Le noterelle di oggi vertono su un argomento non sempre riportato nei “sacri testi” grammaticali: l’antonomasia (semplice e ‘vossanica’).
L’antonomasia, dunque, è una figura retorica che, letteralmente, significa chiamo con un altro nome, deriva dal greco ‘anti’ (invece) e ‘onoma’ (nome) e conosciuta in latino come pronominatio (e vedremo il perché).
È, insomma, una particolare figura retorica che consiste nel sostituire il nome proprio di una persona o di una cosa con un soprannome (‘pronominatio’) derivato da una sua caratteristica (fisica o spirituale) o da qualcosa che l’abbia resa celebre o ancora, caso molto frequente, da un fatto o da un aneddoto che le si riferisce. È, dunque, un traslato che consiste nell’adoperare un nome comune determinato dall’articolo, invece del nome proprio, o viceversa.
L’antonomasia, quindi, può essere costituita da un aggettivo, da un sostantivo, da un avverbio. In particolare si ha l’antonomasia allorché si indica un personaggio celebre non con il suo nome proprio, ma con l’appellativo piú noto: il Divino (si intende Dante).
Vediamo alcuni esempi di antonomasia per assimilare meglio il concetto: il poverello d’Assisi (S. Francesco); l’eroe dei due Mondi (Giuseppe Garibaldi); il Redentore (Gesú Cristo); il flagello di Dio (Attila). Molto spesso il nome, l’aggettivo, l’avverbio, il verbo viene unito ad altre parti del discorso, in una locuzione piú o meno complessa, formando insieme l’antonomasia, come nell’esempio il flagello di Dio.
Ma vediamo altri esempi di antonomasia che si ha quando si indicano con il nome proprio di una persona o di un luogo famoso persone e cose che hanno le stesse qualità: essere un Adone (essere un uomo di particolare bellezza); fare il don Giovanni, fare, cioè, il seduttore, il conquistatore di cuori; fare una Babilonia, ovverosia una grande confusione.
E siamo giunti, cosí, al “perno” delle nostre noterelle: l’antonomasia vossanica. Non vorremmo peccare di presunzione nell’affermare che molta gente di cultura non ha mai sentito parlare di questo tipo di antonomasia, anche se l’adopera inconsciamente. Diciamo subito che non ha nulla che vedere con il… vassoio; non è, cioè, una ‘portata linguistica’ che si serve su un vassoio, come si potrebbe pensare dal… suono. È un’altra figura retorica chiamata vossanica, appunto, dal nome del linguista J. Voss, che l’avrebbe introdotta verso il 1600.
Questa particolare antonomasia non sostituisce un nome proprio con un aggettivo o nome comune o altro che si riferisce a una determinata qualità del soggetto (come nell’antonomasia ‘normale’), si serve, invece, del processo inverso, utilizzando il nome di qualche personaggio famoso (o evento famoso) – caratterizzato proprio da quella particolarità che si vuole mettere in evidenza – come nome comune: la legge è il suo Vangelo; la sua è stata una vittoria di Pirro; chi è il tuo Romeo?; quel luogo è proprio una Babele.
Come si evince facilmente dagli esempi, nell’antonomasia vossanica sono stati adoperati nomi propri come nomi comuni. Dobbiamo dire, però, per amore della ‘verità linguistica’, che nell’uso corrente non c’è alcuna distinzione tra le due antonomasie, tanto è vero che abbiamo fatto alcuni esempi – all’inizio di queste noterelle – di antonomasia normale che, a rigore, sarebbero stati piú appropriati tra quelli di antonomasia vossanica.
Per concludere, possiamo dire che tutti i casi di antonomasia vossanica sono, comunque, delle metafore che prendiamo come termine di confronto fra le persone o le cose cui ci riferiamo e quelle reali o immaginarie.
Direbbe Ortega y Gasset: «La metafora è probabilmente la forza piú feconda che l’uomo possieda».
Come non dargli ragione? A pensarci bene.
Nessun commento:
Posta un commento