lunedì 28 ottobre 2024

C'è taglia e... taglia


I
l termine "taglia" ha attraversato un affascinante percorso semantico che con il passare dei secoli ha acquisito, di volta in volta, accezioni diverse ma collegate tra loro. Vediamo, insieme, le sue origini e i vari passaggi che l'hanno portato a indicare – come si sa - sia la misura di un vestito sia la ricompensa per la cattura di un malvivente. Appartiene, quindi, alle così dette parole polisemiche.

"Taglia", dunque, non è di origine schiettamente italica, deriva dal verbo francese tailler, che significa "tagliare". Questo verbo si riferisce all'atto di dividere o separare qualcosa, un concetto fondamentale che ha dato origine a molteplici significati nel corso del tempo.

Il primo e più comune uso del termine è quello relativo alla misura di un abito. In questo contesto "taglia" si riferisce alla dimensione di un capo di abbigliamento, indicando quanto deve essere tagliata la stoffa per adattarsi alle misure del corpo: "taglia S" (piccola), "taglia M" (media), e così via.

Col tempo il significato della parola ha oltrepassato i confini della sartoria. Nel Medioevo la "taglia" veniva utilizzata per stabilire la parte di bottino o di denaro che spettava a ciascun partecipante a una spedizione militare o a un'attività di saccheggio, conservando il concetto di "divisione" o "porzione" di qualcosa.

Successivamente il termine si è evoluto e adoperato per indicare un'imposta o una tassa. La "taglia" era una somma di denaro che i sudditi dovevano versare al monarca, una sorta di tributo che veniva "tagliato" dai guadagni delle persone.

E veniamo all’accezione moderna di "taglia", vale a dire una ricompensa per la cattura di un malvivente; deriva anch'essa dall'idea di "divisione" e "porzione". Nella fattispecie la "taglia" è una somma di denaro offerta per incentivare la cattura di un criminale, rappresentando una “porzione” del denaro pubblico destinato a garantire la sicurezza e l'ordine.

L’evoluzione semantica della "taglia", e concludiamo, dimostra come una singola parola possa dare origine a una varietà di significati, attraverso il tempo e i vari contesti culturali.




(Le immagini sono riprese dalla Rete, di dominio pubblico, quindi. Se víolano i diritti d'autore scrivetemi; saranno prontamente rimosse: fauras@iol.it)

domenica 27 ottobre 2024

Breve viaggio attraverso la grammatica della lingua italiana

 


La grammatica italiana è un mondo affascinante, ricco di regole, eccezioni e meraviglie linguistiche. È lo scheletro della lingua, il fondamento su cui si costruiscono frasi, discorsi e testi. In queste modeste noterelle esploreremo, sia pure per sommi capi, alcuni aspetti fondamentali della grammatica italiana, con un pizzico di curiosità. Vediamo. 

Il verbo è il cuore pulsante della proposizione. Coniugato in modi, tempi e persone diverse, questo dà vita all'azione, definendo il tempo, la modalità e il soggetto dell'azione stessa. Il verbo "amare", per esempio, può essere coniugato in molti modi: "amo", "ami", "amava", "amerà", "amerebbe", ciascuno con il suo significato specifico. 

I pronomi sono piccoli ma potenti, capaci di sostituire i nomi e rendere il discorso più fluido ed elegante. Esistono diversi tipi di pronomi: personali (io, tu, egli), possessivi (mio, tuo, suo), dimostrativi (questo, quello), relativi (che, cui), e molti altri che non stiamo a elencare. Ogni pronome ha una funzione specifica nella frase, e il corretto uso arricchisce la comunicazione. 

L'accordo grammaticale è fondamentale per la correttezza e la chiarezza del discorso. In italiano l'accordo riguarda genere (maschile e femminile) e numero (singolare e plurale) tra articoli, nomi, aggettivi e pronomi. Qualche esempio: "il gatto nero" (maschile singolare) e "i gatti neri" (maschile plurale), "la casa bella" (femminile singolare) e "le case belle" (femminile plurale). Si presti attenzione, quindi, a non “accordare” un sostantivo maschile con uno femminile, come si legge spesso sulla stampa: il ministro Giovanna Giovannini. Il corretto accordo tra parole crea una sintonia melodiosa nel discorso. 

La punteggiatura è la musica del testo scritto, fornendo pause, ritmo e intonazione. La virgola, il punto, il punto e virgola, i due punti, il punto interrogativo e il punto esclamativo sono solo alcuni degli strumenti che aiutano a modulare il discorso. Un uso corretto della punteggiatura rende il testo chiaro e piacevole da leggere. 

