domenica 9 marzo 2025

Inerme e... inerte


 
Anni e anni or sono, nell’immenso regno delle Parole Viventi, vivevano due personaggi molto diversi, ma uniti da un destino comune: Inerme e Inerte. Inerme (dal latino ‘inermis’, senza armi, privo di armi) era una creatura dolcissima, dai capelli di seta, sempre pronta a prodigarsi per gli altri, ma senza alcuna arma o difesa. Inerme era vulnerabile, come una farfalla senza difese che vola inerme nel giardino, esposta ai pericoli.

Inerte (dal latino ‘inertem’, senza attività, senza arte) era, invece, una figura solida e immobile, come una statua di marmo, priva di vita e movimento. Anche se non poteva muoversi né parlare, la sua presenza ricordava quella di una persona inerte, priva di energia, che osserva il mondo senza reagire.

Un giorno, nel regno delle Parole Viventi, arrivò un drago di fuoco che distruggeva tutto ciò che incontrava sul suo cammino. Gli abitanti erano terrorizzati e cercavano disperatamente qualcuno che potesse proteggerli.

Inerme, nonostante la sua natura indifesa, decise di affrontare il drago. Con il suo cuore gonfio di coraggio e gentilezza si avvicinò alla bestia cercando di parlarle. Purtroppo il drago non l’ascoltava e continuava a seminare il caos e il terrore. Inerme era vulnerabile e impotente di fronte a tale minaccia, come un bambino inerme di fronte a un temporale, ma non si arrese.

Inerte, nel frattempo, osservava la scena dalla sua posizione immobile. Anche se non poteva muoversi né parlare, la sua presenza era rassicurante. Gli abitanti del regno, vedendo la sua solidità, si riunirono intorno a lui, trovandovi un po' di conforto, proprio come una persona inerte può offrire una presenza solida e stabile nei momenti di crisi.

Mentre il drago si avvicinava sempre più minaccioso, Inerme capì che aveva assoluto bisogno dell'aiuto di Inerte. Con il suo spirito indomito, convinse gli abitanti del regno a unire le loro forze. Utilizzarono la forza immobile di Inerte per costruire una trappola ingegnosa che avrebbe intrappolato il drago.

Grazie al coraggio di Inerme e alla solidità di Inerte, gli abitanti del reame riuscirono a fermare il drago e a salvare il regno. Capirono anche che le qualità apparentemente opposte potevano unirsi per ottenere grandi risultati.

Da quel giorno, Inerme e Inerte vennero celebrati come eroi. Inerme era apprezzato per il suo coraggio e la sua volontà di aiutare gli altri, mentre Inerte era venerato per la sua forza e stabilità. Assieme insegnarono agli abitanti del regno che ognuno ha un ruolo importante, sia esso inerme o inerte.











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Si presti attenzione alla formazione del femminile dei sostantivi maschili in “-e” (custode) e quelli in “-iere” (cameriere). Seguono regole diverse. I nomi in “-e” restano invariati nella forma femminile, si declina solo l’articolo: il custode/la custode; il preside/la preside; il giudice/la giudice (lo stesso per quanto attiene al plurale: i custodi/le custodi). I sostantivi in “-iere” (che indicano un mestiere, una professione) prendono la regolare desinenza “-a” del femminile: il consigliere/la consigliera; il cameriere/la cameriera; l’infermiere/l’infermiera; il portiere/la portiera. Lo stesso per quanto riguarda il femminile di ingegnere: l’ingegnera. Perde la “i” del suffisso “-iere” perché il digramma “gn” non si fa seguire dalla vocale “i”: sogno; disegno; ognuno. Alcuni siti, ahinoi!, sull’argomento traggono in inganno...



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sabato 8 marzo 2025

Spazioso e... 'spazievole'


N
egli ultimi tempi, la nostra bella e musicale lingua italiana ha accolto numerosi neologismi al fine di colmare alcune lacune lessicali o per descrivere nuove realtà. L’estensore di queste noterelle propone, in proposito, un nuovo termine: "spazievole". Questo neologismo lessicale, per la verità, si trova già in alcune pubblicazioni; merita, pertanto, di entrare a far parte del vocabolario comune.

