Molto spesso, nello scrivere, si resta perplessi sulla grafia delle parole che finiscono in “gine”: una o due “g”? Perché, per esempio, abbiamo “voragine” (una ‘g’) e “stupidaggine” (due ‘g’)? Per dissipare una volta per tutte questo genere di dubbio si può ricorrere a una “regola empirica” – contraddetta, però, da alcune eccezioni; queste non mancano mai – secondo la quale prendono la doppia ‘g’ (aggine) i vocaboli che, privati della desinenza
"-aggine" o "-agine", danno vita a una parola di senso compiuto: buffonaggine (buffona); stupidaggine (stupida); testardaggine (testarda). Si avrà, invece, una sola ‘g’ (agine) quando tolta la desinenza al vocabolo in esame resta un termine privo di senso compiuto: voragine; indagine; cartilagine. Se, infatti, togliamo la desinenza (aggine o agine) alle parole sopra elencate otteniamo dei vocaboli che non hanno alcun senso: imm(agine); vor(agine); ind(agine); cartil(agine). Ecco, però, subito una prima eccezione: Cartagine.
"-aggine" o "-agine", danno vita a una parola di senso compiuto: buffonaggine (buffona); stupidaggine (stupida); testardaggine (testarda). Si avrà, invece, una sola ‘g’ (agine) quando tolta la desinenza al vocabolo in esame resta un termine privo di senso compiuto: voragine; indagine; cartilagine. Se, infatti, togliamo la desinenza (aggine o agine) alle parole sopra elencate otteniamo dei vocaboli che non hanno alcun senso: imm(agine); vor(agine); ind(agine); cartil(agine). Ecco, però, subito una prima eccezione: Cartagine.
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