lunedì 20 gennaio 2025

Spassoso e... "spassevole"


I
l nostro idioma – si sa – è ricco di sfumature semantiche e in continua evoluzione. Un esempio interessante, secondo chi scrive, è l'aggettivo "spassevole". Ritenuto desueto e “espulso” dai vocabolari (attestano solo spassoso), "spassevole" si trova ancora nel dizionario del Tommaseo, in quello del De Mauro e in alcune pubblicazioni. Proponiamo di riportarlo in auge come neologismo semantico, dandogli un'accezione distinta da spassoso.

Mentre spassoso indica qualcosa di divertente, piacevole e che suscita allegria, "spassevole" potrebbe assumere un significato leggermente diverso, riferendosi a qualcosa di incantevole e affascinante, capace di catturare l'attenzione e suscitare meraviglia. Si potrebbe usare "spassevole" per descrivere una serata trascorsa ad osservare le stelle, con il cielo limpido e le costellazioni ben visibili, un'esperienza che incanta e riempie il cuore di meraviglia. Potremmo adoperarlo per raccontare di un incontro con una persona carismatica, la cui presenza e conversazione catturano l’attenzione in modo unico e affascinante. Un altro esempio ancora potrebbe essere una passeggiata in un giardino botanico, dove la varietà di piante e fiori esotici crea un'atmosfera magica e coinvolgente, rendendo l'esperienza “spassevole” e memorabile.

Spassoso rimarrebbe legato a situazioni più leggere e divertenti: una commedia teatrale che fa ridere di gusto, o una serata tra amici caratterizzata da battute e risate continue. Una festa di compleanno, per esempio, con giochi e intrattenimento sarebbe descritta come spassosa, così come un film comico che fa ridere il pubblico.

Riesumare "spassevole" può arricchire il nostro lessico, offrendo un termine alternativo per descrivere momenti ed esperienze che vanno oltre il semplice divertimento, aggiungendo un tocco di meraviglia e incanto: un concerto di musica classica, dove le melodie e l'acustica creano un'atmosfera incantevole, potrebbe essere definito “spassevole” per sottolineare l'elemento di fascino e bellezza.

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Da un giornale in Rete

Papa Francesco è nato in Brasile ma i suoi genitori erano entrambi di origini italiane e, oltre a lui, hanno avuto altri quattro figli. La famiglia Bergoglio è sempre stata molto unita, e lo stesso Pontefice ha svelato alcuni dettagli sui suoi genitori.

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Senza commenti.






domenica 19 gennaio 2025

La bellezza della lingua italiana

 


V
iveva una volta, in un favoloso regno, Lirica, una giovane e bella principessa, Isabella. La sua bellezza era indescrivibile, ma ciò che la rendeva davvero unica era la sua voce. Quando parlava le parole danzavano come note musicali, e ogni frase era una dolce melodia. Ogni mattina la giovane principessa si svegliava al canto degli uccellini che, attratti dalla sua voce, le facevano compagnia nei suoi giardini incantati.

Nel regno tutti parlavano la lingua italiana, e Isabella era orgogliosa di farne parte. Tutte le mattine passeggiava per i giardini del suo castello, cantando in italiano, incantando gli uccelli e i fiori con la sua voce inconfondibile. Le sue parole, così musicali e piene di grazia, narravano storie di amore, speranza e avventure. Un giorno, mentre cantava una ballata antica, notò, affascinata, che i fiori si aprivano e chiudevano i loro petali seguendo la cadenza della sua voce.

U
n giorno di primavera, un giovane principe di un regno vicino, Leonardo, noto per il suo amore per la musica, sentì parlare della voce della bella principessa e decise di visitare il regno di Lirica. Al suo arrivo fu accolto dalle dolci note della lingua italiana che Isabella cantava. Ogni parola era come una carezza per i suoi orecchi, e presto si innamorò non solo della voce di Isabella, ma anche della bellezza della lingua italiana. Leonardo, affascinato dalla melodia, si presentò al castello e chiese il permesso di accompagnare Isabella nei suoi canti.

I
due giovani, assieme, crearono armonie che risuonavano in tutto il regno. Le loro canzoni divennero leggendarie, e la lingua italiana, con la sua naturale musicalità, divenne famosa in tutto il mondo. Gente da ogni angolo del pianeta andava a Lirica per ascoltare la bellezza della lingua italiana cantata da Isabella e Leonardo. La loro musica era talmente potente da guarire i cuori spezzati e dava pace e serenità a chiunque la ascoltasse.

