Tutti i
vocabolari consultati non contemplano il plurale di assolo (lo Zingarelli ammette le due opzioni: -lo e -li). Il DOP, oltre a
registrare il plurale, fa un distinguo che riteniamo interessante
e, quindi, da seguire.
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Ancora una
volta ci preme ricordare che il verbo “arricchire” si costruisce con le
preposizioni “di” o “con”. I “dicitori” dei notiziari radiotelevisivi assieme
ai colleghi della carta stampata, imperterriti, continuano a utilizzare la
preposizione “da”, che, ripetiamo, è scorretta inducendo, quindi, in errore gli
ascoltatori e i lettori sprovveduti in fatto di lingua.
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Forse non
tutti sanno (i sacri testi trattano l'argomento?) che molti avverbi diventano
preposizioni quando sono preposti al sostantivo. Vediamone qualcuno: dentro
(dentro la stanza), sopra, fuori, sotto, dopo, prima,
dietro, davanti, senza, eccetto, presso ecc.
È bene ricordare, inoltre, che una preposizione composta di piú parole si
chiama modo prepositivo o locuzione prepositiva: per mezzo di...,
insieme con, in luogo di ecc.
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Buonasera,
come si sa, è un sostantivo femminile ed è una formula di augurio e di saluto.
Diventa di genere maschile, però, se si sottintende il saluto: amici cari, vi
preghiamo di accogliere il nostro piú cordiale buonasera.
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Ciò che stiamo per scrivere
sarà censurato dai soliti gramuffastronzoli
perché siamo contraddetti dai vocabolari dell'uso (tutti?), ma abbiamo dalla
nostra parte il DOP.
Intendiamo parlare dell'avverbio e sostantivo maschile "affondo". I
vocabolari consultati non ammettono la grafia analitica "a fondo".
Questa scrizione, invece, è "piú corretta" quando il vocabolo in
questione è adoperato in funzione avverbiale: voglio studiare a fondo la
questione. Come sostantivo si pluralizza normalmente: gli affondi. Il vocabolario Gabrielli, stranamente, lo ritiene invariabile.
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Quanto stiamo per scrivere - siamo certi - non avrà l’
«approvazione» di qualche linguista che dovesse imbattersi, per caso, in questo
sito. Comunque...
Il sostantivo femminile “pena” che, a seconda del contesto, può significare “castigo”, “punizione”, “sanzione”, “tormento”, “compassione” ricorre in numerose locuzioni “francesizzanti” che in buona lingua andrebbero evitate, anche se “immortalate” negli scritti di autori classici. Vediamole. “Prendersi la pena di...” o “Darsi la pena di...”: Giovanni si dia la pena di rispondermi al piú presto. In buona lingua meglio: Giovanni si prenda la briga di (o locuzioni simili) rispondermi al piú presto; “Aver pena a...”: Luigi non avrà troppa pena a fare quel lavoro. Molto meglio: Luigi non avrà troppa difficoltà a fare quel lavoro; “Valer la pena di...”: Vale la pena di ignorare tutto ciò che dice. In lingua sorvegliata si dirà: Conviene, è meglio ignorare tutto ciò che dice; “A pena di...”: I trasgressori sono soggetti a pena di multa. Meglio: I trasgressori sono soggetti a una multa.
Il sostantivo femminile “pena” che, a seconda del contesto, può significare “castigo”, “punizione”, “sanzione”, “tormento”, “compassione” ricorre in numerose locuzioni “francesizzanti” che in buona lingua andrebbero evitate, anche se “immortalate” negli scritti di autori classici. Vediamole. “Prendersi la pena di...” o “Darsi la pena di...”: Giovanni si dia la pena di rispondermi al piú presto. In buona lingua meglio: Giovanni si prenda la briga di (o locuzioni simili) rispondermi al piú presto; “Aver pena a...”: Luigi non avrà troppa pena a fare quel lavoro. Molto meglio: Luigi non avrà troppa difficoltà a fare quel lavoro; “Valer la pena di...”: Vale la pena di ignorare tutto ciò che dice. In lingua sorvegliata si dirà: Conviene, è meglio ignorare tutto ciò che dice; “A pena di...”: I trasgressori sono soggetti a pena di multa. Meglio: I trasgressori sono soggetti a una multa.
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I sostantivi scrittoio e scrivania - anche se i vocabolari ci
smentiscono - non sono l’uno sinonimo dell’altro; non si “potrebbero”, quindi,
adoperare indifferentemente. Il primo termine indica lo studio, la stanza,
cioè, dove si scrive. Deriva, infatti, dal tardo latino “scriptorium”, di qui
l’italiano antico “scrittorio”. Lo “scriptorium”, dunque, era la sala del
convento dove i frati amanuensi copiavano i manoscritti. La scrivania, invece,
indica il tavolino, la tavola, il mobile per scrivere ed è un denominale
provenendo da “scrivano”, il “tavolino dello scrivano”. Dovremmo dire, per
tanto, volendo essere particolarmente pedanti, rispettando l'etimologia, “che
il dr Pasquali si è recato nello scrittoio per prendere gli occhiali
dimenticati sulla scrivania”.
