mercoledì 8 aprile 2015

A proposito di "io do" o "io dò"


A proposito del verbo "dare", la cui prima persona singolare del presente indicativo si può anche accentare (io do o io dò, dunque), del quale ci occupammo - su questo portale - il 13 marzo scorso, "contestando" la risposta degli esperti della Treccani al quesito posto da un lettore, ci corre l'obbligo, per onestà, di pubblicare la replica del "responsabile linguistico" del sito Treccani.

Ci permettiamo di dissentire non tanto dalle singole osservazioni critiche avanzate dal nostro attento lettore, ché sarebbe troppo facile enumerare i dizionari e le grammatiche di un certo affidamento che non considerano do e dai, voci del verbo dare, bisognevoli di accento grafico, ma dall'atteggiamento di fondo che caratterizza le considerazioni del nostro lettore: l'atteggiamento di chi, in questo caso, sembra interpretare la discussione sulle questioni di norma come una dialettica in cui siano in gioco più l’autorità che il merito della questione.

Ora, siamo noi i primi a sostenere che ciascuno deve essere vigile nelle scelte, libero e perciò responsabile, capace di critica e autocritica. Molte volte le segnalazioni e le critiche dei nostri lettori sono state utili, anche per intervenire limando, correggendo, aggiornando quanto, in questa o in altre sedi, avevamo sostenuto. Quando, però, scriviamo che “do” non si accenta, non stiamo emettendo sentenze inappellabili, né siamo dominati dalla iattanza di chi assume toni apodittici, ma, semplicemente, riassumiamo in una sintetica indicazione pragmatica una tendenza prevalente nella letteratura in argomento e – cosa sempre importante – prevalente nell’uso. Il DOP, per noi, è un eccellente e autorevolissimo testo di riferimento, al quale ci atteniamo 9 volte e mezzo su 10, ma non è la bibbia (come non è la bibbia alcun testo prodotto dalla Treccani, nonostante il valore dei suoi contributori intellettuali). Tra l'altro il DOP, nel caso in questione, perlomeno segnala dò come variante “meno comune”. Nella grammatica di Luca Serianni Italiano (con la collaborazione di A. Castelvecchi), che certamente è tenuta per molto autorevole, v'è scritto (cap. I, par. 177b): «Superfluo invece l'accento [...] su dò verbo (per distinguerlo dalla nota musicale; confusione molto improbabile». Questa indicazione ci ha sempre convinto. Sappiamo bene che dò viene da qualcuno usato anche con l'accento. Ciò non desta in noi senso di scandalo; caso mai, in molti, oltre a noi, solleva legittimi dubbi: la nostra lingua è piena di usi oscillanti in una materia, come quella della grafia, che, da Bembo in poi - e nonostante la sua iniziale e importante opera normatrice e il successivo secolare lavorìo di tipografi e grammatici - è rimasta oscillante fino a ieri e ancora oggi, talvolta, oscilla: vogliamo ingaggiare un'altra battaglia su se stesso o sé stesso? Conviene  attenersi a una norma faticosamente messa in piedi nel tempo, essendo, tra l'altro, la grafia oggetto di grande attenzione sociale e i comportamenti devianti fortemente censurati.

Tra l'altro, dire che si scrive in un certo modo e che questa o quella parola «non ha bisogno di accento grafico» non significa imporre niente a nessuno. Nemmeno a chi ha in pregio il parere di un unico pur valido dizionario come il Sandron, al punto di erigerlo al rango di testimonio decisivo, capace da solo di sbaragliare una serie di certificate posizioni di altro tenore. Curiosamente, sembra che si sia poi d'accordo su un fatto, ben espresso dal nostro lettore, al termine della sua missiva elettronica: nessuno, entro certi limiti, commette un "reato linguistico". Ci trovassimo a scuola, i casi di do e dai sarebbero occasione non per matitate rosse o blu, ma per un ragionamento di più ampio respiro con gli alunni sulle caratteristiche diacroniche, sincroniche e sociolinguistiche della (orto)grafia nella nostra lingua. Ci prenderemmo poi la responsabilità, però, di consigliare a ragazzi e ragazze di continuare a scrivere do e dai senza l’accento grafico, proprio perché oggi ci interessa promuovere gli usi più stabili e porre al riparo gli scriventi da ogni dubbio di comportamento inadeguato. Nel giorno in cui l'ascoliano moto operoso delle menti collettivo portasse a una diversa indicazione normativa in merito a questi due tratti (do e dai vanno accentati per iscritto!), ne prenderemmo atto.