M
a non era soltanto la loro voce a incantare tutti. Leonardo e Isabella fondarono una scuola di musica dove insegnavano ai bambini a cantare e ad amare la loro lingua. Le generazioni successive crebbero con una profonda passione per l'italiano e continuarono a trasmetterla attraverso le loro canzoni e poesie.

E
così, la bella lingua italiana, cantabile per eccellenza, continuò a incantare e ispirare tutti coloro che avevano il privilegio di ascoltarla. I due giovani principi vissero felici e contenti, continuando a cantare e celebrare la straordinaria bellezza della loro amata lingua italiana.



(Le immagini sono riprese dalla Rete, di dominio pubblico, quindi. Se víolano i diritti d'autore scrivetemi; saranno prontamente rimosse: fauras@iol.it)


sabato 18 gennaio 2025

Appena arriverai o appena sarai arrivato?



N
ella nostra bella lingua italiana la scelta del tempo verbale può modificare significativamente il senso (significato) di una proposizione. Due costruzioni – tra le tante di uso corrente - spesso confuse sono "appena arriverai" e "appena sarai arrivato". Sebbene possano sembrare simili, ci sono distinzioni grammaticali e contestuali importanti che ne determinano l'uso ortodosso.

"Appena arriverai" utilizza il futuro semplice. Questo costrutto viene adoperato per designare un'azione che avverrà nel futuro, senza necessariamente sottolineare il completamento di un'altra azione avvenuta precedentemente: "Appena arriverai, inizieremo la riunione." In un contesto amichevole e informale questa costruzione è comunemente accettata. Potrebbe risultare, tuttavia, meno precisa in situazioni formali.

"Appena sarai arrivato" impiega il futuro anteriore per mettere in evidenza che un'azione sarà completata nel futuro prima che ne cominci un'altra. Questo tipo di costrutto serve per indicare una sequenza temporale chiara tra due eventi futuri: "Appena sarai arrivato, telefonami." Questa costruzione è “più corretta” e precisa, particolarmente in contesti formali o quando si ritiene importante specificare il completamento di un'azione prima che ne avvenga un'altra.

"Appena", infatti, si riferisce a un'azione che si concluderà prima dell'inizio di una successiva; richiede, pertanto, il futuro anteriore per indicare, per l’appunto, che l'azione sarà completata prima di quella seguente: "Appena sarai arrivato, telefonami". Questo costrutto specifica che la chiamata avverrà dopo che l'arrivo sarà completato. Un altro esempio: "Appena avrai finito i compiti, potrai uscire", il che sta a indicare che l'uscita avverrà dopo il completamento dei compiti.

Per concludere queste noterelle. Scegliere tra "appena arriverai" e "appena sarai arrivato" dipende dal contesto e dal livello di formalità. L’uso del futuro anteriore permette di comunicare in modo più preciso e formale, soprattutto quando è cruciale indicare il completamento di un'azione prima di un'altra. Nella lingua parlata, tuttavia, il futuro semplice rimane una scelta comune e accettabile. Ma chi scrive lo sconsiglia recisamente, se si ama il bel parlare e il bello scrivere.

 

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Abbracciare e imbracciare

Si presti attenzione a questi due verbi, spesso vengono ritenuti sinonimi. Sebbene abbiano lo stesso “padre”, sono, infatti, verbi denominali (e parasintetici) essendo derivati di braccio, hanno significati distinti. 

Il primo, abbracciare, significa stringere tra le braccia, avvolgere con affetto o afferrare qualcuno per amore o affetto: mi piace abbracciare i miei amici quando li vedo dopo molto tempo. Con uso figurato: il giovane ha abbracciato una nuova religione. 


I
l secondo, imbracciare, significa, invece, prendere e tenere qualcosa tra le braccia, spesso riferendosi ad armi o strumenti: il soldato ha imbracciato il fucile prima di entrare in azione; l’operatore televisivo ha imbracciato la telecamera per le riprese esterne.


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La lingua “biforcuta” della stampa

Vaticano, Papa accoglie seminaristi con il tutore al braccio

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Chi aveva il tutore al braccio? Il Papa o i seminaristi?