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A costo di attirarci le ire di qualche “linguista d’assalto”
(e ce ne sono a iosa), vogliamo mettere in evidenza il fatto che - a nostro
modo di vedere - gli aggettivi “adeguato” ed “equo”, nonostante la stretta
parentela etimologica, non si possono considerare “perfettamente” sinonimi.
Adopereremo l’aggettivo adeguato quando sta per “proporzionato”: occorre dargli
un risarcimento adeguato (proporzionato) al danno subíto. Useremo “equo”
quando quest’aggettivo significa “giusto”, “ragionevole”: tutti, per il loro
lavoro, hanno diritto a un’equa (giusta) retribuzione. Scriviamo queste
noterelle perché abbiamo letto, su un giornale locale, che “gli avvocati hanno
chiesto al tribunale di dare una pena equa all’atrocità del delitto”. Ancora
ridiamo.
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Ecco un verbo che pochi vocabolari dell'uso attestano: salamistrare. Che cosa significa? Fare il saccente, il saputello. Qui la coniugazione completa.
Scaricabile dalla rete, gratuitamente, cliccando qui.
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(Per motivi tecnici e per un periodo non precisabile questo portale verrà "aggiornato" saltuariamente).
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La lingua "biforcuta" della stampa
Caso sospetto a
bordo: seimila crocieristi bloccati sulla nave in porto a Civitavecchia
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"Piú corretto": croceristi (senza la "i"), per la "legge" del
dittongo mobile.
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"No, non sono Meghan Markle", storia di una sosia che non voleva essere famosa
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Correttamente: un sosia (un, anche riferito a una donna). Vediamo, in proposito, ciò che scrive il linguista Aldo Gabrielli:
«Quante volte ho sentito frasi come queste: ‘Anna è la sosia di sua madre’, ‘Quell’attrice non è certo la sosia della Garbo’, parlando di due persone che si somigliano come due gocce d’acqua o non si somigliano affatto. E tutte le volte mi vien da dire: che erroraccio! Erroraccio perché? Ma perché sosia è un nome maschile, e maschio ha da restare, anche se da nome proprio una trasformazione l’ha già fatta diventando nome comune. Infatti questo Sosia, per chi non lo ricordasse, è il nome del servo di Anfitrione, nella famosa commedia di Plauto (…). Nella commedia plautina accade che un giorno Mercurio, mandato sulla terra da Giove, assumesse l’identico aspetto di Sosia, allo scopo di giocare alcune beffe diciamo piccanti all’infelice Anfitrione. Questo soggetto fu poi ripreso dal Molière nella commedia intitolata appunto ‘Amphitryon’, e il nome del servo, divenuto subito popolarissimo in Francia, da proprio si trasformò in comune, venendo a indicare persona somigliantissima a un’altra al punto da essere scambiata con questa. Noi riprendemmo il termine dal francese in questa accezione figurata verso la metà dell’Ottocento. Ma sempre come maschile, si capisce. Perciò dobbiamo dire ‘il sosia’, nel plurale ‘i sosia’, sia con riferimento a uomo sia con riferimento a donna. Non possiamo dare a Sosia una sorella dello stesso nome! Diremo quindi correttamente ‘Anna è il sosia di sua madre’, ‘Quell’attrice non è certo il sosia della Garbo’. Stona quel maschile accostato a un femminile? Ma stona forse dire ‘Anna è il ritratto, il doppione, il modello, lo stampo di sua madre? (…)».
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"No, non sono Meghan Markle", storia di una sosia che non voleva essere famosa
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Correttamente: un sosia (un, anche riferito a una donna). Vediamo, in proposito, ciò che scrive il linguista Aldo Gabrielli:
«Quante volte ho sentito frasi come queste: ‘Anna è la sosia di sua madre’, ‘Quell’attrice non è certo la sosia della Garbo’, parlando di due persone che si somigliano come due gocce d’acqua o non si somigliano affatto. E tutte le volte mi vien da dire: che erroraccio! Erroraccio perché? Ma perché sosia è un nome maschile, e maschio ha da restare, anche se da nome proprio una trasformazione l’ha già fatta diventando nome comune. Infatti questo Sosia, per chi non lo ricordasse, è il nome del servo di Anfitrione, nella famosa commedia di Plauto (…). Nella commedia plautina accade che un giorno Mercurio, mandato sulla terra da Giove, assumesse l’identico aspetto di Sosia, allo scopo di giocare alcune beffe diciamo piccanti all’infelice Anfitrione. Questo soggetto fu poi ripreso dal Molière nella commedia intitolata appunto ‘Amphitryon’, e il nome del servo, divenuto subito popolarissimo in Francia, da proprio si trasformò in comune, venendo a indicare persona somigliantissima a un’altra al punto da essere scambiata con questa. Noi riprendemmo il termine dal francese in questa accezione figurata verso la metà dell’Ottocento. Ma sempre come maschile, si capisce. Perciò dobbiamo dire ‘il sosia’, nel plurale ‘i sosia’, sia con riferimento a uomo sia con riferimento a donna. Non possiamo dare a Sosia una sorella dello stesso nome! Diremo quindi correttamente ‘Anna è il sosia di sua madre’, ‘Quell’attrice non è certo il sosia della Garbo’. Stona quel maschile accostato a un femminile? Ma stona forse dire ‘Anna è il ritratto, il doppione, il modello, lo stampo di sua madre? (…)».
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