Amici e gentili lettori, voi che siete amanti della lingua e ci seguite con affetto, ormai da molto tempo, siete i soli - forse - a rimpiangere il tempo che Berta filava; vale a dire i tempi in cui si dava l'importanza dovuta al parlare e allo scrivere correttamente. Oggi, nel degrado generale in cui viviamo, anche la lingua ha subíto un totale decadimento, anzi alcuni fanno a gara - per non essere tacciati di «arretratezza linguistica» - nell'usare parole improprie che nulla hanno che vedere con la lingua nella sua accezione "piú alta"; ed ecco, allora, che in molti rimpiangiamo il tempo che Berta filava. Prima di spendere due parole sull'origine dell'espressione suddetta, ci sembra doveroso chiarire che quel «che» (il tempo "che") non è affatto errato, come molti ritengono, si tratta di un "che" chiamato polivalente* e sta per "in cui". La nascita dell'espressione, dunque - come sempre in casi del genere - presenta molte incertezze: da ricerche, faticosamente effettuate, ci risultano due storie - entrambe attendibili - citeremo quella che, a nostro modesto avviso, riteniamo piú "aderente" alla realtà. Una contadina di Montagnana, certa Berta, essendo venuta in possesso di un sottilissimo filo pensò di portarlo al mercato di Padova per venderlo; non sapendo, però, che prezzo chiedere per un filo che riteneva di un'utilità straordinaria decise - dopo un lungo "travaglio interiore" - di regalarlo alla moglie di Enrico IV che si trovava, temporaneamente, nella città del Santo. Cosí fece. La regale donna, colpita dalla bontà d'animo di quell'umile popolana, e volendo corrispondere con altrettanto "slancio d'amore", ordinò che a Berta e ai suoi discendenti fosse dato in dono tanto terreno quanto la lunghezza del filo. Le altre donne, venute a conoscenza di questo straordinario fatto, cominciarono anch'esse a filare per farne poi dono all'augusta ospite e ottenere, cosí, tanta ricchezza. La sovrana - informata - rispose che apprezzava il loro affetto e la loro devozione, ma solo Berta occupava un posto nel suo cuore. Da questo fatto nacque, appunto, il modo di dire "non sono piú (o non è piú) i tempi che Berta filava" adoperato per indicare la disparità della condizione del tempo in cui viviamo. In altre parole l'espressione sta a significare che i tempi sono cambiati (e cambiano) e con questi cambiano gli usi e i costumi (in negativo o in positivo). A nostro modesto parere, però, non può cambiare la lingua "in toto": i cardini grammaticali sui quali poggia sono sempre i medesimi, con buona pace dei cosí detti linguisti d'assalto o progressisti.
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* Si veda qui.
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Ci siamo accorti di aver trattato l'argomento tempo fa. Ci scusiamo con i nostri lettori per l'involontaria ripetizione.
lunedì 29 dicembre 2014
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