Si presti attenzione molta attenzione ai due termini in oggetto perché spesse volte vengono confusi e adoperati, quindi, arbitrariamente. Pure essendo entrambi congiunzioni hanno significati completamente diversi. Sebbene è una congiunzione subordinante e vale "quantunque", "nonostante (o non ostante)", "benché" e introduce, per tanto, una proposizione concessiva, con il verbo tassativamente al modo congiuntivo: Luigi, "sebbene" fosse ammalato, si recò regolarmente al lavoro. Molto spesso il verbo è sottinteso (si ha, quindi, una proposizione concessiva ellttica del verbo). "sebbene" controvoglia (o contro voglia), lo assecondai. Sibbene, invece, è una congiunzione con valore avversativo e sta per "ma", "bensí" e si usa dopo una proposizione negativa: non abbatterti, "sibbene" reagisci alle avversità della vita.
lunedì 24 novembre 2014
giovedì 20 novembre 2014
AVVISO
Per motivi tecnici non è stato possibile "aggiornare" il portale. Ci scusiamo con gli amici lettori che ci seguono con assiduità.
giovedì 13 novembre 2014
Diffidare di certi vocabolari
Due parole su un verbo adoperato quasi sempre in modo errato:diffidare. Questo verbo, dunque, è "geneticamente" intransitivo, il suo ausiliare è solo avere e si costruisce con la preposizione "di": diffidate sempre "di" coloro che vi fanno troppe promesse. Il significato proprio è "sospettare", "non fidarsi". Adoperato transitivamente significa "intimare di fare o non fare una cosa" e si fa seguire dalla preposizione "a": il preside ha diffidato (cioè: ha intimato) gli alunni a non fumare nei corridoi della scuola; la polizia diffidò (cioè:intimò) il malvivente a presentarsi in commissariato una volta la settimana. Alcuni vocabolari consentono anche l'uso della preposizione articolata "dal", ma in buona lingua italiana è un... uso errato.
giovedì 6 novembre 2014
Colleppolare
Tra le parole "ammuffite", relegate nella soffitta della lingua, che ci piacerebbe fossero rimesse a lemma nei vocabolari dell'uso segnaliamo il verbo "colleppolare". Che cosa significa? "Gongolare", "dimenarsi per allegria": nell'apprendere la notizia, Giulia non poté trattenersi dal colleppolare.
martedì 4 novembre 2014
Il salvagente, i salvagente/i
Dal sito "studentville.it" leggiamo:
• Salvagente o salvagenti? Al plurale la parola salvagente rimane uguale. Quindi ‘’il salvagente’’, ‘’i salvagente’’, o ad esempio ‘’il cavalcavia’’ e ‘’i cavalcavia’’
• Salvagente o salvagenti? Al plurale la parola salvagente rimane uguale. Quindi ‘’il salvagente’’, ‘’i salvagente’’, o ad esempio ‘’il cavalcavia’’ e ‘’i cavalcavia’’
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Non è propriamente così. Questo aggettivo e sostantivo non è - come si ritiene comunemente - tassativamente invariabile nel plurale: il salvagente, i salvagente. C’è anche un plurale “salvagenti”. Quando si usa? Ce lo dice il vocabolario Sabatini Coletti in rete:
salvagente [sal-va-gèn-te] s.m. inv. (anche pl. -ti nelle accez. 1 e 3)
· 1 Galleggiante di varia forma e materiale che evita alle persone l'affondamento nell'acqua
· 2 Marciapiede sopraelevato in mezzo a una carreggiata o in uno spazio aperto dove c'è traffico, per permettere una sosta sicura a chi attraversa la strada e a chi sale e scende da mezzi pubblici
· 3 Protezione metallica situata nella parte anteriore di locomotori, locomotive e tram per evitare che eventuali persone investite finiscano sotto le ruote
· • In funzione di agg. inv., che ha la proprietà di tenere a galla: giubbotto s.
Diremo (e scriveremo), e correttamente, quindi: i fanciulli, al mare, usano i salvagenti; il pedone, investito dal tram, si è salvato grazie ai salvagenti.