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venerdì 17 gennaio 2025

Il "Riparapenne"


V
iveva una volta, in un piccolo principato, Pennilanda, un giovane e ingegnoso ragazzo, Pennologo. Questi era conosciuto in tutto il principato per la sua straordinaria abilità nell’ aggiustare qualsiasi cosa, ma la sua vera passione erano le penne stilografiche. Amava osservare come l'inchiostro scivolava fluido sulla carta, creando meravigliose opere di scrittura.

Un giorno, un'anziana aristocratica, donna Pennuta, si presentò alla porta di Pennologo con una penna stilografica antica, un cimelio di famiglia. "Pennologo", disse la nobildonna, "questa penna apparteneva a mio nonno, è un ricordo a cui tengo molto; ma ora, purtroppo, questa penna ha smesso di funzionare. Potresti aggiustarla?"

Pennologo prese la penna con molta delicatezza, e dopo aver osservato ogni dettaglio decise di mettersi subito al lavoro. Aprì la penna, controllò i meccanismi interni e pulì ogni parte con religiosa attenzione. Dopo ore e ore di minuzioso lavoro la penna era come nuova. Quando donna Pennuta andò a ritirarla rimase senza parole: la stilografica sembrava appena uscita dalla fabbrica. "Tu sei un vero riparapenne, caro amico Pennologo!" esclamò entusiasta.

La voce si sparse rapidamente oltrepassando i confini del principato. Persone di paesi lontani si misero in viaggio per portare le loro penne stilografiche rotte al giovane Pennologo. In poco tempo "riparapenne" divenne un neologismo lessicale, sulla bocca di tutti, per designare coloro che con passione e dedizione riparavano le penne stilografiche.

Pennologo aprì un piccolo negozio, "La Bottega del Riparapenne", dove vendeva le stilografiche e insegnava ai giovani l'arte di ripararle. Così, grazie alla sua abilità e alla sua passione, Pennologo contribuì a mantenere viva l'arte della scrittura con la penna stilografica e il termine "riparapenne" divenne una voce importantissima nel lessico e nella cultura del principato.

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La lingua “biforcuta” della stampa

Neonati sepolti, ecco perché Chiara Petrolini è tornata a vivere nella villa dei delitti con la famiglia

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giovedì 16 gennaio 2025

I due NEI


V
ivevano tanto tempo fa, in un regno lontano, Linguagolandia, due amici inseparabili: Neo, il prefissoide, e Neo, il sostantivo. Poiché i loro nomi erano identici venivano spesso confusi; i due avevano, invece, caratteristiche molto diverse che li distinguevano.

Neo, il prefissoide, amava l'innovazione. Il suo nome risaliva al greco "néos", che significa "nuovo". Neo era sempre attaccato alle parole, portando con sé un vento di freschezza e modernità. Quando questi si univa a "classico" diventava "neoclassico", riportando in auge uno stile antico ma con una nuova interpretazione. Quando si univa a "realismo", formava "neorealismo", rappresentando un movimento artistico e cinematografico il cui obiettivo era di rappresentare la realtà in modo più autentico.

L’
altro Neo, il sostantivo, aveva una storia molto diversa. Proveniva dal latino "naevus" e rappresentava una piccola malformazione sulla pelle, un neo. Sebbene piccolo non passava mai inosservato e veniva spesso considerato un segno distintivo o talvolta un'imperfezione.

U
n giorno, i due decisero di visitare il mercato delle parole. Lì trovarono molti vocaboli che cercavano Neo, il prefissoide, sperando di acquisire un nuovo significato. Neo, il sostantivo, curioso, chiese a Neo, il prefissoide: "Cosa sta succedendo qui?" Neo, il prefissoide, rispose con entusiasmo: "Sto aiutando queste parole a diventare moderne e rilevanti, dando loro nuova vita!"

N
eo, il sostantivo, osservava con curiosità, mentre le parole si trasformavano con l'aiuto di Neo, il prefissoide. D’un tratto una giovane parola, "classico", si avvicinò timidamente: "Vorrei essere neoclassico," disse. Neo, il prefissoide, sorrise e si attaccò a "classico", dando vita alla parola desiderata. "Ecco, ora sei neoclassico," disse Neo, il prefissoide, con un pizzico di orgoglio, e aggiunse: "Non seguire mai l'esempio degli araldi del regno vicino. Costoro quando devono annunciare la nomina di un nuovo ministro scrivono sulla pergamena 'neo ministro', facendolo apparire come se avesse una malformazione sulla pelle. Io devo essere sempre 'appicicato' alla parola che segue, mai staccato e mai con il trattino. Ricordalo sempre".

