattanza di chi assume toni apodittici", ma proprio loro scrissero senz'appello: "Non si accenta do, la prima persona dell'indicativo presente del verbo dare".
Scrivono di: "dizionari e ... grammatiche di un certo affidamento che *non* considerano do e dai ... bisognevoli di accento grafico", ma proprio nel loro dizionario c'è scritto "pres. do 〈dò〉 o dò [radd. sint.]"; almeno il DOP, "dò", lo mette tra parentesi, come si addice a una forma secondaria.
Ha ragione, cortese anonimo, questo "particolare" mi era sfuggito. Grazie
Vocabolario on line
dare2 v. tr. [lat. dare] (pres. do ⟨dò⟩ o dò [radd. sint.], dai o dài, dà, diamo, date, danno o dànno; imperf. davo, davi, ecc.; pass. rem. dièdi o dètti, désti,diède [poet. diè] o dètte, démmo, déste, dièdero [poet. dièro] o dèttero; fut. darò, darai, ecc.; condiz. darèi, darésti, ecc.; cong. pres. dia, ... diamo, diate,dìano; cong. imperf. déssi, déssi, désse, déssimo, déste, déssero; imperat. dai o da’ [senza radd. sint.] o dà [con radd. sint.], ecc.). –
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