mercoledì 13 gennaio 2016

Levarsi (o alzarsi) all'alba dei tafàni

«Domani è festa, finalmente!  - non poté fare a meno di esclamare Enrico, fuori di sé per la gioia - potrò alzarmi all'alba dei tafàni, non ho problemi di orari; la sveglia la getterò dal comodino, ho proprio bisogno di riposarmi». Avrete senz'altro capito, amici lettori, che l'espressione adoperata da Enrico ("alzarsi o levarsi all'alba dei tafàni") vuole mettere in evidenza il fatto che una persona si alza molto tardi, a mattinata inoltrata. Quante volte, anche voi, senza saperlo, avete messo in pratica questo modo di dire? Per la spiegazione ricorriamo all'ausilio di Puccio Lamoni, uno dei notisti al "Malmantile racquistato", che cosí scrive: «All'alba dei tafàni (il tafàno è un insetto dei ditteri, simile alla vespa, le cui femmine si attaccano alla carne dei bovini e dei cavalli per succhiarne il sangue lasciando sulla piaga germi di malattie parassitarie, ndr) si dice quell'ora del giorno che il sole è nel suo maggior vigore, nella qual ora i tafàni sono piú vivaci... sicché levarsi all'alba dei tafàni  s'intende levarsi di là da mezzogiorno».

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Il "ché" e il...  "chè"

Se non cadiamo in errore nessun "sacro testo" grammaticale in nostro possesso, a eccezione del "Dizionario Grammaticale" di Vincenzo Ceppellini, spiega che esistono due che accentati, uno con l'accento acuto l'altro con quello grave e cambiano di significato a seconda dell'accento. Riportiamo dal Ceppellini: «(Ché) con l'accento acuto è aferesi di  perché. Congiunzione causale. Esempio: Me ne vado, ché non ne posso piú. Con l'accento grave (chè) si usa nelle esclamazioni per indicare meraviglia. Esempio: Chè! Non ti fermi un poco?; Chè!, te la prendi per cosí poco?».

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