D
all’altro lato del mercato, Neo, il sostantivo, incontrò una persona che aveva una piccola macchia sulla pelle. "Guarda, ho un neo!" esclamò, indicando il segno. Neo, il sostantivo, sorrise. "Anch'io sono un neo," disse. "Siamo piccoli, ma possiamo avere un grande significato."

A
l calar del sole, Neo, il prefissoide, e Neo, il sostantivo, si raccontarono le loro esperienze. Sebbene avessero accezioni e ruoli molto diversi, entrambi sapevano di essere importanti nel regno di Linguagolandia. Neo, il prefissoide, portava novità e modernità, mentre Neo, il sostantivo, rappresentava la singolarità e le piccole imperfezioni del corpo umano.

E
così, i due Nei continuarono a vivere felicemente, sapendo di avere un ruolo speciale nel vasto mondo delle parole, sempre pronti a fare la differenza.


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La lingua “biforcuta” della stampa

Come sta Papa Francesco dopo la caduta, l’incidente a Santa Marta del pontefice

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Se avessero scritto “l’incidente del pontefice (accaduto) a Santa Marta”, forse, anzi, sicuramente non sarebbe stato comprensibile. Complimenti per la chiarezza.





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martedì 14 gennaio 2025

La disciplina e la materia

 


I
n ambito scolastico i termini "materia" e "disciplina" vengono spesso usati indifferentemente, in modo intercambiabile; ma, a ben vedere, c'è una sottile differenza che è importante - secondo chi scrive - comprendere per un uso più preciso e appropriato dei due lessemi. Vediamo.

La materia, si può dire, è il “contenuto specifico” dell'insegnamento. Essa rappresenta le singole unità di studio che compongono il curriculum scolastico: italiano, matematica, storia, biologia, per esempio, sono tutte materie insegnate nelle scuole. La "materia", insomma, derivando pari pari dal latino "materia", che significa sostanza, elemento, indica ciò di cui è composto qualcosa, il suo contenuto essenziale, specifico.

L
a disciplina, invece è un concetto più ampio. Oltre a includere il contenuto (materia), comprende anche i metodi, gli approcci, le regole e le pratiche che caratterizzano lo studio di una determinata materia. La disciplina, pertanto, non è soltanto il "cosa" viene insegnato, ma anche il "come" e il "perché". Sotto il profilo etimologico, anch’essa proviene pari pari dal latino "disciplina", che significa insegnamento, istruzione, educazione. Ha le sue radici nel verbo "discere", che significa apprendere, e nel sostantivo "discipulus", che significa allievo. Questo termine mette quindi l'accento non solo sul contenuto, ma anche e soprattutto sull'intero processo formativo.

C
omprendere queste differenze è cruciale per usare i termini in modo corretto e consapevole. Quando parliamo di materia ci focalizziamo sul contenuto specifico che viene insegnato. Discutere di disciplina, invece, implica una visione più ampia che include i metodi e le pratiche educative.

 Per concludere queste noterelle. Materia e disciplina possono sembrare sinonimi, hanno, invece, significati ben distinti e complementari che arricchiscono la comprensione del processo educativo. La materia, dicevamo all’inizio, è il contenuto specifico dell'insegnamento, mentre la disciplina è il quadro più ampio che comprende metodi, approcci e pratiche. Attendiamo smentite.



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lunedì 13 gennaio 2025

Perché stupidaggine sì e "imbecillagine" no?


C
iò che ci accingiamo a scrivere troverà la scure dei linguisti e dei lessicografi perché intendiamo proporre un termine nuovo da lemmatizzare nei vocabolari: imbecillagine. Esiste imbecillità, lemma ben noto nella lingua italiana perché indica la mancanza di intelligenza, buon senso o giudizio. Viene dal latino "imbecillitas", che vale "debolezza" o "fragilità"(di mente). È ampiamente usato e attestato in tutti i vocabolari dell’uso. Ignorano, i dizionari, ‘imbecillagine’. A questo punto sorge – come usa dire – una domanda spontanea: perché stupidità e stupidaggine sì e imbecillità e ‘imbecillagine’ no? Così come esistono stupidità e stupidaggine, entrambe riconosciute nei vocabolari, potrebbero coesistere imbecillità e ‘imbecillagine’, con le medesime differenze che intercorrono tra stupidità e stupidaggine.

