0. Cos'è
l'errore
Come ci è capitato più volte di
sostenere, l'Errore è in primo luogo a)
un uso linguistico, variamente diffuso generato da una Regola del parlante
spesso inconscia, non sempre invero di facile identificazione da parte dello
stesso linguista. L'Errore è nel contempo b)
un uso, giudicato negativamente, in base a criteri, condivisibili o meno, che
vanno però esplicitati e che non possono essere confusi con l'identificazione
della Regola che ha generato tale uso. L'Errore in quest'ottica non è quindi un uso "sgrammaticato" ma un uso, giudicato negativamente sotto il profilo della "norma corretta", con una sua grammatica, da scovare.
Ci proponiamo qui alla luce di tale definizione di analizzare come esercizio tre diversi tipi di "errori" al fine di evidenziarne la Regola inconscia che li ha prodotti e i criteri di valutazione alla base del giudizio di sanzione.
1. Esempio n. 1: Errore di concordanza
In un bell'articolo giornalistico di uno storico della lingua dedicato all'ortografia, ci è capitato di leggere la seguente frase:
"Diversamente interpunte, le due frase esprimono concetti diametralmente opposti, sono una il contrario dell’altra", -- con un evidente errore di concordanza (correttamente: "le due frasi").
I giudizi di valore al riguardo possono essere diversi. Si tratta:
a) di un "refuso" del tipografo,
b) di un refuso nel file dello scrivente (più probabile, invero, del refuso del tipografo, vista la prassi della digitalizzazione dei propri articoli da parte di un autore),
c) di ignoranza crassa dello scrivente (SE STUDENTE),
d) di una "svista-lapsus" dello scrivente (SE PROF) (due pesi, in questo caso, e due misure).
Da un altro punto di vista, però, c'è da chiedersi quale sia la Regola-2 [R-2] che ha generato l'errore in questione con l'apparente invariabilità al plurale del termine frase. Il contesto mostra che si tratta di una regola definibile "sintagmatica" o "dell'adiacenza": le due -e precedenti in L-e du-e fras-e hanno determinato automaticamente, per attrazione, la scelta di -e anche in fras-e.
La [Regola-1a] alla base di tale grafia è una regola grafo-morfemica o grafo-semantica, che oppone cioè il pron. (<sé>) alla cong. (<se>).
Va anche rilevato che il segnaccento su <sé> tonico ma non su <se stesso> [ses'tesso] atono è coerente con la regola ortografica generale dell'italiano che prevede obbligatoriamente il segnaccento sulle parole tronche (o ossitone), per es. bont-à, perch-é/ahim-è, fin-ì, per-ò, laggi-ù.
(Inaccettabile quindi il giudizio del Garzanti-Patota 2013 per il quale <se stesso> "può anche, se pur meno correttamente, essere scritto senza l'accento").
La [Regola-2] <sé(stesso)>è quindi una regola logicistica, suggerita da un'esigenza di "economia grafica".
Sotto il profilo normativo, tale uso è corretto perché adottato in sedi colte, in alternativa all'uso della regola [Regola-1a].
2.2. <Sé vs se stesso> [ses'tesso]; <di se stesso> ['dise s'tesso]
Per conto nostro invece, va ancora sottolineato che dal punto di vista fonologico, in particolare della fonologia metrica, il segnaccento in <sé stesso> [della Regola-2] ha il grave inconveniente di suggerire una duplice accentazione nel sintagma in questione ['ses 'tesso], con due accenti tonici contigui, che creano uno "scontro accentuale", da cui l'italiano con tante altre lingue rifugge (cfr. M. Nespor 2003 Fonologia, il Mulino pp. 242-57; M. Nespor - L. Bafile 2008, I suoni del linguaggio, il Mulino, pp. 194-97).
Sicché la grafia tradizionale <se stesso>, a parte la tradizionale opposizione grafo-morfologica [Regola-1a], sotto il profilo fonologico ha dalla sua una duplice motivazione fono-grafica e fono-ritmica.
È infatti al tempo stesso anche una [Regola-1b] grafo-fonetica perché oppone il sé pron. tonico al "se" pron. diventato atono in [ses'tesso] in quanto proclitico, senza segnaccento perché appunto atono. Ed è inoltre una [Regola-1c] grafo-ritmica perché non suggerisce alcuno scontro accentuale.
L'autore delle 3000 parole nuove è però in realtà Ottavio Lurati non già "Osvaldo".
Una svista, un "lapsus" di Antonelli o di Della Valle? Un riscontro (un pò pignolo) consente di escludere la correità di Della Valle.
La [Regola-1] alla base dell'uso istituzionale (corretto) "Ottavio Lurati" è quella anagrafica-bibliografica. Ma quale sia la [Regola-2] inconscia che ha generato la forma onomastica errata "Osvaldo" è impossibile da dire, se non chiedendo allo stesso Antonelli, o a uno psicanalista che col metodo delle libere associazioni sappia rivelare il meccanismo che ha agito nel subconscio dell'A.
Formalizzando, come divertissement, si potrebbe scrivere: Ottavio: "Regola-1 ana-biblio-grafica" VS Osvaldo: quale "Regola-2 inconscia"? Sotto il profilo normativo l’errore del prenome può essere “grave” in quanto percepito dall’interessato come (parziale) negazione della sua identità.
Concludendo, i tre ess. abbastanza diversi tra di loro condividono la proprietà comune di essere degli errori, riconducibili al meccanismo di una Regola soggiacente, da scovare ed esplicitare, con esiti diversi.
* Docente di linguistica generale presso l'Università di Catania
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