Gli accenti sono fondamentali per l’ortoepia (corretta pronuncia) e il significato delle parole. Un accento può cambiare completamente il significato di una parola: "àncora" (strumento nautico) e "ancóra" (avverbio di tempo), “subito” (avverbio) e “subìto” (participio passato del verbo subire). Conoscere e adoperare correttamente gli accenti è, dunque, essenziale per evitare fraintendimenti. 

Ogni regola ha le sue eccezioni, come in tutte le lingue, e la grammatica italiana non fa... eccezione. Le irregolarità nella coniugazione dei verbi, le eccezioni nelle regole di accordo e i plurali irregolari sono solo alcune delle peculiarità che rendono il nostro idioma una lingua viva e dinamica. Le eccezioni, lungi dall'essere un ostacolo, arricchiscono e rendono più dinamica la nostra lingua. 

La grammatica italiana, per concludere, è un universo affascinante e complesso, ricco di regole, eccezioni e curiosità. Impararla e padroneggiarla richiede tempo e impegno, ma il risultato è una comunicazione chiara, elegante e precisa. Ogni regola, ogni accento e ogni verbo racconta la storia di una lingua viva e in continua evoluzione. 

 

***

La lingua “biforcuta” della stampa

Maltempo, nel pisano e nel livornese, tracimati torrenti: 15 persone tratte in salvo dai vigili del fuoco. Giani: “A Riparbella in 3 ore piovuto più della media di un mese. Ora priorità ai piccoli fiumi”. In alcune case acqua fino a 1,7 metri di altezza. Allagamenti anche a Cecina

---------------

Quando impareranno gli operatori dell’informazione che le aree geografiche si scrivono con l’iniziale maiuscola? Quindi: Pisano, Livornese. Sanno che un participio passato assoluto (da solo) non ha senso (piovuto)?


 *

Il reportage

L’invasione degli ultraschermi: sulle chiese e sui palazzi, i cartelloni a led accecano la Capitale

----------------

Meglio: acciecano, per la regola del dittongo mobile.


(Le immagini sono riprese dalla Rete, di dominio pubblico, quindi. Se víolano i diritti d'autore scrivetemi; saranno prontamente rimosse: fauras@iol.it)



 

 

sabato 26 ottobre 2024

C'è costume e... costume




In un antico regno, Semantia, dove le parole vivevano e respiravano, ce n’era una veramente affascinante il cui nome era Costume. Il suo viaggio attraverso il tempo e i vari significati era straordinario e pieno di avventure. 

Costei aveva origini antiche e nobili. Il suo nome derivava dal latino consuetudo, che significava "abitudine", “consuetudine” o "usanza". Era una parola con una storia profonda e ricca, che si era evoluta con il trascorrere dei secoli attraverso molte lingue e culture. 

Nel suo viaggio iniziale Costume rappresentava una semplice abitudine o una pratica comune. In questo contesto gli abitanti del regno adoperavano Costume per designare le loro usanze quotidiane: "È costume della nostra gente pranzare insieme a mezzogiorno," dicevano, sottolineando l'importanza delle abitudini condivise. 

Col tempo, Costume cominciò ad assumere un’accezione più specifica, riferendosi all'abbigliamento tradizionale indossato dagli abitanti del regno, in occasioni speciali. Nel piccolo Stato, durante i festival e le celebrazioni locali, gli abitanti indossavano i loro abiti tradizionali. "Indossiamo i nostri costumi per il festival di primavera," dicevano, celebrando la loro cultura e tradizione. 

Con l'avvento del teatro, Costume iniziò a designare l'abbigliamento indossato dagli attori sul palcoscenico. Era un aspetto, questo, essenziale delle rappresentazioni teatrali, perché aiutava a dare vita ai personaggi. Gli abitanti di Semantia dicevano, infatti: "Gli attori indossano costumi per ‘immergersi’ nei loro ruoli," sottolineando l'importanza di questi speciali abiti per la magia del teatro. 

In tempi più moderni, Costume acquisì un’altra accezione: abbigliamento indossato per il nuoto, conosciuto anche come costume da bagno. Gli abitanti di Semantia adoravano nuotare nei fiumi e nei laghi del regno, dicendo: "Indosso il mio costume da bagno per nuotare." 

Costume era orgogliosissima della sua versatilità e dei suoi vari significati, perché grazie a lei gli abitanti di Semantia impararono ad adoperare il termine correttamente in base al contesto: è costume della nostra famiglia fare una passeggiata dopo cena; i costumi tradizionali della nostra regione sono molto colorati; gli attori del teatro indossano costumi elaborati per i loro spettacoli; ho comprato un nuovo costume da bagno per la prossima estate.  