Il termine proposto, inoltre, può essere visto anche come una variante creativa di "imbecillità", utile in contesti colloquiali o satirici per descrivere comportamenti insensati con una sfumatura ironica: "Non posso credere all'imbecillagine di quella situazione!", per enfatizzare la stupidità di un comportamento. Per concludere: mentre imbecillità è formalmente riconosciuta, "imbecillagine" potrebbe arricchire il linguaggio in contesti specifici, grazie alla creatività linguistica. Navigando in Internet siamo rimasti piacevolmente sorpresi nel vedere che la neoformazione proposta si trova in alcune pubblicazioni.



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domenica 12 gennaio 2025

"Villaggiota"? L'abitante di un villaggio

 


L’
abitante di una città si chiama cittadino, quello di un paese paesano, quello di un borgo borgataro (come nelle borgate di Roma); ma colui che abita in un villaggio come si chiama? Ci sembra non ci sia, nel nostro idioma, un termine che sia adatto allo scopo. Chi scrive propone di colmare questo vuoto lessicale con “villaggiota”, sulla scia di cipriota, rodiota e cairota. “-ota” è, infatti, un suffisso derivativo di aggettivi e nomi di abitanti. “Villaggiota”, insomma, a nostro modo di vedere, rispetta perfettamente la legge che regola la formazione dei nomi che indicano l'appartenenza a una comunità.

Non potrebbe, dunque, entrare a pieno titolo nel nostro lessico? Introdurre “villaggiota” nella lingua corrente potrebbe contribuire, inoltre, a combattere certi stereotipi. Spesso si è portati a pensare che vivere in un villaggio significhi essere isolati o arretrati. Al contrario, i villaggi, soprattutto quelli turistici, sono molto spesso fucine di innovazione culturale, luoghi dove la tradizione si fonde con la modernità. I “villaggioti” possono essere custodi di antichi saperi, ma anche promotori di nuove idee, soprattutto in ambiti come l'agricoltura sostenibile, il turismo culturale e le produzioni artigianali.

La neoformazione che proponiamo, “villaggiota”, è molto più di un semplice termine e non deve scandalizzare i lessicografi, anzi questi ultimi dovrebbero accoglierla e incoraggiarne l'uso. È una dichiarazione d'intenti, un segno di riconoscimento per una parte della popolazione che spesso viene trascurata. È un modo per dimostrare che anche i villaggi, con i loro ritmi, alcune volte lenti e con le loro tradizioni, hanno un ruolo cruciale nella società moderna. È tempo, dunque, di colmare questo vuoto linguistico e dare ai “villaggioti” il posto che meritano nel nostro vocabolario e nella nostra coscienza collettiva.



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sabato 11 gennaio 2025

Prevedere e presagire


V
ivevano tanti secoli fa, in un regno incantato, due gemelli le cui dimore erano in un piccolo villaggio ai piedi di una montagna: Prevedere (dal latino “praevidere”, composto con “prae”, prima e “videre”, vedere) e Presagire (dal latino “praesagire”, derivato di “praesagus”, presagio). Nonostante fossero molto simili, ciascuno aveva un dono unico che li rendeva speciali agli occhi degli abitanti.

Prevedere era noto per la sua abilità nell’analizzare i dati per trarne, poi, le conclusioni logiche. Era un abile scienziato e stava sempre nel suo studio, circondato da libri e mappe, calcolando con matematica precisione cosa sarebbe accaduto nei giorni futuri. Tutti si rivolgevano a lui quando volevano sapere il tempo che avrebbe fatto o come sarebbe stato l'andamento dei raccolti. Prevedere, con un sorriso gentile, osservava il cielo, esaminava i grafici e diceva: "Domani pioverà" oppure "Quest'anno il raccolto sarà molto abbondante."

U
n giorno, i suoi “convillaggianti” chiesero a Prevedere di stimare il momento migliore per piantare i semi. Questi consultò le sue mappe, analizzò le stagioni e rispose, deciso: "La prossima settimana sarà ideale per la semina, quando la temperatura sarà costante”. La precisione delle sue previsioni faceva sempre colpo sugli abitanti.

P
resagire, da parte sua, aveva un dono diverso. Non era legato alla logica o ai dati, ma ai sentimenti e alle intuizioni. Lo si vedeva spesso passeggiare nei boschi, ascoltando il sussurrìo delle foglie e il canto degli uccelli. Era in grado di percepire ciò che stava per accadere in modo più istintivo, come un sesto senso. Quando qualcuno del villaggio provava un'inquietudine interiore, Presagire era sempre lì, pronto a offrire una guida. "Sento che qualcosa di straordinario è in arrivo," diceva con gli occhi brillanti, oppure "Ho il presentimento che fra qualche giorno accadrà qualcosa di inaspettato".

