sabato 25 gennaio 2020

Sgroi - 36 - Gli Errori ovvero le "regole nascoste"


di Salvatore Claudio Sgroi *

         0. Cos'è l'errore
         Come ci è capitato più volte di sostenere, l'Errore è in primo luogo a) un uso linguistico, variamente diffuso generato da una Regola del parlante spesso inconscia, non sempre invero di facile identificazione da parte dello stesso linguista. L'Errore è nel contempo b) un uso, giudicato negativamente, in base a criteri, condivisibili o meno, che vanno però esplicitati e che non possono essere confusi con l'identificazione della Regola che ha generato tale uso.
        L'Errore in quest'ottica non è quindi un uso "sgrammaticato" ma un uso, giudicato negativamente sotto il profilo della "norma corretta", con una sua grammatica, da scovare.
         Ci proponiamo qui alla luce di tale definizione di analizzare come esercizio tre diversi tipi di "errori" al fine di evidenziarne la Regola inconscia che li ha prodotti e i criteri di valutazione alla base del giudizio di sanzione.
                   
            1. Esempio n. 1: Errore di concordanza
           In un bell'articolo giornalistico di uno storico della lingua dedicato all'ortografia, ci è capitato di leggere la seguente frase:
           "Diversamente interpunte, le due frase esprimono concetti diametralmente opposti, sono una il contrario dell’altra", -- con un evidente errore di concordanza (correttamente: "le due frasi").
            I giudizi di valore al riguardo possono essere diversi. Si tratta:
            a) di un "refuso" del tipografo,
            b) di un refuso nel file dello scrivente (più probabile, invero, del refuso del tipografo, vista la prassi della digitalizzazione dei propri articoli da parte di un autore),
            c) di ignoranza crassa dello scrivente (SE STUDENTE),
            d) di una "svista-lapsus" dello scrivente (SE PROF) (due pesi, in questo caso, e due misure).

 1.1. Normativamente: Errore popolare(ggiante)
           Si tratta certamente sotto il profilo normativo di un "errore" morfologico ("blu"), anche se non compromette la comprensione del testo, perché è tipico delle scritture popolari, dei semi-colti, che si configura come "popolareggiante" se presente occasionalmente, in scritti di utenti colti.

 1.2. Regola-1 (strutturale) e Regola-2 (dell'adiacenza)
           Tradizionalmente si direbbe che l'errore è dovuto all'ignoranza della Regola canonica [R-1] dell'accordo strutturale (il plurale dei nomi terminanti in -e è infatti in {-i}).
           Da un altro punto di vista, però, c'è da chiedersi quale sia la Regola-2 [R-2] che ha generato l'errore in questione con l'apparente invariabilità al plurale del termine frase. Il contesto mostra che si tratta di una regola definibile "sintagmatica" o "dell'adiacenza": le due -e precedenti in L-e du-e fras-e hanno determinato automaticamente, per attrazione, la scelta di -e anche in fras-e.

 2. Esempio n. 2: vs se stesso
           Secondo una regola scolastica tradizionale, il pronome (tonico) <sé> va accentato (con segnaccento acuto) per distinguerlo dalla congiunzione (atona) <se>, come altri omografi monosillabi (per es. l'avv. là vs l'art. la, ecc.), mentre nel sintagma <se stesso> (<se medesimo>); il segnaccento sul pronome non è più necessario, non essendo più confondibile con la congiunzione, senza dire che il pronome <se>; è diventato atono come proclitico: fonologicamente [ses'stesso].
          La [Regola-1a] alla base di tale grafia è una regola grafo-morfemica o grafo-semantica, che oppone cioè il pron. (<sé>) alla cong. (<se>).
           Va anche rilevato che il segnaccento su <> tonico ma non su <se stesso> [ses'tesso] atono è coerente con la regola ortografica generale dell'italiano che prevede obbligatoriamente il segnaccento sulle parole tronche (o ossitone), per es. bont-à, perch-é/ahim-è, fin-ì, per-ò, laggi-ù.
           Normativamente, si tratta poi di un uso corretto perché adoperato nelle scritture colte.
           (Inaccettabile quindi il giudizio del Garzanti-Patota 2013 per il quale <se stesso> "può anche, se pur meno correttamente, essere scritto senza l'accento").