Costume, così, con la sua storia ricca e con i suoi vari significati, divenne una delle parole più apprezzate del regno, simbolo di tradizione, cultura e versatilità. 


Per finire qualche proverbio da porre all’attenzione degli studiosi di paremiologia: 

Il vero costume non cambia col tempo, ma si adatta. 

Un costume ben portato è un biglietto da visita senza parole. 

Il costume cambia con la moda, ma l'abitudine resta.  

Dove c'è un costume, c'è una storia da raccontare. 


(Le immagini sono riprese dalla Rete, di dominio pubblico, quindi. Se víolano i diritti d'autore scrivetemi; saranno prontamente rimosse: fauras@iol.it)




venerdì 25 ottobre 2024

Prendere e acchiappare


M
arco e Lucio, due amici appassionati della lingua di Dante, stanno facendo una passeggiata in un parco della città, discutendo di vari temi di lingua, soprattutto di verbi. A un certo punto Marco si interrompe: Sai, Lucio, ho notato che a volte uso "prendere" e "acchiappare" indifferentemente. Non sono sicuro, però, su questa interscambiabilità. Tu che dici? Uno vale l’altro o c’è una differenza tra questi due verbi?

- È una bella domanda, Marco! "Prendere" e "acchiappare" hanno origini e usi differenti. Partiamo dalle loro origini. "Prendere" viene dal latino "prehendere", che significa "afferrare" o "catturare". Non si dice, infatti, che il ladro è “stato preso”? È un verbo versatile che si adopera in molti contesti diversi.

- Interessante, veramente. E "acchiappare"?

- "Acchiappare" ha una connotazione più colloquiale e sembra abbia radici nell'italiano regionale. Il verbo "acchiappare" era già usato, infatti, in dialetti toscani e settentrionali, e si è diffuso nell'italiano standard con una connotazione più informale rispetto a "prendere". Occorre aggiungere, però, che secondo alcuni lessicografi proverrebbe da “chiappare” (latino ‘capulare’): ‘prendere con il cappio’.

- "Prendere", quindi, si adopera in contesti più formali?

- Esattamente. "Prendere" si può adoperare in contesti sia formali sia informali. Puoi dire, per esempio, "ho preso un libro dalla libreria" o "prendo un caffè". “Acchiappare", invece, è più informale e spesso si usa in contesti più vivaci o espressivi, come "ho acchiappato il ladro" o "acchiappa la palla!".

- Capisco. Quindi, "acchiappare" si adopera spesso in situazioni di cattura o inseguimento?

- Diciamo di sì; di solito si adopera per indicare un’azione rapida o una cattura improvvisa. Pensiamo ai bimbi che giocano a "acchiapparello" o a qualcuno che tenta di afferrare velocemente qualcosa.

- E per quanto attiene all’uso tecnico?

- In ambito tecnico o scientifico, "prendere" è preferito. Per esempio, "prendere una misura" o "prendere un campione". "Acchiappare" non si userebbe mai in questi contesti.

- Quindi, per riassumere, "prendere" è un verbo più versatile e formale, mentre "acchiappare" è più informale e spesso è usato in operazioni di polizia: il malvivente è stato acchiappato.

- Esatto! È importante conoscere il contesto per adoperare correttamente questi verbi. Ricorda, la precisione linguistica migliora la comunicazione.

- Grazie, Lucio! Ora ho le idee più chiare. Presterò più attenzione all’uso corretto di questi verbi.

- Di nulla, Marco. È sempre un piacere parlare di linguistica con te. Hai altre domande?

- Non per ora, ma farò tesero di questa chiacchierata. Alla prossima!



(Le immagini sono riprese dalla Rete, di dominio pubblico, quindi. Se víolano i diritti d'autore scrivetemi; saranno prontamente rimosse: fauras@iol.it)




giovedì 24 ottobre 2024

Si è verificato un incidente... No! L'incidente è accaduto


 
Nel meraviglioso Regno dei Verbi tutti avevano un compito ben definito. Ogni verbo aveva una mansione precisa  per mantenere l'ordine nel piccolo Stato. Tra questi c'era un verbo spesso frainteso: Verificare.

Questi era un verbo diligente, la cui missione era chiara e ben definita. Proveniva pari pari dal latino medievale "verificare", che significa "dimostrare la verità". Il suo compito era semplice ma molto, molto importante: controllare se qualcosa fosse effettivamente accaduto o fosse vero. Verificare non poteva esistere senza un evento già avvenuto; il suo lavoro era, pertanto, proprio quello di confermare o controllare i fatti accaduti.