La neoformazione ,"spazievole", si distingue da "spazioso" (attestato nei vocabolari, al contrario di 'spazievole') per il suffisso "-evole", che indica la “possibilità di avere più spazio”, "che si può ampliare, allargare". Mentre "spazioso" descrive un ambiente già di per sé ampio, "spazievole" si può riferire a un locale che si può ampliare per renderlo più adatto alle nostre esigenze.

Facciamo qualche esempio d’uso. “Abbiamo scelto una casa spazievole” (c’è la possibilità di aggiungere un'altra stanza in futuro); “questo zaino è particolarmente spazievole” (ha molte tasche espandibili per adattarsi ai nostri bisogni); “la cucina è stata pensata per essere spazievole” (si possono aggiungere altri elettrodomestici, se necessario); “la sala conferenze è spazievole” (possiamo dividerla in più ambienti per diversi gruppi di lavoro).

L'introduzione di "spazievole", secondo chi scrive, arricchisce il nostro lessico, permettendoci di descrivere in modo più preciso situazioni in cui la possibilità di espansione è fondamentale. Si pensi a un appartamento con pareti mobili che permettono di ridefinire gli spazi interni secondo le esigenze: "spazievole" cattura perfettamente l'essenza di un ambiente adattabile e versatile.

L'uso di "spazievole" si presta anche in ambiti diversi dall'architettura. In campo tecnologico possiamo parlare di un software con un'interfaccia "spazievole", che consente di aggiungere nuove funzionalità a mano a mano che si rendano necessarie.

In un mondo in continua evoluzione, per concludere, avere termini che ci permettono di esprimere concetti dinamici è essenziale. "Spazievole", quindi, non è solo un aggettivo, ma un modo di pensare e di vivere gli spazi in maniera più flessibile e creativa. Auguri, ‘spazievole’, che i lessicografi ti accolgano nel loro cuore.



 








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La lingua “biforcuta” della stampa

La Protesta

Porto crocieristico di Fiumicino, la rivolta contro il muro sul mare

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Correttamente: croceristico (senza la ‘i’ perché la ‘e’ non dittonga in ‘ie’ essendo atona)                                    


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Auguri a tutte le gentili Lettrici di questo portale.





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venerdì 7 marzo 2025

"La Quadra di Quadravilla"

 

C'era una volta, in un reame incantato, un piccolo villaggio chiamato Quadravilla, dove il re aveva deciso di risiedere perché lontano dalla vita frenetica della capitale. Le case erano fatte di mattoni dai colori vivaci, e le strade erano sempre animate da risate e chiacchiere. Gli abitanti erano noti per la loro saggezza e per la capacità di risolvere qualsivoglia problema grazie a un'antica filosofia chiamata "Trovare la Quadra".

Un dì, re Equilibrio, il saggio sovrano del regno, ricevette in udienza tre personaggi speciali: il Mago degli Affari, il Mago della Politica e il Mago della Vita Quotidiana. Ciascuno di loro portava con sé un problema complesso che non riuscivano a risolvere. Il Mago degli Affari doveva risolvere una disputa tra commercianti, divisi sui prezzi dei prodotti, il Mago della Politica doveva risolvere una controversia tra due province, il Mago della Vita Quotidiana, infine, doveva organizzare le feste del villaggio in modo che tutti fossero felici.

Il sovrano, con un sorriso rassicurante, sapendo quanto fossero saggi i suoi sudditi, decise di convocare un'assemblea generale nella piazza principale del villaggio per ascoltare il loro parere. Gli abitanti, vestiti nei loro abiti più belli, si riunirono attorno alla fontana centrale, decorata con fiori freschi e luci scintillanti, mentre un'allegra melodia suonava nell'aria.

Il re illustrò agli astanti i problemi dei maghi e chiese agli abitanti di trovare una soluzione. Dopo ore di discussioni animate, risate e riflessioni profonde, i sudditi decisero di applicare la filosofia del "Trovare la Quadra". Questa filosofia insegnava a considerare ogni lato di una questione, proprio come un quadrato che ha quattro lati uguali, e a trovare un punto di equilibrio che soddisfacesse tutte le parti coinvolte.