U
n pomeriggio, mentre Presagire passeggiava vicino al fiume, sentì un'energia particolare nell'aria. Tornò di corsa al villaggio e disse agli abitanti: "Sento che dobbiamo prepararci per un evento significativo, domani, anche se non posso stabilire, esattamente, di cosa si tratti”. Gli abitanti, fidandosi delle intuizioni di Presagire, si prepararono all’evento e il giorno seguente accolsero con gioia l'arrivo di un gruppo di visitatori che portavano doni preziosi e nuove amicizie.

N
onostante le loro differenze i due fratelli erano inseparabili: si completavano a vicenda, unendo logica e intuizione per aiutare tutto il villaggio. Le loro capacità erano tanto preziose quanto complementari: Prevedere offriva sicurezza con le sue analisi, mentre Presagire infondeva speranza con le sue sensazioni.


U
n giorno d’invero si sparse una notizia: una grande tempesta minacciava il villaggio. Gli abitanti erano in preda al panico, non sapendo cosa aspettarsi. Prevedere, con i suoi calcoli, comunicò agli abitanti che la tempesta sarebbe durata tre giorni, e suggerì di prepararsi con provviste. Presagire, invece, avvertì un'energia particolare nell'aria e disse: "Passeremo questa tempesta assieme, e una volta cessata vedremo un arcobaleno che non abbiamo mai visto prima”.

E
così fu. Seguendo i consigli di Prevedere il villaggio si preparò adeguatamente e nessuno fu colto di sorpresa. Quando la tempesta cessò, come Presagire aveva intuito, un meraviglioso arcobaleno si stese nel cielo, simbolo di speranza e nuova vita.

D
a quel giorno gli abitanti del villaggio capirono l'importanza dei due fratelli: logica e intuizione, previsione e presentimento, lavorarono assieme per dare a tutti un futuro migliore. Gli abitanti compresero anche che con il giusto equilibrio tra razionalità e istinto, ogni sfida poteva essere affrontata con successo.



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venerdì 10 gennaio 2025

Il "villaggista"


Q
ualche giorno fa, navigando in Internet, ci siamo imbattuti in un termine inusuale: "villaggista". Questo vocabolo non è attestato, infatti, nei comuni vocabolari dell'uso, ma ci ha incuriosito per il suo potenziale significato e relativo utilizzo.

Il lessema in oggetto è interessante e si potrebbe adottare per definire, in un villaggio turistico, il responsabile dell'intrattenimento (o il direttore). Questo termine sembra ben adatto allo scopo, essendo composto del sostantivo "villaggio" con l'aggiunta del suffisso "-ista". Questo confisso si usa, infatti, per designare colui/colei che esercita una professione, un'attività o un mestiere.

I
n un villaggio turistico il "villaggista" potrebbe essere visto come una figura centrale, una sorta di regista delle esperienze degli ospiti. Il suo compito primario potrebbe essere quello di garantire che ogni persona possa vivere un'esperienza indimenticabile, ricca di attività coinvolgenti e momenti di svago.

U
n ottimo “villaggista” dovrebbe avere una combinazione di competenze organizzative, creatività e capacità di relazionarsi con le persone; saper pianificare e coordinare eventi, gestire gli animatori e assicurarsi che tutte le esigenze degli ospiti siano pienamente soddisfatte. Questo ruolo potrebbe comprendere l'organizzazione di spettacoli serali, attività sportive, giochi per bambini, escursioni e molto altro ancora.

L'
introduzione nel nostro lessico di un vocabolo come "villaggista" potrebbe rappresentare un passo interessante nel gergo del settore turistico. Mentre termini come "animatore turistico" o "direttore del villaggio" sono, infatti, già in uso, "villaggista" aggiunge un tocco di originalità e specificità; riflettendo non solo le responsabilità pratiche del ruolo, ma anche l'essenza stessa dell'esperienza del villaggio turistico: un luogo di comunità, divertimento e relazioni sociali.

“V
illaggista”, insomma, potrebbe diventare sinonimo di qualità e professionalità, richiamando l'immagine di un professionista dedicato e appassionato, pronto a trasformare ogni soggiorno in un’esperienza indimenticabile.



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