Viveva una volta, nella vasta Valle del Linguaggio, una coppia di
verbi che abitava lì dai tempi dei tempi: Cadere e Cascare. Sebbene
sembrassero simili, ciascuno portava con sé una storia personale,
radici profonde e sfumature diverse.
Il primo verbo,
Cadere nacque nobile e austero. Le sue radici affondavano nel latino
classico, nel verbo ‘cadere’, che significa "precipitare,
scendere improvvisamente". Era adoperato dai poeti e
dagli oratori per descrivere momenti gravi e solenni: la fine degli
imperi, la sconfitta in battaglia, il crollo delle speranze. Cadere
si muoveva con passo elegante tra i discorsi importanti e i pensieri
profondi, portando con sé un’aura di universalità e
gravità.
Dall’altra parte, Cascare aveva avuto
un’origine più popolare e mondana. Non proveniva dalla lingua
colta, ma dal latino parlato, forse da ‘casicare’, che designava
il cadere in modo più familiare, colloquiale e, molto spesso, buffo.
Era un verbo cresciuto tra le risate delle piazze, tra le persone
comuni che narravano piccole disavventure quotidiane, trovando
conforto nel raccontarle con leggerezza.
Un giorno
d’autunno, nella Valle del Linguaggio, un giovane viandante
camminava assorto nei suoi pensieri. Essendo un po’ distratto non
si accorse di una radice che spuntava dal terreno: inciampò finendo
rovinosamente al suolo. Tutti i presenti trattennero il fiato e
qualcuno esclamò: “Cadde, poveretto,” come se quell’azione
avesse qualcosa di importante e inevitabile.
Pochi giorni dopo,
lo stesso giovanotto, passando di lì, inciampò di nuovo. Questa
volta, però, un fanciullo che lo osservava rise e commentò: “Ah,
sei cascato ancora!” E con quella frase, trasformò l’evento in
una scena comica. Il giovane, seduto a terra, sporco di fango, non
poté fare a meno di ridere con lui.
Così, i valligiani
cominciarono a distinguere tra cadere e cascare. Capirono che cadere
era il verbo ideale per i momenti solenni, quelli che portavano una
lezione o un significato profondo: “È caduto in disgrazia,”
oppure, “Il vaso cadde e si ruppe in mille pezzi.” Cascare, al
contrario, era perfetto per le situazioni leggere o ironiche, quelle
in cui l’accento era posto più sulla goffaggine che sulla gravità
dell’evento: “Sono cascato dalle scale con tutte le borse della
spesa,” o “quando l’ho visto, sono cascato dalle
nuvole!”
Cadere e Cascare non erano nemici, ma alleati.
Ciascuno trovava il suo posto a seconda dello spirito della
narrazione. E così, nella Valle del Linguaggio, si imparò che
scegliere il verbo giusto significa donare al racconto la sfumatura
perfetta.
(Le immagini sono riprese dalla Rete, di dominio pubblico, quindi. Se víolano i diritti d'autore scrivetemi; saranno prontamente rimosse: fauras@iol.it)
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