Per il Mago degli Affari, gli abitanti crearono un sistema di negoziazione equo che permetteva a tutti i commercianti di prosperare senza danneggiarsi a vicenda. I commercianti, inizialmente scettici, furono poi entusiasti della proposta, e si strinsero la mano in segno di accordo. Per il Mago della Politica, proposero di istituire un gran consiglio di rappresentanti delle due province, affinché, lavorando assieme, dividessero le risorse in modo giusto. Le province, prima in conflitto, iniziarono a collaborare e a condividere le loro ricchezze. E per il Mago della Vita Quotidiana, organizzarono le feste annuali in modo che ogni abitante potesse contribuire con le proprie abilità e passioni, rendendo le celebrazioni indimenticabili.

I maghi furono incantati dalla saggezza e dall'armonia che regnava nel villaggio di Quadravilla. Decisero, quindi, di diffondere la filosofia del "Trovare la Quadra" in tutto il regno, e presto, il villaggio divenne famoso per la sua capacità di risolvere i problemi in modo equilibrato e armonioso.

Da quel giorno, tutte le volte che qualcuno riusciva a risolvere una questione complessa trovando un equilibrio perfetto fra tutte le parti, si diceva che aveva "trovato la quadra". L'espressione divenne parte del lessico, utilizzata in politica, negli affari e nella vita di tutti i giorni per indicare il raggiungimento di una soluzione stabile e soddisfacente per tutti.




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giovedì 6 marzo 2025

Anabasi e catabasi

 


Scopriamo l’origine, il significato e l’uso di due termini non molto conosciuti, anabasi e catabasi, attraverso questa favola.

In tempi lontani, in un antico regno situato ai piedi di maestose montagne, viveva un saggio re: Helios. Questi, affascinato dalle storie degli eroi che viaggiavano per mari e monti, molto spesso rifletteva sulle avventure straordinarie che gli narravano i suoi messaggeri.

Un bel giorno, re Helios chiamò a sé i suoi due figli, Anabasi e Catabasi, per insegnar loro l'importanza delle parole e dei loro significati reconditi.

“Figli miei,” esordì il re, “oggi desidero raccontarvi la storia delle vostre stesse esistenze affinché possiate comprendere appieno l'origine, il significato e l’importanza dei vostri nomi.”

Anabasi, il primogenito, era un giovane audace e coraggioso, sempre pronto a sfidare le altezze delle montagne e a esplorare nuove terre. Il suo nome derivava dal termine greco ‘anábasis’, che significa “ascendere” o “salire”. Questo vocabolo veniva spesso adoperato per descrivere le marce militari verso l'interno del territorio nemico, al fine di conquistare nuove terre e ampliare i confini del regno.

Catabasi, il secondogenito, un giovane saggio e riflessivo, trovava la sua pace nell’immensità delle foreste e nelle spelonche. Anche il suo nome proveniva dal greco ‘katábasis’, che significa “discendere” o “scendere”. Con questo termine si era soliti descrivere il ritorno delle truppe dopo una campagna militare, o per descrivere i viaggi spirituali verso il mondo sotterraneo o l'oltretomba, come nel caso del famoso mito di Orfeo.

Una mattina di primavera, il saggio re Helios decise di mettere alla prova i suoi figli, dopo aver spiegato loro, qualche giorno prima, il significato dei rispettivi nomi. Li inviò, quindi, in due missioni diverse: Anabasi doveva scalare la montagna più alta del regno per issare la bandiera del loro casato sulla vetta, mentre Catabasi doveva esplorare la caverna più profonda per recuperare un antico e prezioso manoscritto.

Anabasi, entusiasta, partì con ardore, affrontando con coraggio le difficoltà e i pericoli del viaggio. Salì su ripidi sentieri, attraversò gole impervie e sfidò tempeste furiose, finché non raggiunse finalmente la vetta. Là, in alto, piantò, con orgoglio, la bandiera al fine di ricordare a tutti che il regno di Helios era forte e invincibile.

Catabasi, invece, intraprese il suo viaggio con molta calma e saggezza. Si addentrò nelle profondità della caverna, superando innumerevoli ostacoli e labirinti ingannevoli. Affrontò creature misteriose trovando antiche iscrizioni, da tradurre, sulle pareti delle grotte, finché non raggiunse il prezioso manoscritto. Dopo averlo recuperato lo portò in superficie, arricchito di nuove conoscenze e rivelazioni.