 2.1. Sé(stesso)
           Luca Serianni nella sua istituzionale grammatica dell'italiano (1988, 19972) ha -- logicisticamente -- ritenuto la tradizionale [Regola-1a] ( vs se stesso) "senza reale utilità", una "inutile eccezione", e successivamente (2006) "una regoletta inutile e fastidiosa", da sostituire con l'unica forma con segnaccento: sé (stesso) [Regola-2].
          La [Regola-2] <sé(stesso)>è quindi una regola logicistica, suggerita da un'esigenza di "economia grafica".
          Sotto il profilo normativo, tale uso è corretto perché adottato in sedi colte, in alternativa all'uso della regola [Regola-1a].


        2.2. < vs se stesso> [ses'tesso]; <di se stesso> ['dise s'tesso]
        Per conto nostro invece, va ancora sottolineato che dal punto di vista fonologico, in particolare della fonologia metrica, il segnaccento in <sé stesso> [della Regola-2] ha il grave inconveniente di suggerire una duplice accentazione nel sintagma in questione ['ses 'tesso], con due accenti tonici contigui, che creano uno "scontro accentuale", da cui l'italiano con tante altre lingue rifugge (cfr. M. Nespor 2003 Fonologia, il Mulino pp. 242-57; M. Nespor - L. Bafile 2008, I suoni del linguaggio, il Mulino, pp. 194-97).
          Lo scontro accentuale è superato deaccentando "sé" nel sintagma trisillabico "se stesso" [ses'tesso]. E nel caso dei sintagmi preposizionali quadrisillabici "di/a/da/in/con/su/per/tra/fra se stesso" spostando l'accento nella sillaba precedente ['di ses'tesso] ecc. e creando così una valle accentuale.
          Sicché la grafia tradizionale <se stesso>, a parte la tradizionale opposizione grafo-morfologica [Regola-1a], sotto il profilo fonologico ha dalla sua una duplice motivazione fono-grafica e fono-ritmica.
           È infatti al tempo stesso anche una [Regola-1b] grafo-fonetica perché oppone il pron. tonico al "se" pron. diventato atono in [ses'tesso] in quanto proclitico, senza segnaccento perché appunto atono. Ed è  inoltre una [Regola-1c] grafo-ritmica perché non suggerisce alcuno scontro accentuale.

 3. Esempio n. 3: Errore onomastico        
           Nell'intervento del 17 gennaio nella sua rubrica "Lezioni d'italiano" del magazine 7 del "Corriere della Sera" G. Antonelli cita “le 3000 parole nuove di OSVALDO Lurati”, ricordato nel volumetto sui Dizionari di V. Della Valle (che fa parte della bella serie di testi da lui ideata sul lessico italiano, settimanalmente pubblicati dal menzionato "Corriere").
           L'autore delle 3000 parole nuove è però in realtà Ottavio Lurati non già "Osvaldo".
           Una svista, un "lapsus" di Antonelli o di Della Valle? Un riscontro (un pò pignolo) consente di escludere la correità di Della Valle. 
           La [Regola-1] alla base dell'uso istituzionale (corretto) "Ottavio Lurati" è quella anagrafica-bibliografica. Ma quale sia la [Regola-2] inconscia che ha generato la forma onomastica errata "Osvaldo" è impossibile da dire, se non chiedendo allo stesso Antonelli, o a uno psicanalista che col metodo delle libere associazioni sappia rivelare il meccanismo che ha agito nel subconscio dell'A.
           Formalizzando, come divertissement, si potrebbe scrivere: Ottavio: "Regola-1 ana-biblio-grafica" VS Osvaldo: quale "Regola-2 inconscia"? Sotto il profilo normativo l’errore del prenome può essere “grave” in quanto percepito dall’interessato come (parziale) negazione della sua identità.
           Concludendo, i tre ess. abbastanza diversi tra di loro condividono la proprietà comune di essere degli errori, riconducibili al meccanismo di una Regola soggiacente, da scovare ed esplicitare, con esiti diversi.


* Docente di linguistica generale presso l'Università di Catania

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