di
Salvatore Claudio Sgroi *
Il titolista,
come precisa il dizionario di T. De Mauro, in quanto «TS giorn.», ovvero
termine settoriale del giornalismo, indica il «redattore addetto alla
formulazione dei titoli di un giornale». Dare un titolo è un'operazione assai
delicata, perché, come chiarì il grande psicolinguista russo Lev Semenovic Vygotskij nel 1934 in Pensiero e linguaggio, «Il titolo
esprime tutto il senso dell'opera e ne è il coronamento», ossia «in una sola
parola è contenuto realmente il contenuto di senso di tutta l'opera» (trad. it.
Laterza 1990, p. 383).
La titolazione degli articoli dei
giornali si rivela quindi una operazione assai delicata tanto più in quanto la scelta
dei titoli, di norma «attiene proprio alla valutazione del redattore» e non
dell'autore. Sicché da un lato l'autore è come dire deresponsabilizzato dalla
correttezza di un titolo, dall'altro però rischia di essere 'vittima' del
titolista, quando il titolo non rispecchia il suo pensiero, o addirittura
ribalta il senso (il 'messaggio') dell'articolo.
La scelta di un titolo -- una breve
frase verbale o nominale, in terza o seconda (più diretta) persona, in forma
assertiva o interrogativa -- focalizza necessariamente
un aspetto di un testo, quello che all'autore sembra più pertinente. E crea
delle attese nel lettore, che devono essere però confermate dalla lettura
integrale del testo. Diversamente, si crea una stortura tra messaggio veicolato
dal titolo e messaggio trasmesso dall'articolo.
Facciamo alcuni esempi concreti di
titoli proposti dall'autore, variamente "manipolati" dal redattore,
naturalmente in buona fede, ma con conseguenze diverse sul piano del
significato.
Esempio n. 1. L'originale titolo nominale
«Il Pontefice
tra "disperazione" e "disisperanza"» (48 caratteri) è
scorciato in «Il Papa tra
“disperazione” e “disisperanza”» (43 lettere). Qui la sostituzione
lessicale del redattore ha invero il vantaggio di un termine più comune
("Papa") rispetto a quello un pò più formale ("Pontefice").
Esempio n. 2. La frase verbale con invocazione
diretta «Italiani, vi esorto alla “allocuzione inversa», (es. Stefania, mi raccomando, papà) –
chiaramente ammiccante al Foscolo (“Italiani,
vi esorto alla Storia”) –, viene banalizzata nella frase nominale «Esortazione
all’allocuzione inversa». Frase forse troppo lunga (45 caratteri) la
prima rispetto alla seconda (35 caratteri). Ma risolvibile in una variante più
breve, scartata dal redattore, senza sacrificare l'efficacia comunicativa,
quale: “Italiani, vi esorto al vocativo
inverso” (39 caratteri).
Esempio n. 3. L'originale titolo «Perché
mai un "giudizio impressivo"?» (36 lettere) è redazionalmente
stravolto in «Perché non fidarsi di un giudizio “impressivo”» (46 lettere).
Tecnicamente l'originario titolo
metalinguistico, che riguarda cioè l’espressione «giudizio impressivo» e la sua correttezza semantico-lessicale-etimologica,
è diventato un "bel" titolo referenziale, riguardante cioè "il
contenuto" del giudizio (impressivo). Il titolo redazionale è così diventato
estremamente ambiguo, perché fa pensare che l'autore dell'articolo sia contro
l’espressione «Giudizio impressivo» anglicizzante
analizzata nel testo. Che è esattamente l’opposto di quanto sostenuto e dimostrato
nell'articolo. Il titolo redazionale, come confermato anche dalla reazione di
un lettore, «non solo ribalta il [...] punto di vista [dell'autore] ma confonde
il lettore, infatti [...] è sembrato di capire che [l'autore] afferma il
contrario: cioè che l’influenza della parola inglese sulla storica [della
lingua] non ha comunque alterato il significato della sua affermazione. In
conclusione ci si può fidare!».
Morale della favola, per uscire
dall'impasse autore-redattore, non resta che la "negoziazione" tra i
due. «Il linguaggio esiste solo nel dialogo», ricordava H.G. Gadamer (1995). Solo dialogando e
negoziando si possono ridurre le distanze tra due interlocutori. Se poi il
redattore non può o non vuole «per ragioni di tempo» o per altri motivi, dialogare,
allora l'etica della comunicazione gli impone di rispettare il punto di vista
dell'autore e di non modificare i titoli da lui indicati per i propri articoli.
* Docente di linguistica generale presso l'Università di Catania
Autore tra l'altro di
--Per una grammatica ‘laica’. Esercizi di analisi linguistica: dalla parte del parlante (Utet 2010);
-- Scrivere per gli italiani nell'Italia post-unitaria (Cesati 2013);
--Dove va il congiuntivo? (Utet 2013);
-- Il linguaggio di Papa Francesco. Analisi, creatività e norme grammaticali (Libreria Editrice Vaticana 2016)
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