Quando i due fratelli rientrarono al castello, il re Helios li accolse con calore e orgoglio. “Avete dimostrato magistralmente il significato dei vostri nomi: “Tu, Anabasi, con la tua ascesa coraggiosa, hai dimostrato la forza e la determinazione di coloro che affrontano sfide ardue per conquistare nuovi orizzonti. Catabasi, con la tua discesa riflessiva, hai mostrato la saggezza e la profondità di chi cerca la conoscenza nascosta nel cuore delle tenebre.”





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mercoledì 5 marzo 2025

"Maggioramento": un termine destinato agli onori dei vocabolari?


L
a lingua italiana, come tutte le lingue vive, è in continua evoluzione. Alcuni termini si consolidano nel lessico comune, mentre altri restano confinati in contesti specifici o tecnici. Un esempio interessante di questa dinamica è il confronto tra i termini "peggioramento", attestato nei vocabolari, e "maggioramento", non lemmatizzato nei dizionari. Eppure i lemmi in oggetto sono entrambi sostantivi deverbali. Perché, dunque, peggioramento sì e ‘maggioramento’ no?

Il sostantivo "peggioramento" deriva dal verbo "peggiorare" e indica il processo di ‘diventare peggiore’ o di ‘degradarsi’. Questo termine è ampiamente accettato e impiegato nella lingua italiana, trovando applicazione in una vasta gamma di contesti, dalla descrizione di condizioni meteorologiche avverse ("peggioramento del tempo") alla diagnosi medica ("peggioramento delle condizioni di salute del paziente").

Il "peggioramento" si può riferire a qualsivoglia situazione in cui vi è una diminuzione della qualità (o quantità) delle prestazioni o delle condizioni. In ambito economico, per esempio, si può parlare di "peggioramento della situazione economica" per designare un deterioramento delle condizioni finanziarie di un Paese o di un'azienda. Così in ambito scolastico: un "peggioramento del rendimento" di uno studente.

Il termine "maggioramento" (che si può far derivare dal verbo "maggiorare”), viceversa, non è così comune e ignorato dai principali vocabolari della lingua italiana che al suo posto lemmatizzano “maggiorazione”. “Maggioramento”, tuttavia, si trova in alcune pubblicazioni (tra cui la "Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana"), soprattutto in contesti tecnici, giuridici o settoriali, per indicare ‘l'atto di aumentare qualcosa’.

Nonostante non sia riconosciuto ufficialmente, l'uso di "maggioramento" – secondo chi scrive – può essere ritenuto corretto in specifici contesti dove è importante sottolineare l'aspetto dell'aumento piuttosto che del miglioramento.

In ambito edilizio, per esempio, si potrebbe parlare di "maggioramento delle superfici edificabili" per indicare un aumento delle aree destinate alla costruzione. In ambito economico, "maggioramento delle risorse finanziarie" potrebbe riferirsi a un incremento dei fondi disponibili per un progetto o un'azienda.

Per chi scrive, insomma, “maggioramento” potrebbe assurgere agli onori dei vocabolari: "Il maggioramento delle aliquote fiscali è stato approvato dal consiglio comunale." Perché?. Perché – come si sa – l’evoluzione linguistica porta spesso alla creazione di nuovi vocaboli o all'adozione di parole esistenti in nuovi contesti. Ben venga, dunque, ‘maggioramento’.



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martedì 4 marzo 2025

Due sorelle (quasi) gemelle: Sineddoche e Metonimia

 


Vivevano una volta, in un bel villaggio incantato, Lingualandia, dove le parole e le figure retoriche vivevano in perfetta armonia, due abitanti particolari: le sorelle Sineddoche e Metonimia. Due giovinette affascinanti che nel mondo della lingua avevano compiti simili e per questo, molto spesso, venivano scambiate.

Un giorno, durante uno sfarzoso ricevimento nel grande castello del Dizionario, le parole del villaggio furono invitate per ascoltare il vecchio saggio Etimologo, che raccontava storie sull'origine e sul corretto uso dei termini.