Un bel giorno nel Regno si creò una confusione generale. Alcuni sudditi cominciarono a usare Verificare in modo sbagliato, come sinonimo di Accadere, Succedere o Avvenire. La confusione cresceva e cresceva, di giorno in giorno, finché il re, sua maestà Coniugare, decise di convocare tutti i verbi del suo regno al fine di chiarire la situazione.

Nella bellissima sala del trono il re prese la parola: "Carissimi sudditi del Regno dei Verbi, oggi dobbiamo chiarire la vera accezione e l'uso corretto del verbo Verificare."

Quest’ultimo si fece avanti con fermezza. "Il mio compito, maestà, è chiaro," disse con voce decisa. "Io non accado, non succedo, non avvengo. Il mio incarico è controllare e confermare ciò che è già accaduto. Per esempio: 'Ho verificato che la porta sia chiusa' significa che ho controllato che la porta fosse effettivamente chiusa."

Il saggio verbo Accadere aggiunse: "Io, vostra maestà, sono colui che descrive un evento che avviene o è avvenuto nel tempo. Per esempio: 'Un incidente è accaduto questa mattina sull’autostrada della Morfologia.' Il mio compito, quindi, è indicare l'evento stesso."

Succedere prese la parola: "Io indico un evento che è successo con una connotazione di ‘successione temporale’. Per esempio: 'Molte cose sono successe mentre vostra maestà era in visita nel regno della Sintassi. Sono io a indicare l'evento in sé."

Infine parlò Avvenire: "Io descrivo qualcosa che accade, spesso con un ‘senso di importanza’ o di realizzazione. Per esempio: 'La conferenza è avvenuta come era stato stabilito.' Sono io a indicare l'accadimento."

Re Coniugare ascoltava attentamente e di tanto in tanto annuiva. "Ciascun verbo, dunque, ha un ruolo ben definito," disse. "Verificare controlla e conferma quanto già accaduto, mentre Accadere, Succedere e Avvenire descrivono, sia pure con sfumature diverse, l'evento medesimo. Usare Verificare come sinonimo di questi ultimi è errato. Chi ‘sgarra’ sarà punito secondo le leggi linguistiche del regno.”

Da quel giorno la chiarezza e la precisione tornarono a regnare nel… regno, e tutti ripresero ad adoperare i verbi secondo quanto stabilito dalla Grammatica (e dalla Logica).




(Le immagini sono riprese dalla Rete, di dominio pubblico, quindi. Se víolano i diritti d'autore scrivetemi; saranno prontamente rimosse: fauras@iol.it)


mercoledì 23 ottobre 2024

L' "enfo-virgola" (o "virgola tematica")

 


L
e comuni grammatiche, trattando della virgola, raccomandano di non separare mai il soggetto e il verbo con una virgola, e le maestre di un tempo ci tenevano a sottolinearlo: Mario, (virgola) ama giocare a calcetto piuttosto che studiare. In linea generale è così. Esiste, però, un tipo di virgola (che le grammatiche scolastiche non menzionano) che si può collocare subito dopo il soggetto per separare il tema introduttivo dal resto della proposizione in quanto aiuta a richiamare l’attenzione su una parte specifica del discorso, soprattutto se dopo il soggetto c'è una serie di complementi, fornendo al lettore un contesto chiaro sin dall'inizio. 

Questa virgola è chiamata “virgola tematica” o "enfo-virgola". Il termine "enfo" deriva dal concetto di enfasi, in quanto questa virgola serve proprio a enfatizzare e mettere in rilievo il tema principale, il soggetto. L'uso di questo tipo di virgola, insomma, può migliorare notevolmente la leggibilità e la comprensione “immediata” di un testo. Evidenziando il tema con questa virgola il lettore è subito informato del contesto o dell'argomento principale, rendendo il seguito della proposizione più chiaro e fluido.

Qualche esempio renderà l’argomento più chiaro. "In primavera, i fiori sbocciano dappertutto." Qui, "in primavera" è il tema introduttivo che viene separato dal resto della frase per mezzo della virgola, designando il contesto temporale in cui avviene l'azione. Ancora. "Nel corso della storia, molte civiltà sono emerse e scomparse." In questo esempio "nel corso della storia" fornisce il contesto storico, separato dal corpo principale della proposizione. L’ “enfo-virgola” – come si è visto dagli esempi – si colloca subito dopo il soggetto o l’argomento principale. 