Ultima notazione: è sempre bene distinguere e vedere caso per caso. Dài con l'accento non dà (questo sì, con l’accento…) per niente fastidio: libera scelta (come per tutti gli accenti all'interno di parola): semplicemente ricordiamoci che non ce n'è bisogno a fini distintivi (dai preposizione articolata o, tanto meno, imperativo anziché indicativo). Per l'accento sui monosillabi, ci atteniamo alla grammatica di Serianni (cap. I, par. 177), perciò riteniamo do la forma valida: indulgere all’accentazione potrebbe indurre a catena altre accentazioni improprie, fondate su sofisticherie arcidotte (sù avverbio accentato per distinguerlo da su preposizione, per esempio), di cui, francamente, per quanto già argomentato, non si sente proprio il bisogno.

 Silverio Novelli
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Prendiamo atto della circostanziata replica ma ci permettiamo di far notare al dr Novelli che si dissente "da" qualcuno "su"  (o "in") qualcosa. Egli scrive: « Ci permettiamo di dissentire non tanto dalle singole osservazioni critiche avanzate dal nostro attento lettore...». Secondo la "legge grammaticale" avrebbe dovuto scrivere: «... di dissentire non tanto "sulle" singole osservazioni...». Lo stesso vocabolario Treccani si attiene, negli esempi, alla suddetta "legge grammaticale": dissentire v. intr. [dal lat. dissentire, comp. di dis-1 e sentire «essere d’opinione»] (io dissènto, ecc.; aus. avere). – Sentire, pensare in maniera differente da altri: dissentiva da noi in molti punti; in questo dissento completamente da te; d. nel giudizio, d. su una decisione, ecc. Part. pres. dissenziènte, anche come agg. e sost. (v. la voce).

 

 

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Che dire?
Scrivono: "Quando ... scriviamo che “do” non si accenta, non stiamo emettendo sentenze inappellabili, né siamo dominati dalla iattanza di chi assume toni apodittici", ma proprio loro scrissero senz'appello: "Non si accenta do, la prima persona dell'indicativo presente del verbo dare".
Scrivono di: "dizionari e ... grammatiche di un certo affidamento che *non* considerano do e dai ... bisognevoli di accento grafico", ma proprio nel loro dizionario c'è scritto "pres. do 〈dò〉 o dò [radd. sint.]"; almeno il DOP, "dò", lo mette tra parentesi, come si addice a una forma secondaria.

Fausto Raso ha detto...

Ha ragione, cortese anonimo, questo "particolare" mi era sfuggito. Grazie
Vocabolario on line
dare2 v. tr. [lat. dare] (pres. do ⟨dò⟩ o dò [radd. sint.], dai o dài, dà, diamo, date, danno o dànno; imperf. davo, davi, ecc.; pass. rem. dièdi o dètti, désti,diède [poet. diè] o dètte, démmo, déste, dièdero [poet. dièro] o dèttero; fut. darò, darai, ecc.; condiz. darèi, darésti, ecc.; cong. pres. dia, ... diamo, diate,dìano; cong. imperf. déssi, déssi, désse, déssimo, déste, déssero; imperat. dai o da’ [senza radd. sint.] o dà [con radd. sint.], ecc.). –