Il grande castello del Dizionario si ergeva maestoso al centro del villaggio. Le sue torri erano costruite con libri rilegati in cuoio e le finestre erano fatte di vetri di inchiostro che scintillavano sotto la luce del sole. All'interno, le pareti erano rivestite di pergamene antiche, e i lampadari pendevano come punti esclamativi giganti dal soffitto alto. Durante il ricevimento, la grande sala del castello era gremita di parole e figure retoriche di ogni tipo. C'erano parole lunghe e complesse che si mescolavano a termini brevi e semplici, creando un brusio incessante di conversazioni animate. Alla fine della conferenza di Etimologo si fecero avanti le due sorelle, Sineddoche e Metonimia, per spiegare agli invitati la loro natura e differenza.

"Salve a tutti," cominciò Sineddoche, "Io sono quella figura retorica che rappresenta una parte per il tutto o il tutto per una parte. Mi spiego meglio. Se dico 'vela' per intendere una barca a vela intera, o 'teste' per riferirmi alle persone, sto usando me stessa, la sineddoche. Pensate ancora, per esempio, a quando sentiamo dire 'abbiamo bisogno di più braccia in azienda'. In quel caso, le 'braccia' indicano le persone che lavorano. Oppure: 'Ha 2000 anime sotto il suo comando', dove 'anime' sono le persone."

Poi prese la parola Metonimia, con un sorriso gentile, e disse: "Io, invece, sono la figura retorica che sostituisce un termine con un altro che ha un rapporto di contiguità o dipendenza. Per esempio, se dico 'leggere Dante', intendo leggere le opere scritte da Dante, non l'uomo in carne e ossa. Ancora, se dico 'bere un bicchiere', intendo bere il contenuto del bicchiere, non il bicchiere medesimo. Pensate, anche, a quando diciamo 'l'intera sala applaudì l’oratore', dove 'sala' rappresenta le persone presenti. O ancora: 'La corona ha deciso di dichiarare guerra', dove 'corona' rappresenta il re o la regina."

Il saggio Etimologo annuì soddisfatto, e aggiunse: "Vedete, amiche e amici, la differenza. La sineddoche usa una parte per rappresentare il tutto o il tutto per una parte; la metonimia, invece, sostituisce un termine con un altro in base a una relazione di vicinanza o associazione logica."

Alla fine, prima di congedare gli astanti, Etimologo spiegò l'etimologia di queste figure retoriche. "Il termine 'sineddoche' viene dal greco 'synekdoche', che significa 'comprendere insieme'. Indica, insomma, come una parte può rappresentare il tutto. Anche 'metonimia' viene dal greco 'metonymia', che significa 'cambio di nome', dimostrando come un vocabolo può sostituirne un altro in base alla loro vicinanza o relazione. Possiamo dire, insomma, che la sineddoche 'gioca' con le relazioni di quantità, la metonimia, invece, 'gioca' con le relazioni di contiguità. "

Le parole del villaggio applaudirono e ringraziarono sentitamente Etimologo e le due sorelle per aver chiarito le loro differenze. Da quel giorno, ogni volta che qualcuno aveva difficoltà nel riconoscere una sineddoche o una metonimia, pensava alle storie di Sineddoche e Metonimia raccontate durante la grande festa tenuta nel magnifico castello del Dizionario.

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  LatinEnglish di Paolo Uras


L
a nostra meravigliosa lingua è sempre più invasa da anglicismi, soprattutto di origine americana. Non c'è articolo di giornale in cui non ci si imbatta in termini, per esempio, come "benefit", "cash", "casual", "climax", "colossal", "community", "design", "profit", "ritual" e molti altri. Questo fenomeno suscita una domanda molto interessante: gli scrittori, ma non solo, sono consapevoli che molti di questi termini sono figli del latino?

P
aolo Uras ci offre una risposta esaustiva nel suo magistrale libro, LatinEnglish. Con una ricerca meticolosa, l’autore ha raccolto, in ordine alfabetico, tutti i termini inglesi derivati dalla lingua di Cicerone, dimostrando, così, l'impatto duraturo della lingua latina sull'inglese moderno.

Q
uest’opera non è solo un repertorio linguistico, ma un saggio che ci invita a riflettere sulle radici comuni delle lingue e sulla loro evoluzione. Grazie alla certosina ricerca di Uras possiamo constatare quanto il latino sia ancora vivo, nella lingua di Albione, nelle parole che utilizziamo quotidianamente.