Il Dop, Dizionario d'Ortografia e di Pronunzia, al lemma "salvagente" recita, inoltre: "... ma nel significato di 'apparecchio galleggiante' (nel plurale, ndr) anche -ti".
domenica 2 novembre 2014
Ciao, amici lettori
Chi non sa che "ciao", termine che le grammatiche classificano fra le interiezioni (parte invariabile del discorso che da sola esprime un vivace e improvviso sentimento dell'animo: paura, gioia, meraviglia, dolore, ansia, repulsione ecc.) è una forma familiare di saluto scambiato incontrandosi o accomiatandosi: ciao, come stai? Ciao, come va? Si adopera anche a chiusura della corrispondenza fra parenti e amici: ciao, ti saluto e ti abbraccio. Si usa, inoltre, per esprimere una certa rassegnazione riguardo a una cosa definitiva e spiacevole: se ne andò con tutti soldi, e ciao! Pochi, forse, conoscono la sua origine. Vediamo, dunque, come è nato questo "ciao". C'è da dire, innanzi tutto, che a dispetto dei detrattori dei vernacoli italiani, il "ciao" è un contributo che il dialetto veneziano ha dato alla lingua nazionale. Un tempo, infatti, questa particolare forma di saluto era adoperata esclusivamente nell'Italia settentrionale, nel Veneto in particolare. Chi direbbe, però, di primo acchito, che questa parola veneziana non è altro che l' "italiano" schiavo? Perché proprio di schiavo si tratta. "Sclavus" nel tardo latino significava semplicemente "slavo". In seguito per il fatto che in Germania, nell'Alto Medio Evo, alcune etníe slave furono ridotte allo stato di "servi", il termine acquisí l'accezione generica di "servo", di "schiavo". Arriviamo, cosí, al Settecento. A Venezia - nel XVIII secolo - il termine schiavo, "s'ciao" in dialetto, era divenuto formula di omaggio e di riverenza: il prode cavaliere si profferiva servitore (s'ciao) nei riguardi della dama. Il signore si accomiatava dagli amici con un "vi son schiavo". In men che non si dica "s'ciao" raggiunge rapidamente il Piemonte, la Lombardia, l'Emilia e per adattarsi alle labbra dei parlanti - durante il cammino - perde la "s" iniziale divenendo semplicemente "ciao" e con il trascorrere del tempo perde anche il valore "etimologico originario" divenendo formula familiare di saluto.
sabato 1 novembre 2014
Andare in oca
Quel giorno il prof. Siliconi peccò proprio di "narcisismo linguistico" - sbalordendo i suoi alunni - quando disse di non aver portato i componimenti di italiano, che aveva corretto a casa, perché "era andato in oca". Per non tediarvi oltre diciamo subito, gentili amici blogghisti, che questo idiomatismo significa "dimenticarsi", "scordarsi". Alcuni insigni Autori lo fanno derivare - ma noi, francamente, non vediamo il nesso e l'origine del modo di dire resta, sempre per noi, sconosciuta - dall'antico gioco dell'oca. Questo si svolge tra piú persone con due dadi e un cartellone dove sono disegnate, a spirale, da 63 a 90 caselle numerate; il punto segnato dai due dadi lanciati indica il numero delle caselle che il giocatore percorre in ogni giro; determinate caselle - particolarmente quelle che recano la figura di un'oca - comportano alcuni vantaggi, altre impongono soste e retrocessioni. Vince il giocatore che arriva primo alla casella finale.
Restando in tema di oche c'è da dire che non tutti sanno - forse - che questa parola adoperata come termine di similitudine, con evidente allusione alla proverbiale goffaggine, stupidità e rumorosità dell'oca, appunto, può essere riferita anche a un uomo: Giovanni è proprio un'oca! In senso figurato, quindi, si dice che una persona (uomo o donna, dunque) è un'oca quando si vuole mettere in evidenza la limitata intelligenza e cultura, ma soprattutto la superficialità e presunzione.
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