La virgola tematica (che, dimenticavamo, alcuni chiamano anche "informativa")  - per concludere - è uno strumento semplice ma potentissimo per migliorare la leggibilità e la chiarezza dei nostri scritti. Adoperata correttamente, cum grano salis, può guidare il lettore mettendo in evidenza il tema o il contesto sin dalle “prime battute”. Da notare, inoltre, che una virgola non collocata nel punto giusto fa cambiare il senso della frase: ho chiamato zia / ho chiamato, zia. Prestare attenzione all’uso corretto della punteggiatura, della virgola in particolare, non solo arricchisce il nostro stile “letterario”, ma permette anche di comunicare in modo più efficace e preciso.



(Le immagini sono riprese dalla Rete, di dominio pubblico, quindi. Se víolano i diritti d'autore scrivetemi; saranno prontamente rimosse: fauras@iol.it)


lunedì 21 ottobre 2024

Sofia e Lucia sono incinta

 


Viveva una volta, in un lontano regno - ai confini dell’universo - chiamato Grammatica, una parola molto speciale: Incinta. Costei risiedeva in un villaggio abitato esclusivamente da parole femminili e aveva un dono veramente speciale: portava con sé il miracolo della vita. Il nome che le era stato imposto derivava dal latino medievale "incincta" (non-cinta, incinta, alludendo, probabilmente, al fatto che le donne in stato di gravidanza non portassero la cintura). 

Un giorno, la giovane Incinta decise di esplorare il vasto mondo della lessicologia all’interno del regno. Mentre viaggiava si accorse che, nonostante il suo dono speciale, molti abitanti di Grammatica sembravano non capire come usarla correttamente, nel parlare e nello scrivere. Spesso, nei villaggi dei libri che attraversava e nei sentieri che percorreva sentiva dire che lei apparteneva alla schiera delle parole invariabili. Ciò la confondeva, e non poco, perché sapeva benissimo di essere come qualsiasi altra parola femminile, capace di trasformarsi, all’occorrenza, nella forma plurale. 

Lungo il suo viaggio incontrò una vecchia e saggia parola, Etimologia, che conosceva le radici di tutte le parole del regno. "Carissima Incinta," le disse Etimologia, "hai il sacrosanto diritto di essere declinata come tutte le altre parole. La confusione nasce, indubbiamente, dall'ignoranza e dalla diffusione di errori attraverso le generazioni." 

Etimologia le spiegò che, col trascorrere del tempo, molte persone avevano cominciato a trattarla come invariabile perché l'avevano vista adoperata così tanto, nella forma errata, da sembrare corretta (come accadde per Colluttorio, la cui grafia corretta è con una sola “t”: collutorio). Così nei villaggi più remoti e nelle abitazioni dove i libri non “erano di casa” le persone avevano cominciato a dire "le donne incinta" invece di "le donne incinte". Questo strafalcione si era cristallizzato e diffuso, creando un'illusione di correttezza. 

Per rimediare a questo “sfacelo linguistico”, la saggia Etimologia suggerì a Incinta di diffondere la grafia corretta. Insieme, organizzarono un grande raduno nella piazza principale dove tutte le parole del regno furono invitate. Con la voce gentile ma ferma, su un palco allestito per l’occasione, Incinta spiegò ai presenti, anzi alle presenti, la sua vera natura:

"Amiche mie carissime, io sono una parola come tutte voi, e come tutte voi posso essere declinata. Quando mi trovate in compagnia di altre donne, che hanno il mio stesso dono, chiamatemi Incinte." 

Le astanti applaudirono e capirono. Da quel giorno in tutto il piccolo regno si cominciò a usare Incinta correttamente: Giovanna è incinta; Sofia e Lucia sono incinte. La confusione, finalmente, venne dissipata, e nel regno di Grammatica tutte le donne incinte vissero felici e contente. 

Alla fine azzardiamo un proverbio che potrebbe interessare i paremiologi e "prendere piede": La donna incinta è come la luna, porta una nuova luce nel mondo.

 

***

La lingua “biforcuta” della stampa

Elezioni

Moldova, passa per pochi voti il referendum per l’Europa. 

La presidente filo-occidentale Sandu va al ballottaggio: “Brogli pilotati da Mosca”

------------------

Con il tempo – siamo fiduciosi – gli operatori dell’informazione impareranno ad adoperare i prefissi in modo corretto, cioè “attaccati” alla parola che segue: filooccidentale, meglio filoccidentale, con la crasi. “Filo-” e “crasi”.



(Le immagini sono riprese dalla Rete, di dominio pubblico, quindi. Se víolano i diritti d'autore scrivetemi; saranno prontamente rimosse: fauras@iol.it)