C
onsigliamo vivamente la lettura di LatinEnglish a chiunque sia interessato alla linguistica, alla storia delle lingue o semplicemente per la curiosità di scoprire l'origine delle parole che usiamo. Per maggiori dettagli su questa impareggiabile e istruttiva opera è possibile cliccare qui.

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La lingua “biforcuta” della stampa

La nuova frontiera delle truffe allo Stato. Che ci costa molti miliardi ogni anno

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Quanto ci costa questo Stato!!!!



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domenica 2 marzo 2025

Sgroi – 193 - La virgola “tematica” in italiano e in altre lingue

 




di Salvatore Claudio Sgroi 

 

1. Esiste o non esiste? 


Un caro amico, avendo letto nel mio volume La lingua italiana del terzo millennio tra regole, norme ed errori (Utet 2024) che la virgola “tematica” è presente “anche in altre lingue (francese, inglese, spagnolo, tedesco” (p. 165), ha osservato: “In tedesco non mi sembra che esista e neanche in francese o inglese. Sbaglio io?”. 

 

2. La virgola “tematica” in italiano 


La virgola “tematica”, tradizionalmente non distinta dalla virgola “sintattica”, ovvero identificata con essa, è giudicata un erroraccio, in quanto la virgola non dovrebbe separare il soggetto dal predicato, essendo essi strettamente collegati, sia nel caso del soggetto “semplice” che nel caso del soggetto “pesante”, cioè con una dipendente o con attributi. 

Così negli ess.  

 

(i). «Il contrario<,> [= quanto al contrario,] esiste» (I. Calvino);  

(ii). «l’italiano<,> [= quanto all’italiano,] non sembra essere cambiato affatto» ( L. Renzi); 

(iii).  «Il prete<,> [= quanto al prete,] non poteva dirle nulla» (P.P. Pasolini) e  

(iv) con soggetto pesante «La domanda [= quanto alla domanda] che mi era stata fatta<,> mi ha molto sorpreso» 

La eliminazione della virgola annullerebbe il valore di tema e di enfasi degli enunciati, che avrebbero così diverso significato. 

 

3. La virgola tematica in altre lingue


Come emerge da una lettura in chiave contrastiva dell’italiano con altre lingue, suggerita dal volume curato da Bice Mortara Garavelli, Storia della punteggiatura in Europa (Laterza 2008), l’uso della virgola tematica (con soggetto semplice e pesante o complesso) non è esclusivo dell’italiano. 

 

3.1. La virgola “tematica” in tedesco 


Con riferimento al tedesco, Marcella Costa nel suo contributo del volume laterziano (pp. 374-99) ricorda le “funzioni ricorrenti della virgola riconducibili a due categorie, sintattica e semantico-pragmatica” (p. 397) ovvero “tematica”. Fa quindi presente che la virgola conserva anche carattere semantico-pragmatico nei casi in cui separa soggetto e predicato, mettendo in evidenza il tema, e nelle sequenze di domanda-risposta con progressione tematica lineare che caratterizzano il metodo di Ratke [1619](ibid.).  

Livio Gaeta si sofferma invece soprattutto nel periodo “Dall’Ottocento a oggi” (pp. 423-37) e sul Duden, e la virgola in part. pp. 429-30, 433-36. 

 

3.2. La virgola “tematica” in francese 


La virgola tematica è documentata anche in francese, come evidenziato da Monica Barsi (Laterza 2008, pp. 267-93), a partire almeno dal ’700, es. “Le plaisir de soulager un infortuné<,> est un remède sûr contre la peine que nous fait sa présence” (p. 279). Colpisce anzi il fatto che, normale nel francese dell’Ottocento, sia poi decaduta per ritornare successivamente in auge (pp. 268, 280-81). 

