lunedì 10 luglio 2017

Sgroi - Titolista: un mestiere rischioso


di Salvatore Claudio Sgroi *

 Il titolista, come precisa il dizionario di T. De Mauro, in quanto «TS giorn.», ovvero termine settoriale del giornalismo, indica il «redattore addetto alla formulazione dei titoli di un giornale». Dare un titolo è un'operazione assai delicata, perché, come chiarì il grande psicolinguista russo Lev Semenovic Vygotskij nel 1934 in Pensiero e linguaggio, «Il titolo esprime tutto il senso dell'opera e ne è il coronamento», ossia «in una sola parola è contenuto realmente il contenuto di senso di tutta l'opera» (trad. it. Laterza 1990, p. 383).

La titolazione degli articoli dei giornali si rivela quindi una operazione assai delicata tanto più in quanto la scelta dei titoli, di norma «attiene proprio alla valutazione del redattore» e non dell'autore. Sicché da un lato l'autore è come dire deresponsabilizzato dalla correttezza di un titolo, dall'altro però rischia di essere 'vittima' del titolista, quando il titolo non rispecchia il suo pensiero, o addirittura ribalta il senso (il 'messaggio') dell'articolo.

La scelta di un titolo -- una breve frase verbale o nominale, in terza o seconda (più diretta) persona, in forma assertiva o interrogativa  -- focalizza necessariamente un aspetto di un testo, quello che all'autore sembra più pertinente. E crea delle attese nel lettore, che devono essere però confermate dalla lettura integrale del testo. Diversamente, si crea una stortura tra messaggio veicolato dal titolo e messaggio trasmesso dall'articolo.

Facciamo alcuni esempi concreti di titoli proposti dall'autore, variamente "manipolati" dal redattore, naturalmente in buona fede, ma con conseguenze diverse sul piano del significato.

Esempio n. 1. L'originale titolo nominale «Il Pontefice tra "disperazione" e "disisperanza"» (48 caratteri) è scorciato in «Il Papa tra “disperazione” e “disisperanza”» (43 lettere). Qui la sostituzione lessicale del redattore ha invero il vantaggio di un termine più comune ("Papa") rispetto a quello un pò più formale ("Pontefice").

Esempio n. 2. La frase verbale con invocazione diretta «Italiani, vi esorto alla “allocuzione inversa», (es. Stefania, mi raccomando, papà) – chiaramente ammiccante al Foscolo (“Italiani, vi esorto alla Storia”) –, viene banalizzata nella frase nominale «Esortazione all’allocuzione inversa». Frase forse troppo lunga (45 caratteri) la prima rispetto alla seconda (35 caratteri). Ma risolvibile in una variante più breve, scartata dal redattore, senza sacrificare l'efficacia comunicativa, quale: “Italiani, vi esorto al vocativo inverso” (39 caratteri).

Esempio n. 3. L'originale titolo «Perché mai un "giudizio impressivo"?» (36 lettere) è redazionalmente stravolto in «Perché non fidarsi di un giudizio “impressivo”» (46 lettere).

Tecnicamente l'originario titolo metalinguistico, che riguarda cioè l’espressione «giudizio impressivo» e la sua correttezza semantico-lessicale-etimologica, è diventato un "bel" titolo referenziale, riguardante cioè "il contenuto" del giudizio (impressivo). Il titolo redazionale è così diventato estremamente ambiguo, perché fa pensare che l'autore dell'articolo sia contro l’espressione «Giudizio impressivo» anglicizzante analizzata nel testo. Che è esattamente l’opposto di quanto sostenuto e dimostrato nell'articolo. Il titolo redazionale, come confermato anche dalla reazione di un lettore, «non solo ribalta il [...] punto di vista [dell'autore] ma confonde il lettore, infatti [...] è sembrato di capire che [l'autore] afferma il contrario: cioè che l’influenza della parola inglese sulla storica [della lingua] non ha comunque alterato il significato della sua affermazione. In conclusione ci si può fidare!».

Morale della favola, per uscire dall'impasse autore-redattore, non resta che la "negoziazione" tra i due. «Il linguaggio esiste solo nel dialogo», ricordava H.G. Gadamer (1995). Solo dialogando e negoziando si possono ridurre le distanze tra due interlocutori. Se poi il redattore non può o non vuole «per ragioni di tempo» o per altri motivi, dialogare, allora l'etica della comunicazione gli impone di rispettare il punto di vista dell'autore e di non modificare i titoli da lui indicati per i propri articoli.



* Docente di linguistica generale presso l'Università di Catania

Autore tra l'altro di

--Per una grammatica ‘laica’. Esercizi di analisi linguistica: dalla parte del parlante (Utet 2010);
-- Scrivere per gli italiani nell'Italia post-unitaria (Cesati 2013);
--Dove va il congiuntivo?  (Utet 2013);
-- Il linguaggio di Papa Francesco. Analisi, creatività e norme grammaticali (Libreria Editrice Vaticana 2016)


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