C'era una volta, ai confini del mondo, nel cuore del regno di Linguarzia, un pittoresco paese, Verbolandia, dove vivevano due cugini: Vivere, il sognatore dal cuore poetico, e Campare, il realista dal piglio pratico. Nonostante le loro differenze, erano amati dagli abitanti, perché ciascuno aveva donato loro una lezione unica su cosa significhi affrontare la vita.
Vivere,
figlio del latino ‘vivere, portava con sé un'aura di magia e una
visione profonda dell'esistenza. "La vita," diceva Vivere
ai ragazzi del villaggio, "è come una melodia: ogni nota ha il
suo significato e ogni pausa ci invita a riflettere." Una
mattina si fermò davanti a una coppia di contadini che festeggiavano
il raccolto. "Non celebrate solo il frutto della terra,"
disse loro Vivere, "ma il fatto che avete lavorato insieme,
superando ostacoli di ogni genere, godendo del risultato. Questo è
vivere!"
Infine Vivere li invitò a condividere un
ballo sotto le stelle, accompagnati dalla melodia di un vecchio
violino. Da quel giorno, ogni raccolto divenne una festa,
un'occasione per vivere appieno.
Un altro giorno Vivere si
imbatté in un giovane poeta che era sul punto di abbandonare la sua
arte. "Amico, non scrivi solo per sopravvivere," gli disse
Vivere, "scrivi per vivere, per trasformare i tuoi pensieri in
qualcosa che resterà in eterno. Scrivi di quelle rose che crescono,
selvagge, lungo il fiume e racconta al mondo come ti fanno sentire
vivo!" Il giovane, ispirato, compose un'opera che rese
Verbolandia famoso in tutta Linguarzia.
Dall'altro angolo
del paese, Campare, figlio di ‘campus’, insegnava una lezione
diversa, più pragmatica. "A volte la vita non ti permette di
sognare troppo," soleva dire, "però ti offre abbastanza
per andare avanti. Questo è campare: adattarsi, sopravvivere, e
trovare forza anche nelle difficoltà."
Un pomeriggio
Campare fece visita a un anziano falegname, che si lamentava della
scarsità di lavoro. "Non disperarti amico," gli disse
Campare, "hai ancora le mani e il talento per creare. Costruisci
tutto quello di cui hanno bisogno gli altri, e con questo potrai
campare." Il falegname seguì il consiglio, si mise subito al
lavoro e cominciò a creare utensili semplici ma indispensabili,
guadagnandosi la gratitudine e il rispetto di tutto il villaggio.
Un
altro giorno, durante una tempesta, Campare trovò una giovane madre
che cercava riparo per i suoi figli sotto un vecchio ponte. "Non
sarà un palazzo," le disse Campare, "ma per questa notte
potrà bastare. Campare significa usare ciò che hai e trasformarlo
in una possibilità." La giovane madre, grata, prese coraggio e,
nonostante le molte difficoltà, costruì una nuova casa con i
materiali recuperati.
Gli abitanti di
Verbolandia, col tempo, impararono che Vivere e Campare, pur essendo
cugini e talvolta confusi tra loro nel linguaggio quotidiano, hanno
anime diverse e ruoli ben distinti. Capirono che non si potevano
usare indifferentemente, ma che ciascuno di loro trovava la sua
giusta collocazione a seconda del contesto.
Quando
volevano esprimere il senso di una vita ricca di significato, di
emozioni e di esperienze, si rivolgevano a Vivere. Quando, invece,
descrivevano momenti di resilienza e di adattamento, o quando si
trattava di affrontare le difficoltà con ciò che si aveva, Campare
era il termine adatto.
E così, Vivere e Campare
continuarono a coesistere, ciascuno con il proprio ruolo, arricchendo
la lingua e la vita degli abitanti di Verbolandia, ricordando loro
che ogni parola porta con sé un mondo di sfumature preziose.
(Le immagini sono riprese dalla Rete, di dominio pubblico, quindi. Se víolano i diritti d'autore scrivetemi; saranno prontamente rimosse: fauras@iol.it)
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