Un vecchio marinaio, che aveva solcato mari e tempeste, decise un giorno di cimentarsi in un’impresa singolare: dare fondo (affondare) a una nave di sughero. «Se il mondo dice che è impossibile, io lo proverò» pensava, convinto che la sua impresa potesse piegare persino la natura.
Costruì, dunque, una nave interamente di sughero, leggera e galleggiante. La spinse al largo e, con pietre e catene, cercò di affondarla. Ma ogni volta che la nave scendeva, tornava a galla, rendendo inutili i suoi sforzi. Più caricava pesi, più il sughero li respingeva, come se il mare stesso volesse insegnargli una lezione.
Gli abitanti del porto lo osservavano, divertiti e perplessi. «Che senso ha?» dicevano. «È come fare un buco nell’acqua» o «versare acqua nel mare». Tutti capivano che il vecchio marinaio stava sprecando energie in un’impresa vana.
Eppure, proprio grazie a quell’assurdo tentativo, il villaggio imparò a distinguere tra le azioni possibili e quelle destinate al fallimento. Da quel giorno, ogni volta che qualcuno si ostinava in un compito privo di logica, si diceva: «Sta dando fondo a una nave di sughero».
Così nacque un modo di dire raro e prezioso, meno frequente di altri ma più raffinato. Fare un buco nell’acqua rimase l’espressione comune, immediata e diffusa; versare acqua nel mare continuò a evocare la fatica inutile; ma dare fondo a una nave di sughero aggiunse un’immagine paradossale e memorabile, capace di arricchire il linguaggio di chi ama la varietà delle parole.
E ancora oggi il modo di dire trova applicazioni: convincere un “leader” inflessibile, insistere su un progetto senza risorse, tentare di bloccare un “meme” virale o di spegnere un “trend” (si perdoni l’uso dei barbarismi) con un comunicato tardivo… sono tutti esempi di imprese che non portano frutto, proprio come il vecchio marinaio che cercava di affondare ciò che per natura non può... affondare.

Nessun commento:
Posta un commento