Nella Grande grammaire du français Anne Abeillé et Danièle Godard (Actes Sud 2021) ritengono che “il convient de ne pas séparer le verbe de son sujet” (vol. II, p. 2192), es. *Mon frère aîné, voulait des pommes, e giudicano “impossibiles” tali “pontuations”. Ovvero “Du point de vue de la norme contemporaine, le sujet ne peut pas être séparé du verbe par une virgule simple” (p. 2196), ess. *Toute la famille, est venue; *Paul et Marie, sont venus hier. E tuttavia riconoscono la legittimità normativa nel caso del soggetto semplice: “Bien évidemment, il n’est pas rare que l’usage s’écarte de la norme, comme avec le sujet contrastif lui” nell’es. letterario Et Zingaro et moi, on s’est retrouvé côte à côte […]. Lui<,> riait(d’Ormesson, 1993). Nonché nel caso dei soggetti pesanti (“sujet long”): “Il semble enfin qu’il existe une certaine tolérance pour la virgule située après un sujet long”,  es. Ce garçon dont tu m’as si souvent parlé et que j’ai finalement rencontré<,> m’a dit quil connaissait ton père. Ma senza spiegare la diversa valenza semantica tra la presenza/assenza della virgola in tali frasi. 

 

3.3. La virgola “tematica” in spagnolo 


La virgola “tematica” non manca neanche in spagnolo (su cui tace invero il pur lucido contributo di 

Carrera Díaz, nel vol. di Laterza 2008, pp. 297-329, che si arresta in realtà all’Ottocento).  

El Nuevo Vox Mayor, ovvero Diccionario de la lengua española. Lema AZ (2004 rist.) alla voce puntuación pp. 1477-80, fa infatti presente chenunca se coloca coma entre el sujeto y el predicado (a no ser que el sujeto sea muy largo y sintácticamente complejo)”, mentre la precedente edizione si limitava a segnalare puristicamente l’uso errato in tale caso (Vox Mayor, Diccionario general ilustrado de la lengua española, 1989, art. puntuación pp. 906-11). 

Invece Manuel Seco nel Diccionario de dudas y dificultades de la lengua española (Espasa 19611, ried. 2000) è neopurista: “Entre el sujeto y el predicado de la oración non se escribe coma. Es incorrecto un ejemplo como este: Todos los casos que publicamos<,> son situaciones comprobadas” (p. 371). 

Non diversamente Il Diccionario panhispánico de dudas della Real Academia Española e Asociación de Academias de la lengua espola (Penguin Random House 2005): “Es incorrecto escribir coma entre el sujeto y el verbo de una oración, incluso cuando el sujeto está compuestos de varios elementos separados por comas: *Mis padres, mis tíos mis abuelos <,> me felicitaron ayer. Non diversamente nel caso dei soggetti pesanti (“sujeto largo”):Cuando el sujeto es largo, suele hacerse oralmente una pausa antes del comienzo del predicado, pero esta pausa no debe marcarse gráficamente mediante coma: *Los alumnos que no hayan entregado el trabajo antes de la fecha indicada por el profesor<,> suspenderán la asignatura” (p. 148). 

 

3.4. La virgola “tematica” in inglese 


Quanto all’inglese, Marina Bulzoni nel suo contributo laterziano (2008, pp. 439-91) con taglio decisamente storico non si sofferma sulla virgola tematica (pp. 488-89). R. Quirk –S. Greenbaum - G. Leech J. Svartik nella loro A grammar of contemporary English (Longman 1972) affrontano il problema. La 

virgola dopo il soggetto pesante non è normativamente accettata, pur giustificata prosodicamente: 

Since the early nineteenth century, institutionalized usage has disallowed any punctuation […] between subject and predicate” (p. 1050). Nel caso dei soggetti pesanti,Yet (as student essay show) ordinary users of English are still strongly motivated to put a comma between a long noun phrase subject and the verb, just as they were in Napoleonic times: … the pretensions of any composition to be regarder as Poetry<,>will depend upon… (George Crabbe, Preface to Tales, 1812)”. A cui segue una spiegazione di ordine prosodico, non già di “tema”: “There is a very good reason for this. After a long noun phrase the coherence of the structure just completed is regularly marked in speech by a prosodic break, usually realized by the end of a tone unit, often by a pause as well” (ibid.). 

Ne L’inglese lingua del mondo C.M. e W. Edmondson (Valmartina 19601, 19662) sono normativisti: “Non si metta una virgola tra il soggetto e il verbo (come spesso si fa in italiano)” (p. 418). 

 

Sommario 

1. Esiste o non esiste  

2. La virgola “tematica” in italiano 

3. La virgola “tematica” in altre lingue 

3.1. La virgola “tematica” in tedesco 

3.2. La virgola “tematica” in francese 

3.3. La virgola “tematica” in spagnolo 

3.4. La virgola “tematica” in inglese 

























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